Nella prefazione alle edizioni francese e tedesca del 1920, Lenin offre una significativa definizione di guerra imperialista “(cioè di usurpazione, di rapina, di brigantaggio) […] una guerra per la spartizione del mondo, per una suddivisione e ripartizione delle colonie, delle «sfere di influenza» del capitale finanziario” [1]. La prima parte della definizione è propria di una guerra imperialista in generale, mentre nella seconda parte si tratta del carattere specifico di un conflitto prodotto dalla fase suprema del capitalismo. In entrambi i casi la definizione sembra appropriata per descrivere la modalità “indiretta” di partecipazione alla guerra da parte delle potenze della NATO, mentre più difficilmente e problematicamente tale caratterizzazione sembra valida per denotare la guerra condotta tanto dalla Russia quanto dall’Ucraina, in quanto, in entrambi i casi, la conduzione del conflitto ha una natura, almeno in parte, difensiva. Da questo punto di vista la guerra in atto può essere considerata imperialista in quanto il capitale finanziario caratteristico delle grandi potenze della NATO mira a colonizzare l’Ucraina, facendola rientrare nella propria area di influenza e conduce una guerra di usurpazione in quanto sfrutta il nazionalismo e lo spirito nazionale di russi e ucraini per i propri fini di rapina delle risorse ucraine e di brigantaggio nei confronti della Russia, approfittando dalla indotta transizione al capitalismo. Anche dal punto di vista economico, in questa prospettiva, la guerra è tipicamente imperialista in quanto rivolta a far eliminare tanto ai russi quanto agli ucraini una parte dei capitali delle merci e della forza-lavoro sovraprodotti, eliminando al contempo capitali e merci sovraprodotte delle potenze imperialiste occidentali, a spese in primo luogo dei popoli ucraino e russo, in secondo luogo dei popoli dei paesi della NATO, costretti anch’essi a pagare gli aspetti distruttivi del conflitto attraverso l’inflazione. Da questo punto di vista la guerra ha una natura tragica tanto da parte della Russia quanto da parte dell’Ucraina. Non è una guerra realmente voluta dalle due nazioni e, certamente, non è voluta dai popoli che la subiscono. Anche se certamente le forze nazionaliste e di estrema destra dei due paesi, in grado di influenzare significativamente tanto il governo ucraino che il governo russo, sono anch’esse colpevoli della tragedia in atto. In entrambi i casi le classi dominanti sono corresponsabili della guerra in quanto la stanno sfruttando per rafforzare il proprio dominio, anche ideologico, sulle classi subalterne. Da questo punto di vista il capitalismo nazionalista e sciovinista ucraino e russo sono corresponsabili della guerra imperialista in atto, anche se giocano al contempo il ruolo di utili idioti, in quanto favoriscono la guerra imperialista funzionale principalmente agli interessi delle grandi potenze della NATO.
Lenin, inoltre, ritiene essenziale denunciare il “gigantesco sovraprofitto” che consentono le politiche imperialiste “così chiamato perché si realizza all’infuori e al di sopra del profitto che i capitalisti estorcono agli operai del «proprio» paese”. Anche in questo caso la definizione sembra utile a comprendere le ragioni della guerra imperialista da parte delle potenze della NATO e meno per comprendere la guerra condotta da russi e ucraini, che difficilmente potranno lucrare dal conflitto in atto un “gigantesco sovraprofitto”. Peraltro da quest’ultimo è possibile “trarre quanto basta per corrompere i capi operai e lo strato superiore dell’aristocrazia operaia” (39), nelle grandi potenze imperialiste della NATO, più difficilmente nel caso di russi e ucraini, che della guerra vivranno esclusivamente gli aspetti distruttivi. L’aristocrazia operaia costituisce un fattore determinante per impedire la rivoluzione in occidente, mentre le classi dominanti russe e ucraine potranno rafforzare il loro dominio sulle classi subalterne principalmente mediante la propaganda ideologica nazionalista e sciovinista, interclassista e funzionale a una militarizzazione dei ceti sociali dominati.
La dinamica indagata prima da Marx e poi da Lenin per cui la libera concorrenza genera i monopoli, caratteristici della fase imperialista del capitalismo resta necessaria per comprendere lo sviluppo storico delle attuali potenze imperialiste della NATO. Diversa la situazione per quanto riguarda Ucraina e Russia in cui l’attuale capitalismo non si è sviluppato dalla crisi della precedente età feudale, ma dalla crisi di una transizione al socialismo che per diversi aspetti aveva dato vita, principalmente, a una forma di capitalismo di Stato. D’altra parte sia nel caso del socialismo, sia nel caso del capitalismo di Stato avviene un processo di concentrazione e di centralizzazione della produzione, questo consente con la seguente privatizzazione delle imprese di Stato o socializzate la loro appropriazione da parte di capitalisti i quali possono passare alla fase monopolistica senza dover transitare attraverso la libera concorrenza di tanti piccoli produttori autonomi. Tale fenomeno è quello che porta la vulgata giornalistica occidentale a definire oligarchi i grandi proprietari monopolisti o tendenzialmente monopolisti che caratterizzano tanto la transizione al capitalismo in Russia che in Ucraina e in gran parte delle ex repubbliche sovietiche con l’eccezione della Bielorussia.
Da questo punto di vista economico, il capitalismo ucraino e russo, per quanto più debole di quello delle grandi potenze imperialiste della NATO, conosce uno sviluppo analogo nel senso del comune dominio dei monopoli. Dunque nei paesi ex socialisti, o, per molti aspetti, caratterizzati precedentemente da forme di capitalismo di Stato, non bisogna aspettare lo sviluppo e il raggiungimento dell’apogeo della libera concorrenza, come avvenuto per le grandi potenze imperialiste della NATO, ma è possibile passare direttamente alla fase monopolistica o tendenzialmente tale. Se il capitalismo raggiunge la sua fase di sviluppo imperialista nel momento in cui i monopoli “diventano una delle basi di tutta la vita economica” (50), da questo punto di vista la transizione al capitalismo nella maggioranza dei paesi ex sovietici sembra conoscere uno sviluppo in tal senso.
Secondo Lenin all’affermazione della “fase del capitalismo monopolistico finanziario è collegato un inasprimento della lotta per la ripartizione del mondo” (118). Il fatto che la classe dirigente e dominante russa sia sempre più in competizione per la spartizione di Africa e Asia in aree di influenza con le grandi potenze imperialiste della NATO sembra un dato difficilmente confutabile. D’altra parte è un dato di fatto che diversi paesi dell’Africa e dell’Asia non vivano drammaticamente tale tendenza della Russia a prendere parte alla lotta per la spartizione del mondo in aree di influenza, in quanto la dinamica del confronto fra Russia e potenze capitaliste occidentali, anche quando assume la forma di un conflitto interimperialista, favorisce i paesi più piccoli, deboli e arretrati in quanto riescono a ottenere un margine maggiore di indipendenza e autonomia nel momento in cui divengono servitori di due padroni. Anche perché la dinamica espansionista della Russia sembra spesso legata a dinamiche più politiche che immediatamente economiche.
Il problema è che l’inserimento della Russia e, anche se in forme diverse della Cina, nella spartizione del mondo in aree di influenza avviene in un’epoca in cui da una parte era già avvenuta tale spartizione fra potenze imperialiste, in parte tale spartizione deve fare i conti con paesi che hanno sfruttato la guerra fredda per conquistarsi l’indipendenza e margini di autonomia da un punto di vista economico. Da questo punto di vista per i paesi più piccoli e deboli, facili prede dell’imperialismo, un assetto più multipolare del mondo, cioè il fatto che anche Russia, Cina e Turchia partecipino in maniera sempre più attiva alla spartizione del mondo in zone di influenza offre generalmente maggiori margini di manovra per i paesi che intendono in qualche modo difendere la propria indipendenza e autonomia. Così, per esempio, fino alla controrivoluzione colorata di Maidan, quando l’Ucraina aveva beneficiato dello scontro in atto fra potenze della NATO e Russia per accrescere le proprie aree di influenza, il paese aveva in qualche modo rafforzato la propria capacità di autodeterminazione, nella fase successiva, quando le potenze della NATO si sono imposte con la violenza, l’inganno e la capacità di egemonia, la situazione del paese è sempre più precipitata, al punto che sotto diversi aspetti rischia di divenire, di fatto, una semicolonia occidentale. Mentre le aree russofone del paese tendono a distaccarsi e a essere distaccate a forza per entrare nella zona di influenza russa.
Così, se da una parte un assetto più multipolare avvantaggia i paesi che rischiano di divenire subalterni, dall’altra parte “allorché fu terminata la divisione del mondo, allora, com’era inevitabile, s’inizio l’età del possesso monopolistico delle colonie, e quindi anche di una lotta particolarmente intensa per la spartizione e ripartizione del mondo” (174). Di tale lotta finiscono per fare le spese i paesi più deboli come nel caso specifico l’Ucraina e, all’interno di tutti i paesi impegnati in questi conflitti, i loro costi negativi vengono addossati alle classi subalterne. Dunque o queste ultime sono in grado di sfruttare la crisi e la guerra per rovesciare le classi dominanti che lucrano da queste situazioni, o crisi e guerre tenderanno a espandersi sempre più a tutto svantaggio delle classi subalterne.
Un’altra caratteristica del capitalismo nella sua fase di sviluppo imperialista è la “fusione e simbiosi delle banche con l’industria: in ciò si compendia la storia della formazione del capitale finanziario e il contenuto del relativo concetto” (80). Tale caratteristica, tipica di tutte le potenze della NATO, è, almeno apparentemente, meno caratteristica del capitalismo russo e del capitalismo di Stato cinese.
D’altra parte il passaggio dalla esportazione principalmente di merci, tipica della fase concorrenziale del capitalismo, alla esportazione principalmente di capitali della fase monopolistica (cfr. 98), è piuttosto evidente nei grandi paesi della NATO, molto meno caratteristica del capitalismo russo, mentre il capitalismo di Stato cinese sembra collocarsi in una posizione intermedia tendendo a esportare tanto merci, quanto capitali.
Quindi, se nelle potenze della NATO le caratteristiche economiche politiche e militari dell’imperialismo sono evidenti e da tempo preponderanti, in Russia sembrano essersi affermate alcune caratteristiche politiche e militari, mentre in Cina sono riscontrabili più facilmente alcune caratteristiche economiche.
Un’altra caratteristica del capitalismo nella sua fase imperialista è che “l’eccedenza dei capitali non sarà impiegata a elevare il tenore di vita delle masse del rispettivo paese, perché ciò importerebbe diminuzione dei profitti dei capitalisti, ma ad elevare tali profitti mediante l’esportazione all’estero, nei paesi meno progrediti” (99). Questo aspetto resta caratteristico delle potenze della Nato, mentre sembra decisamente meno caratteristico della Cina e della Russia.
“Mano a mano che le banche si sviluppano e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industriali, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di paesi. Questa trasformazione di numerosi piccoli intermediari in un gruppetto di monopolisti costituisce uno dei processi fondamentali della trasformazione del capitalismo in imperialismo capitalista” (60). Quest’ultima caratteristica è senz’altro tipica dei paesi imperialisti della NATO e decisamente meno caratteristica di Russia e Cina.
Provando a trarre delle prime conclusioni possiamo notare che i paesi dominanti della NATO restano a tutti gli effetti, sia politici che economici, delle potenze imperialiste. Mentre Russia e Cina presentano soltanto alcune tendenze che indicano un possibile sviluppo in senso imperialista; in Russia più da un punto di vista politico e militare, in Cina più da un punto di vista economico. D’altra parte nessuno di questi due paesi può considerarsi alieno da tendenze imperialiste, anche perché abbiamo visto che in Russia talune tendenze all’imperialismo sono presenti anche dal punto di vista economico e la maggioranza delle repubbliche ex sovietiche temono un’attitudine imperialista nei loro confronti da parte della Federazione russa. Le tendenze politiche e militari in senso imperialista presenti in Cina sono peraltro denunciate da diversi paesi asiatici, compresi paesi “socialisti” come il Vietnam. Del resto proprio la Cina e, prima ancora, la Jugoslavia avevano accusato di tendenze imperialiste l’Unione Sovietica, a dimostrazione del fatto che un paese formalmente in transizione al socialismo e dove sembrano prevalere delle caratteristiche del capitalismo di Stato – quale fase intermedia fra capitalismo e socialismo – possono sviluppare delle tendenze imperialiste, almeno da un punto di vista politico e militare.
Note:
[1] Lenin, Vladimir, Ilic, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Laboratorio politico, Napoli 1994, p. 34. D’ora in poi indicheremo direttamente nel testo, per i brani citati da quest’opera, il numero di pagina in parentesi quadre di questa edizione.