Imperialismo, rivoluzione sociale e multipolarismo

L’invasione dell’Ucraina o l’operazione speciale russa rende più facile o più difficile portare avanti una tattica multipolare in funzione della strategica rivoluzione sociale? L’invasione o l’operazione speciale e la conseguente guerra rendono complessivamente più forte l’imperialismo e la Nato o li indeboliscono? L’emancipazione degli sfruttati russi e ucraini è resa più facile o più complessa dalla invasione o dalla operazione speciale?


Imperialismo, rivoluzione sociale e multipolarismo

La questione che formalmente la Russia ha invaso l’Ucraina, violando il diritto internazionale – indispensabile per tutti i paesi oggettivamente sotto attacco da parte dell’imperialismo, compresa la Repubblica popolare cinese – è difficilmente dubitabile. Certo noi sappiamo bene che la Russia è stata comunque “costretta” a intervenire, nel conflitto civile già in atto in Ucraina, dalla politica sempre più aggressiva della Nato. D’altra parte non solo dal punto di vista formale del diritto internazionale, ma anche agli occhi della maggioranza della opinione pubblica occidentale, la Russia si è posta oggettivamente dalla parte del torto. Presumibilmente visti gli esiti di fatto negativi di quella che il governo russo ha proposto come un’operazione speciale e che, dopo oltre un anno di combattimenti, con l’intervento diretto o indiretto dei paesi della Nato, è divenuta una guerra di incerta durata non limitata alle regioni russofone, la classe dirigente russa non sembra aver giocato nel modo migliore le proprie carte. A questo proposito è necessario ricordare quanto avvenuto quando, in un caso analogo, dopo continue provocazioni con il supporto della Nato, il governo georgiano aggredì la repubblica russofona dell’Ossezia del sud. In quel caso l’esercito georgiano subì una netta sconfitta da parte dell’esercito russo e l’opinione pubblica occidentale ha dovuto prendere atto del fatto compiuto. Nel caso dell’Ucraina, purtroppo, lo scenario sembra più simile a quello dell’intervento sovietico in Afghanistan, nel qual caso, sebbene l’Armata rossa fosse intervenuta su preghiera del governo del paese per contrastare il fondamentalismo, l’opinione pubblica occidentale e il mondo musulmano ha sempre creduto che si sia trattato di una guerra di aggressione.

Se di fatto non è stato possibile o, comunque, non ha portato a risultati particolarmente brillanti nemmeno l’utopia della esportazione della rivoluzione o della democrazia, i comunisti non possono non assumere un atteggiamento critico rispetto all'aggressione o all’operazione speciale russa. Un’attitudine critica che in fin dei conti ha mantenuto anche la Repubblica popolare cinese, sebbene abbia rafforzato l'alleanza tattica con la Russia, individuando correttamente il nemico principale da battere nella Nato. Senza contare che non potremo mai ambire a essere realmente egemoni sui subalterni italiani schierandoci unilateralmente a favore dell'aggressione o dell’operazione speciale, in tal modo, al contrario, rischieremo di isolarci ulteriormente e diventeremo ancora più alieni agli occhi della nostra classe di riferimento. Senza contare che bisogna imparare a non accettare le provocazioni, se non si vuole finire nella trappola che ci hanno teso i nostri nemici. Soprattutto quando sei decisamente più debole, se cadi nella provocazione e accetti lo scontro in campo aperto, rischi di divenire un pericoloso avventurista. Una mossa che, se fosse stata compiuta da una parte di un esercito, avrebbe comportato misure punitive particolarmente severe. Del resto, persino le popolazioni russofone ucraine, prima preoccupatissime per le posizioni russofobe dei golpisti al potere dopo la contro-rivoluzione colorata di Maidan, ora potrebbero ritenere che, in realtà, anche il governo russo li stia strumentalizzando, animato in fondo dalla medesima volontà di potenza dei suoi avversari. Senza contare che l’attitudine guerrafondaia della Russia ha favorito il momentaneo superamento delle precedenti contraddizioni interimperialiste.

Tanto più che diviene difficile non prendere nemmeno in considerazione la possibilità che la Russia attuale divenga nel medio termine o, comunque, aspiri a diventare un paese imperialista. Senza contare l'appoggio che fornisce all'estrema destra in diversi paesi, bisognerebbe anche considerare il ruolo che svolge in Africa e nelle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia, non di rado attraverso i mercenari della Wagner, compagnia privata decisamente orientata a destra.

Detto questo, dovrebbe rimanere evidente che per chi intendesse mutare le cose in modo rivoluzionario il primo nemico da combattere non potrebbe che essere il proprio imperialismo. A tale scopo ci si dovrebbe schierare in primo luogo contro l'imperialismo italiano, in secondo luogo contro l'imperialismo europeo, in terzo luogo contro l'imperialismo della Nato, peraltro tutti e tre impegnati a combattere la Russia per mezzo dell'Ucraina.

Detto questo credo che, in quarto luogo, dovremmo essere anche, in quanto rivoluzionari, contro le tendenze imperialiste della o nella Russia. Infine, dal momento che il fine giustifica i mezzi indispensabili alla sua attuazione, naturalmente se si tratta di un fine grande e imprescindibile, sarebbe lecito allearsi con chiunque se questo consentisse di fare un passo avanti verso il socialismo. D’altra parte, come insegna Lenin, per quanto duttile debba essere la pratica delle alleanze, i comunisti non possono perciò smettere di denunciare i propri stessi momentanei alleati dinanzi alle masse popolari. Per cui si potrebbero anche sostenere le ragioni della Russia di Putin, soprattutto se contrastano l'imperialismo italiano, europeo e della Nato, ma bisognerebbe al contempo non smettere di denunciare lo Stato capitalista di questo paese di fronte al proletariato. Del resto, se da un punto di vista strettamente economico, la Russia non è ancora un paese imperialista, ciò non toglie che le sue politiche o semplicemente le sue pulsioni tendenzialmente imperialiste vadano criticate nel modo più netto, in primo luogo dai comunisti russi.

Tanto più che, come insegna Lenin, è l'imperialismo stesso che, in quanto tale, produce la guerra. L'unico modo per farla finita con le guerre prodotte dall'imperialismo è trasformare la guerra imperialista in una guerra civile e sociale rivoluzionaria (per il socialismo). Ciò implica la parola d’ordine della fraternizzazione fra i soldati sfruttati dei diversi paesi affinché rivolgano le loro armi verso i loro comandanti sfruttatori. Quindi il multipolarismo, prevedendo la persistenza dell'imperialismo, non risolverebbe il problema della guerra imperialista, anche se la potrebbe attenuare. L'unica reale e duratura soluzione resta la rivoluzione socialista.

Si potrebbe sostenere che si tratta di posizioni ormai storicamente superate, che potevano essere valide all’epoca della prima guerra mondiale fra potenze imperialiste. Tanto più che la rivoluzione in occidente è fallita per aver voluto imitare dogmaticamente la tattica utilizzata e risultata vincente dei bolscevichi nel loro contesto. Si potrebbe anche sostenere che, considerati gli attuali rapporti di forza, la prospettiva comunista sarebbe decisamente inattuale. D’altra parte, se si considera storicamente superata la soluzione bolscevica all’imperialismo, tanto più andrebbe considerata da abbandonare la soluzione in fin dei conti liberale della divisione dei poteri, anche nella forma attuale del multipolarismo. Per quanto concerne il realistico tener conto degli attuali rapporti di forza, non va dimenticato che, in primo luogo, tale accorgimento vale nell’immediato dal punto di vista tattico e non, nel medio e lungo periodo dal punto di vista strategico. Perciò se tatticamente si debbono sostenere le ragioni delle grandi potenze che si battono per un mondo multipolare, al contempo dal punto di vista strategico non si può non denunciare che dette potenze, nella misura in cui non credono nella transizione al socialismo mediante la lotta di classe, nel medio e lungo periodo più che far parte della soluzione del problema, diventeranno parti del problema stesso. Occorre inoltre ricordare che se le difficoltà momentanee da un punto di vista tattico possono fare apparire come utopistiche le prospettive strategiche, in tal modo si rischia di finire per condividere, magari inconsapevolmente, la concezione revisionista e socialdemocratica per cui i mezzi sono tutto e il fine diviene un ostacolo. Anche perché è proprio la crisi strutturale oggettiva e sempre più ampia del capitalismo e la sua inevitabile tendenza a ricorrere a guerra e distruzioni per procrastinare la propria inevitabile fine a rendere sempre di nuovo attuale, anche quando appare improbabilissima, la soluzione socialista. Si pensi alla situazione del 1914, l’internazionalismo sembrava completamente sconfitto dallo sciovinismo, persino tutti i pacifisti, gli intellettuali democratici e socialdemocratici e non pochi socialisti sostenevano la necessità inevitabile di quella che sarebbe stata la prima guerra imperialista mondiale. Le prospettive rivoluzionarie dei bolscevichi, completamente isolati sul piano nazionale e internazionale, apparivano residuali e condannate all’insignificanza. Appena tre anni dopo dimostravano, al contrario, che la rivoluzione socialista e la costruzione di un primo grande stato socialista e sovietico non erano, come si era quasi sempre creduto e sostenuto, una utopia.

Certo la prospettiva comunista va rideclinata o, come direbbe Gramsci, ritradotta nell’attualità, ma sempre dal punto di vista tattico e non strategico, a meno che non si intenda seguire la prospettiva revisionista. A tale scopo è indispensabile partite da una analisi il più possibile realistica, dialettica e non schematica, ideologica e manichea della realtà nella sua intrinseca e contraddittoria complessità.

Da questo punto di vista non si possono ridurre schematicamente e in modo manicheo tutti i combattenti ucraini, che si battono per il diritto democratico di ogni popolo alla autodeterminazione nazionale, a dei nazisti o a dei mercenari al soldo dell’imperialismo. La guerra difensiva ucraina, fra le sue diverse e molteplici sfaccettature, ha anche assunto la forma in sé progressista di una guerra di popolo contro un invasore che deve apparire per diversi tratti imperialista. A combattere o a credere di combattere quest’ultima vi sono certamente non pochi proletari poco o nulla coscienti di classe, che sono completamente all’oscuro di quanto vengono strumentalizzati e monopolizzati dagli agenti del grande capitale transnazionale.

D’altra parte fra i russi non ci sono soltanto combattenti per la libertà, antimperialisti, difensori del diritto dei russofoni ucraini all’autodeterminazione, ma al contrario anche qui presumibilmente la maggioranza dell’esercito è costituito da oppressi proletari e sottoproletari, con scarsa coscienza di classe, costretti di fatto ad arruolarsi dalle tragiche condizioni in cui sono costretti a vivere nello stato capitalista russo, tanto più se sempre più messo alle corde dalle grandi potenze imperialiste della Nato.

Ora, dal punto di vista sia tattico che strategico è preferibile e più praticabile far comprendere a tutti questi umiliati e offesi che al momento, l’unica prospettiva possibile, è battersi insieme alla Russia di Putin per un mondo multipolare? Oppure sarebbe preferibile e anche più praticabile fargli intendere che per liberarsi dallo sfruttamento debbono necessariamente rovesciare le armi verso i loro reali sfruttatori e nemici (di classe)?

Peraltro, perseguire ciecamente esclusivamente un tatticismo geopolitico sulla base del multipolarismo o del multilateralismo rischia di creare un abisso fra proletari fratelli o quantomeno cugini come quelli russi e russofili e quello ucraino. Una divisione e una guerra fra proletari che non può che favorire la perpetuazione di rapporti di produzione e proprietà basati sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Dunque, dal momento che di fatto tanto nell’esercito russo che ucraino a combattere sono principalmente gli sfruttati e, in maniera ancora più massiccia, i subalterni, il ruolo fondamentale e imprescindibile dei comunisti non deve essere quello di cercare, con infinita pazienza, di far capire agli sfruttati che i loro nemici non sono gli sfruttati del paese vicino, ma gli sfruttatori, innanzitutto del proprio paese? Sarebbe forse preferibile e più realistico convincere gli sfruttati russi, costretti di fatto a combattere, che tatticamente dovrebbero sostenere i loro sfruttatori che li mandano a morire per uccidere i fratelli o cugini sfruttati ucraini? Sarebbe più realistico e comunista convincere gli sfruttati ucraini a passare dalla parte degli sfruttatori russi che li hanno invasi, perché questo sarebbe preferibile dal punto di vista tattico e geopolitico?

21/04/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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