Recensioni a Storia e coscienza di classe

Le accuse più ricorrenti a Storia e coscienza di classe sono di idealismo, di soggettivismo e di deformazione del #marxismo, per avere escluso la natura dalla considerazione #dialettica.


Recensioni a Storia e coscienza di classe

L’accoglienza, non certamente favorevole, riservata al libro di György Lukács del 1923 negli ambienti della III Internazionale, confermò in pieno la non difficile previsione espressa da Ernst Bloch nella sua recensione: “invero non sarà facile trovare dei buoni lettori per questo libro. I russi, che agiscono filosoficamente, ma pensano come cani incolti, subodoreranno l’eresia. Immensamente diversi dai revisionisti, sono però egualmente privi di eredità filosofica e molti di loro diranno che Marx non ha certo rimesso in piedi Hegel perché Lukács rovesciasse di nuovo Marx dalla parte della testa. D’altra parte, gli altri cultori di filosofia, dalla loro posizione profondamente disinteressata, puramente contemplativa, non saranno in grado di trovare nessuna via d’accesso a quest’unica legittima rinascita di Hegel” [1].

A prescindere dai toni spesso astiosi, le accuse più ricorrenti sono di idealismo, di soggettivismo e di deformazione del marxismo, per avere Lukács escluso la natura dalla considerazione dialettica. Data la sostanziale identità di vedute fra i critici ortodossi, ci limiteremo ad accennare brevemente soltanto alle argomentazioni svolte da László Rudas, mentre ci soffermeremo più distesamente sulle recensioni di Bloch e di József Révai, per l’originalità delle tesi ivi sostenute.

Dopo aver evidenziato l’origine intellettuale di Lukács e la sua formazione culturale all’ombra dello storicismo tedesco rendendo, altresì, omaggio alla sua militanza comunista nella Repubblica dei Consigli ungherese – Rudas, nell’articolo Marxismo ortodosso? [2], respinge la limitazione del metodo dialettico alla sola realtà storico-sociale, avanzata da Lukács in Storia e coscienza di classe, e difende la concezione di Friedrich Engels sull’esperimento e sull’industria come casi tipici di praxis in grado di poter dissolvere la cosa in sé kantiana [3]. Se il primo rilievo critico sarà recepito da Lukács nella successiva autocritica, sul secondo punto egli, ancora nel 1967, ribadisce la sostanziale incomprensione da parte di Engels della cosa in sé kantiana, il cui superamento viene da costui affidato alla praxis immediata, all’attività lavorativa in quanto tale: “può facilmente accadere infatti che il lavoro stesso si arresti alla pura e semplice manipolazione, trascurando spontaneamente o consapevolmente la soluzione del problema dell’in sé oppure ignorandolo del tutto o in parte. La storia ci mostra casi di un’azione praticamente corretta sulla base di teorie del tutto false che non contengono un afferramento dell’in sé nel senso di Engels. Anzi, la stessa teoria kantiana non nega affatto il valore conoscitivo, l’oggettività degli esperimenti di questo genere, solo che essa li relega nell’ambito dei puri e semplici fenomeni, mentre l’in sé resta inconoscibile” [4].

Nella seconda parte della sua recensione, La teoria della coscienza di classe di Lukács, Rudas ritiene che l’idealismo lukácciano si palesa chiaramente nella nozione di coscienza di classe. La frase incriminata, dalla quale egli prende le mosse, è la seguente: “la coscienza di classe non è la coscienza psicologica dei singoli proletari oppure la coscienza (intesa in termini di psicologia di massa) della loro totalità, ma il senso divenuto cosciente della situazione storica della classe” [5]. Si tratterebbe del vizio idealistico di attribuire un senso dall’esterno alla situazione di classe, di operare una sovrapposizione soggettivistica della finalità rispetto alla concreta situazione storica. Per Rudas “ci troviamo di fronte all’esistenza di qualcosa che va oltre la connessione causale degli avvenimenti ed è al di sopra di essi, cioè al fine verso cui tende l’avvenimento in questione: il fine della natura e della società che l’avvenimento contribuisce a realizzare. Sono quindi «significativi» o «storicamente significativi» solo gli eventi che aiutano a realizzare tale fine o scopo. È chiaro che si tratta dei cosiddetti «valori», «valori culturali», ecc. che abbiamo conosciuto in Rickert e Weber” [6]. Invece di attenersi ai fatti e scoprire i loro nessi causali – e in ciò consiste l’unico “fine conoscitivo del marxismo” –, Lukács “evoca assai palesemente i valori culturali rickert-weberiani, che costituiscono proprio il «fine conoscitivo» verso il quale devono svolgersi i «fatti»” [7].

La coscienza di classe così attuata si rivela essere una costruzione arbitraria di Lukács, senza alcuna attinenza con la situazione storico-concreta e con i suoi nessi materiali; per di più “la sua analisi è impostata filosoficamente. Esattamente in contrasto con lo spirito del marxismo!” [8]. Quest’ultima stupefacente notazione, indicativa di un marxismo interpretato in chiave rigidamente scientista, la dice lunga sullo stile di confutazione adottato da Rudas, al quale, se da una parte riesce facile aggredire singoli punti deboli della proposta lukacciana – facendo leva su princìpi assunti dogmaticamente –, dall’altra se ne lascia sfuggire i contenuti innovatori e forieri di un arricchimento teorico del marxismo.

In realtà, se vogliamo attenerci alla nozione di coscienza di classe, la critica di Rudas si basa su un fraintendimento di fondo: egli, equiparando la coscienza di classe del proletariato alla coscienza di classe in generale, non coglie la specificità del compito storico-universale a cui è chiamata la classe operaia, e che non è coincidente con i suoi interessi immediati. Poiché si tratta del passaggio dalla preistoria alla storia e si annuncia per la prima volta la possibilità di guidare coscientemente il processo storico e di dominare i rapporti sociali, la questione della prassi consapevole diventa decisiva e la sua soluzione non può essere lasciata agli automatismi dei nessi causali. Il legame dialettico tra l’in sé e il per sé del concetto lukacciano di coscienza di classe resta fuori dalla portata dell’analisi di Rudas, col risultato di un attardarsi, magari anche giustamente, su singoli aspetti criticabili, senza però dare alcun contributo costruttivo alla ripresa del metodo dialettico da parte di Lukács.

Di ben altro tenore è la recensione di Bloch, il quale saluta entusiasticamente la novità teorica apportata dal libro di Lukács, accostandola al fermento del movimento espressionista, durante il precipitare della crisi della cultura borghese.

In effetti, la lettura di Storia e coscienza di classe, rappresenta per Bloch una tappa fondamentale del suo progetto teorico incentrato sul tema dell’utopia: la divaricazione esistente in Spirito dell’utopia e nel Thomas Münzer tra l’oscurità dell’attimo vissuto e l’attesa escatologica, viene riempita di contenuto storico e tende alla concretizzazione dell’aspirazione soggettiva verso il trascendimento del presente. Grazie al marxismo interpretato da Lukács alla luce della dialettica hegeliana, la datità immanente – vista nella sua processualità contraddittoria – si apre alla possibilità di trascendimento e diventa il terreno in cui si radica la tensione utopica, evitando la caduta del soggetto in un attivismo astratto e privo di costrutto.

Con il titolo dato alla sua recensione, Attualità ed utopia, Bloch oltre a voler marcare il processo in fieri nel presente della concretizzazione dell’utopia, ha anche voluto sottolineare le affinità e il rapporto di continuità esistenti tra Spirito dell’utopia e Storia e coscienza di classe. Il punto di maggiore contatto è dato, infatti, dall’ attimo, che in Lukács compare come il momento della decisione, ossia dell’intervento cosciente del soggetto storico, mediato all’interno della totalità: “in Lukács il momento attuale è quantomeno la difficoltà del termine medio; ma poiché la logica dialettica non è più il pensiero che accade separato dall’essere e irrigidito in questa separazione, bensì il pensiero appare qui come forma della realtà, come momento dello stesso intero processo, lo si può rapportare anche al momento dei momenti, al momento attuale della mediazione attiva. Soltanto finché l’uomo orienta il suo interesse – intuitivamente contemplativo – al passato o al futuro, entrambi si irrigidiscono in un essere estraneo, e fra soggetto e oggetto si annida l’insuperabile «dannoso spazio» del presente. Ma appena il concetto, esso stesso procedendo non diviso, esso stesso dialettico è in grado di intendere il presente come divenire, riconoscendo in esso le tendenze dal cui contrasto dialettico esso può creare il futuro, il presente diventa il suo presente, momento della decisione, della nascita del nuovo” [9].

La ricezione positiva del marxismo di Lukács integrato dai temi hegeliani della dialettica e della totalità, segna per Bloch anche un mutamento della valutazione di Hegel, contenuta in Spirito dell’utopia: cade l’obiezione ivi sollevata sul panlogismo hegeliano, nella cui oggettività andrebbe perduta la soggettività, e anche il giudizio sul processo di sviluppo del concetto, che si rivelerebbe essere un falso automovimento temporale che accade nella storia, ma che in realtà ha il proprio fondamento nell’immobilità atemporale dell’Idea, già prefissata a priori. Nel capitolo di Spirito dell’utopia dedicato a Kant e a Hegel, l’interiorità del primo superava l’ Enciclopedia del mondo del secondo; secondo il parere di Bloch era “necessario far folgorare Kant in Hegel: l’Io deve restare in tutto. Ma il frutto migliore, lo scopo unico del sistema è proprio l’Io che desidera ed esige, inaffondato mondo del postulato del suo a priori, pur se si aliena in tutto, pur se si muove proiettandosi nel tutto per spezzare il mondo e porre se stesso forzando mille porte. Perciò Kant è superiore a Hegel, come la psiche al pneuma ed a Pan. Perciò l’etica sta sopra l’enciclopedia del mondo ed il nominalismo morale della fine sovrasta il realismo ancora parzialmente cosmologico dell’idea universale hegeliana” [10].

 

Note:

[1] Bloch, Ernst, Attualità e utopia. “Storia e coscienza di classe” di Lukács [1924], in AA.VV., Intellettuali e coscienza di classe, introduzione e a cura di Boella, L., Milano, Feltrinelli 1977, pp. 148-167, p. 150.

[2] La recensione di Rudas, pubblicata nel 1924 sulla rivista viennese Arbeiterliteratur, si articola in due parti: la prima intitolata Marxismo ortodosso?, la seconda La teoria della coscienza di classe di Lukács.

[3] Engels aveva espresso la sua critica allo scetticismo di David Hume e al criticismo kantiano nel Ludwig Feuerbach: “la confutazione più decisiva di questa ubbìa filosofica, come del resto di tutte le altre, è data dalla pratica, particolarmente dall’esperimento e dall’industria. Se possiamo dimostrare che la nostra comprensione di un dato fenomeno naturale è giusta, creandolo noi stessi, producendolo dalle sue condizioni e, quel che più conta, facendolo servire ai nostri fini, l’inafferrabile «cosa in sé» di Kant è finita” Engels, Friedrich, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Karl Marx-Engels, 1969, Opere scelte, a cura di Gruppi, Luciano, Roma, Editori Riuniti pp. 1101-1147, p. 1116.

[4] Lukács, György, Prefazione del 1967, in Id., Storia e coscienza di classe, traduz. di Piana, G., introduz. di Spinella, M., Milano, SugarCo Edizioni pp. XXV-LXI, p. XXXVIII.

[5] Id., Storia e coscienza …, op. cit., p. 96.

[6] Rudas, László, Marxismo ortodosso? [1924], in AA.VV., Intellettuali e coscienza…, op. cit., p. 84.

[7] Ivi, p. 88.

[8] Ibidem.

[9] Bloch, E., Attualità e utopia…, op. cit., p. 161.

[10] Id., Spirito dell’utopia [1923], a cura di Coppellotti, F., traduz. di Bertolino, V., e Coppellotti, F., Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 238-39.

22/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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