Marx, dal Manifesto a Il capitale

L'evoluzione del pensiero di Marx tra la stesura del Manifesto del Partito Comunista e quella de Il Capitale.


Marx, dal Manifesto a Il capitale

Proseguendo nell’esposizione sintetica degli aspetti fondamentali e maggiormente attuali dell’opera di Marx, passiamo all’analisi del decisivo periodo che intercorre fra la battuta d’arresto della Rivoluzione del 1848 e la elaborazione della critica dell’economia politica dominante. Marx, mentre si batte per l’organizzazione internazionale e rivoluzionaria del movimento dei lavoratori, sviluppa un’analisi scientifica per mostrare come la ricchezza prodotta dalla società capitalista si fondi sullo sfruttamento del lavoro salariato.

di Renato Caputo

Marx ed Engels concludono la loro opera nel gennaio 1848 invitando il proletariato di tutto il mondo a unirsi per dar vita a un grande processo rivoluzionario. Appena un mese dopo, la rivoluzione scoppiata in Francia innesca uno dei più ampi processi rivoluzionari che la storia abbia conosciuto, incendiando l’intera Europa in quella che è ricordata come la primavera dei popoli. Così Marx, espulso anche da Bruxelles, potrà finalmente tornare nel suo paese e riprendere la pubblicazione del suo giornale, con il titolo di “Nuova gazzetta renana”, che diviene l’organo di stampa della componente più radicale della rivoluzione. D’altra parte è proprio la radicalità delle posizioni espresse per la prima volta in modo autonomo dal proletariato moderno, finalmente dotato di coscienza di classe, a spaventare la borghesia, tanto da fargli abbandonare le posizioni rivoluzionarie per cercare un compromesso con le precedenti classi dominanti. Così il giornale diretto da Marx, che mirava a sviluppare ulteriormente il processo rivoluzionario, rendendolo al contrario permanente, è chiuso e Marx è costretto di nuovo a trovare rifugio all’estero.

Nell’esilio londinese, nel Paese allora al centro dello sviluppo capitalistico, Marx inizia un’approfondita analisi storica sulle cause della sconfitta della rivoluzione sociale, in particolare sui decisivi conflitti sociali e politici divampati in Francia tra il 1848 e il 1851 che hanno portato, per la prima volta, a uno scontro diretto e aperto fra borghesia, quale nuova classe dirigente, e proletariato quale nuova classe universale e rivoluzionaria. Pubblica così due preziosi saggi storici – Le lotte di classe in Francia 1848-50 e Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte – ancora estremamente attuali, perché mostrano l’involuzione della borghesia una volta conquistato il potere e si sente messa in discussione dall’emergere del proletariato. Al punto che abbandona progressivamente i propri stessi ideali liberal-democratici realizzando, mediante il populismo, la demagogia, il plebiscitarismo e un Cesarismo regressivo, una dittatura sempre più aperta sulle classi subalterne.

Negli anni seguenti la famiglia di Marx vive in una condizione di miseria alleviata solo dal costante supporto di Engels. Nonostante queste precarissime condizioni di vita, Marx, in questa fase di riflusso del movimento rivoluzionario, si dedica anima e corpo allo studio dell’economia politica, nella fornitissima biblioteca del British Museum, per sviluppare una critica dell’economia politica sino ad allora egemonizzata da intellettuali borghesi o conservatori e dare un fondamento scientifico al movimento rivoluzionario dei lavoratori, a partire dalla dimostrazione scientifica che il modo di produzione capitalista si fonda sul loro sfruttamento.

Da tali ricerche nascono gli studi preparatori a Il capitale, i Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica del 1857/1858 e la prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859, in cui fra l’altro Marx approfondisce la concezione materialistica della storia.

A tale proposito, Marx mostra come nella storia si siano susseguiti, sino ad allora, essenzialmente quattro diversi modi di produzione: l’asiatico, proprio delle civiltà orientali preelleniche, l’antico caratteristico del mondo greco e poi romano, il feudale dominante lungo tutto il medioevo, il capitalistico che si è affermato nel mondo moderno. Se questo è stato l’ordine dello sviluppo storico del modo di sviluppare la produzione e la riproduzione sociale, ciò non significa che tale processo abbiano dovuto necessariamente seguire tutti i diversi popoli. Così, ad esempio, in diversi Paesi colonizzati si è passati dal modo di produzione asiatico direttamente al modo di produzione capitalistico, imposto dalle potenze colonizzatrici.

Il modo di produzione asiatico si fonda sulla proprietà tribale o comunitaria del villaggio o del clan del principale mezzo di produzione, costituito in queste arcaiche civiltà agricole dalla terra e dai semplici strumenti necessari a coltivarla. Il singolo in tale mondo storico non è ancora riconosciuto come individuo libero, ma solo come membro di una comunità rigidamente gerarchizzata.

In effetti, a differenza di quanto sostenevano i liberali, che tendevano a naturalizzare la società civile borghese, è solo nel corso del processo storico che l’individuo è divenuto sempre più libero e indipendente. Così, se nei modi di produzione precapitalistici, predomina ancora un rapporto di dipendenza personale fra gli uomini, col capitalismo si affermano fino a divenire per la prima volta dominanti rapporti fra individui liberi e indipendenti. Si tratta, però, di una autonomia del singolo solo dal punto di vista formale, essenzialmente giuridico, considerato che l’indipendenza dei lavoratori manuali, finalmente liberi di disporre della propria persona, comporta al contempo la loro liberazione, ovvero la perdita dei mezzi di produzione e di riproduzione della propria lavoro, di cui avevano parzialmente beneficiato nelle società precedenti. In tal modo pur divenendo liberi cittadini i lavoratori salariati dipendono materialmente per la loro stessa sopravvivenza dai capitalisti che hanno progressivamente posto sotto il loro controllo monopolistico i grandi mezzi di produzione e di riproduzione della stessa forza-lavoro.

In tal modo lo stesso operare dei singoli, in primo luogo nei posti di lavoro in cui sono costretti a trascorrere le ore migliori della giornata in tutti gli anni maggiormente produttivi della loro esistenza, è sovradeterminato da un sistema di rapporti economici e sociali così poco condizionabile da un singolo, da apparire naturale. L’affermarsi del modo di produzione capitalistico, dunque, da un lato rende l’individuo indipendente dal rapporto servo-signore caratteristico delle precedenti società, dall’altro lo vincola a una potenza sociale che gli è sempre più estranea e che lo sovrasta, ovvero il lavoro morto nella forma del capitale che sempre più domina e si appropria come un vampiro del lavoro vivo. Allo stesso modo l’enorme sviluppo delle forze produttive va sempre più a vantaggio di un numero sempre più ristretto di grandi proprietari.

Gli anni seguenti, gli ultimi della vita di Marx, saranno interamente dedicati dal punto di vista pratico-politico alla fondazione e organizzazione della prima Internazionale dei lavoratori, al cui interno dovrà portare avanti una dura lotta per l’egemonia contro le componenti piccolo-borghesi, democratiche, proudhoniane e anarchiche. Dal punto di vista teorico questi anni lo vedono sempre più impegnato alla stesura della sua opera decisiva Il capitale, Critica dell’economia politica, che vuole essere un portentoso affresco del mondo moderno caratterizzato dall’affermarsi del modo di produzione capitalistico e dal progressivo emergere delle sue oggettive contraddizioni.

Il capitale, infatti, analizza il modo di produzione capitalistico nel suo complesso nei primi tre libri, mentre nel quarto traccia la storia delle teorie economiche, ma l’analisi, come si evince dal piano dell’opera, deve proseguire con lo studio delle sovrastrutture giuridico-politiche. Marx, tuttavia, studioso meticolosissimo e costantemente impegnato da filosofo della prassi sul piano politico, porta a termine soltanto il primo libro, che pubblica con il sottotitolo di: Processo di produzione del capitale. Il secondo e il terzo libro saranno pubblicati postumi, sulla base dei vasti e dettagliatissimi appunti lasciati da Marx, dal suo più stretto collaboratore e compagno: Engels, rispettivamente nel 1885 e nel 1894. Il quarto libro sarà pubblicato solo nel 1905 da Kautsky, collaboratore del vecchio Engels da cui erediterà il prezioso lascito marxiano, con il titolo Teorie sul plusvalore. I restanti volumi previsti nel piano dell’opera non sono stati scritti.

La prima edizione del I libro è del 1867, la seconda del 1873. Nella prefazione alla prima edizione e nel poscritto alla seconda Marx discute l’oggetto e il metodo del suo capolavoro. L’oggetto è il modo capitalistico di produzione e i rapporti sociali di proprietà e di scambio che su di esso si fondano e sviluppano. Considerato che, come mostra la concezione materialistica della storia, il modo di produzione condiziona la struttura sociale, politica e culturale, l’opera di Marx offre le basi per la comprensione della società moderna nel suo insieme (al punto che un grande storico del pensiero, non sospettabile di simpatie comuniste, come Jean Hyppolite sosterrà che con la Fenomenologia dello spirito è l’unica opera imprescindibile alla comprensione della nostra epoca).

Per quanto concerne il metodo di Il capitale, Marx sottoliena che la struttura economico-sociale di un modo storico di produzione è necessariamente regolata da leggi che hanno una validità oggettiva, analoghe a quelle che regolano i fenomeni analizzati dalla scienza della natura. Per quanto concerne, invece, l’analisi delle sovrastrutture culturali, giuridiche e politiche debbono altrettanto necessariamente avere spazio le prospettive soggettive, orientate sulla base della scala di valori su cui si fonda la prospettiva e la visione del mondo dello studioso, per cui gli assetti delle sovrastrutture non potranno certo essere ricavati per via deduttiva, a priori, a partire delle strutture socio-economiche.

Anche per l’elaborazione delle leggi economiche, a differenza dello scienziato naturale che può giovarsi di esperimenti per verificare la validità delle proprie ipotesi teoriche, l’economista dovrà fondarsi unicamente sulla capacità di astrazione intellettuale sulla base di un’attenta analisi dei fenomeni economico-sociali da indagare nel luogo in cui in quel momento storico si manifestano nel modo più puro, ossia lì dove il modo di produzione capitalistico è maggiormente sviluppato. Perciò Marx parte dall’analisi della società capitalistica inglese, il Paese allora all’avanguardia da questo punto di vista. Inoltre anche le leggi economiche, essendo un prodotto sociale dell’uomo, sono necessariamente storicamente determinate. Perciò Marx critica l’economia politica dominante che tende a universalizzare, naturalizzandole, le leggi del capitalismo, assumendo così un’attitudine non scientifica, ma apologetica. Marx è, così, contrario alla tendenza dominante nell’economia borghese di ridurre l’analisi della complessità dei fenomeni economici ai soli aspetti quantitativo-matematici, oggetto d’indagine dell’intelletto calcolante, proprio perché alla base degli assetti socio-economici in quanto storicamente determinati vi sono prese di posizione politiche, morali, culturali, per altro espressione della lotta per l’egemonia fra gruppi sociali mossi da interessi divergenti.

Proprio per questo il metodo prescelto da Marx è quello storico e filosofico dialettico, per il quale si richiama alla lezione di Hegel, anche se, a suo avviso, occorre individuare il nocciolo razionale della logica dialettica hegeliana separandolo dal guscio mistico, ossia dalla prospettiva idealista in cui è ancora prigioniero. Dunque per quanto la filosofia di Hegel muova ancora nell’analisi del contesto storico dal momento ideologico del pensiero e non dai rapporti sociali fra gli uomini reali, tuttavia essa resta metodologicamente essenziale in quanto la sua prospettiva dialettica insegna a concepire “ogni forma divenuta nel fluire del suo movimento”. In tal modo il metodo dialettico, ripensato dal punto di vista della concezione materialistica della storia, consente di comprendere gli assetti della realtà sociale come storicamente determinati e, dunque, soggetti a essere sviluppati e superati nel momento in cui non saranno più in grado di soddisfare i bisogni reali in funzione dei quali erano stati elaborati. Perciò, a differenza dell’economia e delle scienze sociali tradizionali, Marx non disgiunge mai intellettualisticamente, ossia astrattamente, il momento dell’analisi da quello della critica sociale, politica e morale. Per cui si tratta sempre di comprendere e al contempo criticare il modo di produzione capitalistico, in funzione del suo superamento, secondo l’impostazione propria della filosofia della prassi per cui non è più sufficiente fornire una nuova analisi della realtà storica, ma si tratta al contempo di contribuire alla sua radicale trasformazione storica.

14/06/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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