Losurdo e l’opposizione di astratto e concreto in Hegel

Hegel, di fronte ai critici della rivoluzione come astrazione che rompe il naturale sviluppo, non si limita come Kant e Fichte a difendere il ruolo dell’astrazione teorica, ma ripensa in riferimento alla Rivoluzione francese e, più in generale, all’agire politico la dialettica che si instaura tra le categorie di astratto e concreto.


Losurdo e l’opposizione di astratto e concreto in Hegel

Nel segno della continuità tra Hegel e Marx sono molti dei notevoli saggi che si trovano ne L’ipocondria dell’impolitico, dato alle stampe da Domenico Losurdo nel 2001. In questo articolo intendiamo sviluppare l’opposizione tra i concetti di astratto e concreto in particolare in Hegel. Tale questione è approfondita da Losurdo, in particolar modo, nel secondo saggio dell’opera sopra citata.

Punto di partenza del saggio è il fatto che mentre le rivoluzioni moderne precedenti alla Rivoluzione francese, cioè quella inglese e americana, erano accompagnate da un dibattito essenzialmente teologico-politico, dopo il 1789 diviene centrale una riflessione di tipo epistemologico-politico. Anche se il piano teologico-politico viene conservato, risulta tuttavia secolarizzato, l’accento è, infatti, posto più sull’aspetto politico che su quello teologico. Edmund Burke critica i rivoluzionari francesi perché si appellano a princìpi astratti come la rivendicazione dell’uguaglianza giuridica violando così l’ordine naturale delle cose, “la tradizionale denuncia dell’eresia – sottolinea Losurdo – viene ora affiancata e tende ad essere soppiantata dalla denuncia dell’«astrazione»” [1]. Anche un difensore dell’ortodossia religiosa come Joseph de Maistre denuncia i rivoluzionari che hanno abbandonato l’esperienza e la storia a favore delle regole e dei princìpi astratti. La dicotomia eresia/ortodossia, quindi, “che era stata al centro delle precedenti rivoluzioni, tende ad essere sostituita dalla dicotomia astrazione/concretezza, teoria/esperienza ovvero dalla dicotomia che mette in stato d’accusa l’artificio in nome al tempo stesso della natura e della storia” [2].

Hegel, di fronte ai critici della rivoluzione come astrazione che rompe il naturale sviluppo, non si limita come Kant e Fichte a difendere il ruolo dell’astrazione teorica, ma ripensa in riferimento alla Rivoluzione francese e, più in generale, all’agire politico la dialettica che si instaura tra le categorie di astratto e concreto. Non c’è dubbio, il concetto di uomo è il risultato di un processo di astrazione rispetto alle sue determinazioni specifiche quali, ad esempio, le particolarità nazionali. Tale processo è, tuttavia, per Hegel, non solo legittimo ma anche necessario; nella Scienza della logica, infatti, il filosofo tedesco “respinge con forza la tesi secondo cui le astrazioni scientifiche rappresenterebbero un impoverimento rispetto alle realtà immediate, di cui esse, al contrario, riescono a cogliere ed esprimere l’essenziale” [3].

Hegel, d’altro canto, difende l’importanza del processo storico che ha portato alla formulazione del concetto di uomo astratto e universale, che concretamente ha reso possibile l’abolizione della schiavitù. A tale proposito Losurdo cita un brano tratto dalla Filosofia della storia di Hegel: “perché non ci sia schiavitù è necessaria anzitutto […] la nozione che l’uomo come tale è libero. Ma per ciò occorre che l’uomo possa essere pensato come universale, e che si prescinda dalla particolarità secondo cui esso è cittadino di questo o quello Stato” [4]. Questo processo storico che porta a riconoscere il valore universale dell’uomo, indipendentemente da qualsivoglia appartenenza religiosa, nazionale o sociale è, a parere di Hegel, irreversibile. A rischiare di astrattezza è invece chi intende prescindere da tutto ciò. Perché se è vero che il concetto universale di uomo non rinvia propriamente alla natura, rinvia però alla seconda natura dell’uomo, che comprende la storia, il mondo politico e la vita concreta degli esseri umani. A pensare in astratto sono, quindi, i reazionari che non tengono conto del processo storico e vogliono tornare allo stadio precedente, in quanto il loro concetto di uomo è astratto in quanto fissato “in un’unica «astratta determinazione» che è quella della ricchezza o del rango sociale” [5].

Ciò che è astratto è il non riconoscere la dignità di tutti gli uomini, concetto che fa ormai parte della seconda natura umana, frutto di una lunga lotta per il riconoscimento; è evidente, quindi, che non è l’immediatezza a essere sinonimo di concretezza e che l’astrazione non è solo un processo mentale, ma è anche un processo storico: “il sollevarsi all’astrazione è un momento essenziale del processo di formazione dell’individuo, della Bildung, e ora "appartiene alla cultura" (Bildung) saper concepire "l’io come persona universale", saper far proprio e assimilare il concetto astratto di uomo” [6].

Hegel, tuttavia, se da una parte per criticare i controrivoluzionari ribadisce con forza la concretezza del concetto, dall’altra pone una netta distinzione tra l’astrazione intellettualistica che cancella omologandolo il particolare, e l’astrazione del concetto che lo ricomprende in sé: “il concreto è l’universale che si particolarizza e che in questo particolare, in questo farsi finito (Verendlichung), rimane tuttavia infinito in se stesso” ovvero “il concreto è l’universale che è determinato e dunque contiene in sé l’altro da sé” [7]. Secondo Losurdo, la critica di Hegel verso l’universale astratto che non ricomprende in sé le determinazioni concrete ha come bersaglio gli aspetti estremisti della fase più della Rivoluzione francese, dove i concetti di libertà diverrebbero vuoti e indeterminati e l’universale ricercato sarebbe astratto in quanto rifugge il particolare. Insomma, la carica rivoluzionaria di questa fase sarebbe in un certo senso anarchica in quanto è un mero negare [8]; la volontà generale “si definisce tale solo in contrapposizione ad ogni mediazione e ad ogni concreta e articolata configurazione della realtà politica e sociale” [9]. Hegel, inoltre, prende di mira anche l’espansionismo napoleonico: pure in questo caso l’universale non riesce a sussumere il particolare che in questa circostanza è costituito dalle diverse identità nazionali schiacciate dagli eserciti francesi, i quali giustificano la loro marcia “facendo appello a parole d’ordine universalistiche, atteggiandosi a rappresentanti e difensori esclusivi dei diritti dell’uomo, a protagonisti di un disegno planetario di diffusione dei lumi e di emancipazione” [10]. In verità ciò che esprimono è un interesse particolare (la conquista e la rapina delle terre tedesche) in nome di un ideale universale, in questo modo l’universale finisce per pretendere di “legittimare” un interesse particolare assai discutibile.

Losurdo si spinge fino a sottolineare che Marx, a differenza di Hegel, esprima “un giudizio benevolo”, nella Sacra Famiglia, sul “terrorismo rivoluzionario” e l’espansionismo napoleonico che, nel procedere ad una sorta di esportazione della rivoluzione, liquida manu militari gli istituti feudali che incontra sul suo cammino e ogni resistenza nazionale. Per Hegel, si tratta in entrambi i casi di un universalismo astratto e aggressivo" [11]. Come non di rado avviene, Losurdo pretende di correggere Marx attraverso Hegel. Ci sembra però opportuno sottolineare come nello stesso Hegel non vi è una visione così unilateralmente negativa di Napoleone, come quella sostenuta da Losurdo, ma vi è una visione più dialettica peraltro simile alla posizione di Marx. In effetti entrambi esprimono un giudizio più articolato sulla complessa figura di Napoleone che da veicolo dello “spirito del mondo”, che impone all’Europa feudale i princìpi liberali della Rivoluzione francese, diviene un ostacolo all’ulteriore sviluppo del corso del mondo e per questo, come Robespierre viene travolto. Senza contare che il giudizio di Hegel, come del resto quello di Marx, ha non solo significative oscillazioni, ma conosce un notevole mutamento nel corso del tempo. Ad esempio, in un primo momento, prima del 1815, il giudizio di Hegel, pur riconoscendo i limiti di Napoleone, è decisamente più positivo del giudizio espresso nell’epoca della Restaurazione. Allo stesso modo le posizioni del Marx maturo sono sensibilmente differenti da quelle espresse nell’opera giovanile La sacra famiglia.

La riflessione sulla situazione storico-politica della fase giacobina della Rivoluzione francese si collega in Hegel con quella epistemologica, essa rinvia infatti alla filosofia di Kant e di Fichte: l’autocoscienza che vuole rimanere pura non riesce a sfuggire al dato reale, finendo per sussumerlo nella sua immediatezza, quindi, del tutto acriticamente. Ecco, quindi, che l’idealismo si rovescia in empirismo volgare, che risulta peggiore di quello verso cui si scagliano Kant e Fichte. L’empirismo propriamente detto ha, infatti, per Hegel, almeno un aspetto positivo, cioè quello di rappresentare una reazione a un universale che non sa sussumere il particolare, una reazione, quindi, verso le “teorie astratte dell’intelletto, il quale non può per se stesso procedere dalle sue generalità al particolarizzamento e alla determinazione” [12]. Tuttavia, l’empirismo, proprio perché si ferma alla percezione, non arriva alla ricchezza del concetto, all’elaborazione dell’universale trasformandosi da “dottrina della libertà” in “dottrina dell’illibertà” [13]. Allo stesso modo una dottrina della libertà non può essere fondata sull’universalismo astratto perché incapace di determinarsi, di concretizzarsi. è proprio la negazione dell’oggetto, come avviene a livello epistemologico nella filosofia di Fichte e a livello politico con la Rivoluzione francese che, per Hegel, può comportare il rovesciamento nell’empiria come sottolinea Losurdo: “nettamente separato dalla realtà empirica, il concetto, per evitare il suo "annientamento", deve in qualche modo derivare il suo "contenuto" da questa medesima realtà empirica così sdegnosamente rifiutata. L’idealismo che, nella sua ritrosia verso il mondo esterno, assolutizza la soggettività e il dover essere, finisce non solo per assumere surrettiziamente un determinato contenuto empirico, anche per trasfigurarlo: “l’empirico, che è nel mondo come comune (gemein) realtà” viene così “giustificato” e innalzato ad una superiore dignità” [14].

 

Note:

[1] Losurdo, Domenico, Ipocondria dell’impolitico. La critica di Hegel ieri e oggi, Milella, Lecce, 2001, p. 37.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, p. 41.

[4] Hegel cit. in ivi, p. 41.

[5] Ivi, p. 42.

[6] Ivi, p. 43.

[7] Hegel cit. in ivi, p. 53.

[8] Così si esprime Hegel nella Fenomenologia dello spirito a proposito del Terrore: “La libertà universale non può quindi produrre nessun’opera né operazione positiva; ad essa resta solo l’operare negativo; essa è solo la furia del dileguare” Hegel, G.W.F., Fenomenologia dello spirito, trad. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 129.

[9] Losurdo, Ipocondria dell’impolitico, cit., p. 54. Losurdo qui tiene a sottolineare come la critica di Hegel non si rivolga al giacobinismo, in tal modo, infatti, “non si comprenderebbe allora il giudizio altamente positivo almeno in un’occasione espresso su Robespierre, protagonista di "facta universalmente ammirati", capace cioè […] di fronteggiare vittoriosamente un terribile stato d’eccezione, salvando così la Francia e la rivoluzione” Ibidem. Ci sembra che Losurdo, nel voler attribuire a Hegel una comprensione compiutamente dialettica del fenomeno giacobino, tenda a non cogliere i limiti storici di Hegel, che, almeno negli anni di Jena, risente certamente nel bilancio storico della fase più avanzata della Rivoluzione delle critiche girondine.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, p. 58.

[12] Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, BUL Laterza, Bari 1994, p. 47.

[13] Losurdo, Ipocondria dell’impolitico, cit., p. 54.

[14] Ivi, p. 57.

24/06/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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