All’interno dell’analisi del periodo di Francoforte, György Lukács non assegna alcun posto particolare e di rilievo al Frammento sull’amore del 1797; esso rappresenta un episodio accanto agli altri e si inserisce nel contesto generale di questa fase dell’evoluzione di Hegel, dove la categoria dell’amore è “un’espressione confusamente idealistica dell’esigenza umanistica, borghese-rivoluzionaria, di un uomo multilaterale e pienamente sviluppato, che ha rapporti conformemente ricchi, dispiegati, umani e multilaterali con gli altri uomini” [1]. E non può essere diversamente per Lukács, in quanto per lui la definitiva acquisizione del metodo dialettico da parte di Hegel ha come presupposto il confronto critico non solo con la Rivoluzione francese, ma anche con la Rivoluzione industriale in Inghilterra, ovvero con i problemi complessivi del capitalismo messi in luce dall’economia politica.
Poiché agli inizi del periodo di Francoforte Hegel non ha ancora iniziato gli studi economici e non si è ancora imbattuto nei fenomeni contrastanti del capitalismo, è giocoforza che nella “formulazione mistica dell’amore” del Frammento Lukács non veda già in funzione lo schema della dialettica, altrimenti sarebbe smentito il suo assunto principale sulla derivazione storico-sociale delle categorie dialettiche e salterebbe il nesso di continuità tra Hegel e Marx. La valutazione su questo punto in un senso o nell’altro appare, dunque, decisiva per l’interpretazione complessiva del pensiero di Hegel, e coinvolge il problema dell’eredità della dialettica hegeliana in Marx e investe la giusta comprensione dello stesso pensiero di Marx.
Un netto dissenso nei confronti dell’opera lukacciana è stato espresso negli anni ’60 dagli esponenti della Scuola di Galvano della Volpe, i quali hanno avviato un serrato confronto all’interno del marxismo italiano, vivacizzando il dibattito filosofico e culturale per oltre un decennio. Nella sua approfondita e dettagliata analisi del pensiero di Hegel, Mario Rossi [2] individua nel Frammento sull’amore non solo “la prima formulazione della dialettica hegeliana” ma anche “una formulazione abbastanza matura, più di altre successive” [Rossi, 1970: 184 e 185]. Infatti, le nozioni di amore e di vita non sono altro che metafore della totalità, intesa come unificazione di un’opposizione e come momento risolutivo di una duplicazione, in cui ciò che si presentava come separato ed estraniato viene riappropriato nell’atto dell’unificazione.
Sono qui già in gioco tutti i termini dialettici, ivi compreso il significato di alienazione [Entäusserung] ed estraneazione [Entfremdung], anche se i termini non figurano esplicitamente nel testo; il motivo della duplicazione anticipa lo sdoppiamento dell’autocoscienza nella dialettica Signoria-Servitù della Fenomenologia dello spirito, così come le opposizioni prodotte dalla riflessione ricordano la posizione di estraneazione che, sempre nella Fenomenologia, occupa la Cultura [Bildung]; infine l’amore, “distruggendo completamente l’oggettività, toglie (aufhebt) la riflessione” [3] e riacquista l’unificazione tramite questa mediazione. È questa la formulazione astratta del principio dialettico, nella quale, secondo Rossi, si mostra per la prima volta il misticismo speculativo [4] di Hegel, nel senso che lo schema formale triadico viene riempito di volta in volta e indifferentemente da contenuti concreti i più eterogenei, siano essi di ordine sociale, politico, estetico o religioso, col risultato che “tutti questi elementi concreti ripetono la loro validità obiettiva, il loro senso, dall’intero di cui sono membri e dal posto che occupano entro la sua articolazione” [5].
L’impostazione speculativa risulta ancora più chiara, per Rossi, nel frammento successivo Fede ed essere; ivi Hegel parte dalla constatazione che l’unificazione esige che i membri da unificare siano sentiti e riconosciuti come opposti, ma perché ciò avvenga “il contraddittorio può essere riconosciuto come tale solo per il fatto che è già stato unificato” [6], per cui l’unità diventa il presupposto del riconoscimento degli opposti come opposti. D’altra parte l’unità non può “essere dimostrata, cioè dedotta, perché se lo fosse dipenderebbe da altro, ovvero dagli opposti, che invece dipendono da essa; ne consegue che l’unificazione può essere solo creduta e, poiché «unificazione ed essere sono sinonimi» – in quanto «la copula ‘è’ esprime l’unificazione di soggetto e predicato, cioè un essere» –, «l’essere può solo essere creduto»” [7].
Secondo Rossi, è lo stesso Hegel a rivelarci in questo frammento giovanile che la dialettica “deriva da un presupposto non provato”, che può essere soltanto oggetto di fede; in ciò sono implicite le fondamentali definizioni hegeliane “il vero è l’intiero” e “l’assoluto è soggetto” della Fenomenologia dello spirito, ovvero l’imposizione e la necessità della conciliazione, nella cui totalità, che funge da presupposto, gli opposti reali perdono la loro autonoma concretezza per diventare articolazioni interne e determinazioni particolari dell’Idea, semplici fenomeni dell’auto-scissione dell’unità.
Un aspetto importante del metodo dialettico è il rapporto universale-particolare, che per Lukács appare per la prima volta nel frammento, molto probabilmente del 1799, Libertà e destino, facente parte di una serie di abbozzi preparativi alla Costituzione della Germania, terminata a Jena nel 1802. In questo frammento Hegel si riferisce alla situazione in cui versa la Germania, contrassegnata dalla mancanza di soddisfazione nella vita esistente, perché i suoi lati contraddittori lottano tra di loro come particolare contro particolare e si avverte il “bisogno che la contraddizione venga tolta” [8], attraverso il ristabilimento della loro verità che essi possono trovare non in se stessi e nel loro isolamento, ma nell’universalità che li contiene. In Germania, “l’universalità fornita di potere” (e cioè il vecchio assetto assolutistico-feudale) è scaduta anch’essa a particolare, si è isolata positivizzandosi, ed è “presente soltanto più come pensiero, non più come realtà”, mentre il “soffio di una vita migliore ha toccato quest’epoca” (la Rivoluzione francese). La soluzione può essere data da una nuova forma di universalità, nella cui totalità ai diritti esistenti venga assegnato il proprio fondamento, un compito, questo, che può essere svolto dalla metafisica, mediante la quale “le limitazioni ottengono i propri confini e la loro necessità nella connessione dell’intero” [9].
Il commento di Lukács è che ci troviamo di fronte a una traduzione in termini strettamente filosofici delle idee circolanti in maniera chiara e con linguaggio politico, prima e dopo la Rivoluzione francese, e dirette contro la falsa universalità rivendicata dalla classe feudale, in nome della vera universalità rappresentata dalla classe borghese. Hegel abbraccerebbe il punto di vista ideologico della borghesia rivoluzionaria che identificava il proprio interesse di classe con l’interesse generale della società, ma ciò che per Lukács appare qui degno di nota è che la dialettica universale-particolare nel pensiero di Hegel nasce proprio dal confronto con i temi storico-concreti di scottante attualità politica: “così, quando Hegel effettua questo scambio di posizioni tra particolare e universale, quando smaschera l’universalità assolutistico-feudale come usurpazione di una particolarità, e vede d’altra parte, in quella che appare immediatamente la particolarità delle esigenze della classe borghese, la vera universalità, conforme alla natura e alla storia, non fa che formulare in termini astrattamente filosofici le idee che erano universalmente diffuse, in forma politicamente chiara e concreta, e senza pretese filosofiche, nella pubblicistica progressiva prima e durante la Rivoluzione francese” [10].
Questa tesi, che è in fondo caposaldo e filo conduttore di tutto il libro di Lukács, è stata radicalmente contestata da Nicolao Merker (anch’egli esponente della Scuola di della Volpe), per il quale il rapporto di derivazione dei princìpi dialettici hegeliani dagli elementi storici e concreti, stabilita da Lukács, va piuttosto rovesciata, nel senso che sono questi ultimi a venire sussunti sotto la forma logica aprioristica della mediazione dialettica, per essere con ciò negati nella loro specificità empirica.
Merker, avvalendosi di un attento vaglio critico-filologico dei testi, registra nel Frammento sull’amore la presenza di una formulazione completa della teoria scissione-unificazione, nonché della dialettica di particolare e universale, che precede quella operante in Libertà e destino, e che è sorta a prescindere dal riferimento a dati storico-concreti. Con ciò Merker non vuole affatto negare le influenze esercitate dalla Rivoluzione francese nel pensiero di Hegel, né tanto meno mettere in discussione il fatto che le opposizioni presenti nella vita storica abbiano avuto un riflesso su quel “bisogno della filosofia”, come bisogno di superare le scissioni unificandole, che sarà il tema centrale nella Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling (il primo scritto pubblico jenese di Hegel); tuttavia pur ammettendo ciò “si è per questo fatto stesso in presenza di una filosofia del concreto, del determinato, di un metodo dialettico cioè il quale operi le proprie generalizzazioni concettuali prendendo come punto di partenza il concreto e come punto di arrivo un’altra volta il concreto chiamato a controllare e a verificare quelle generalizzazioni, e sia dunque, infine, un metodo scientifico nell’accezione più completa del termine?” [11].
Note:
[1] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, p. 171.
[2] L’opera di M. Rossi è stata pubblicata nel 1960 per i tipi degli Editori Riuniti con il titolo Marx e la dialettica hegeliana; successivamente è stata pubblicata con alcuni ampliamenti dall’editore Feltrinelli. Le citazioni successive si riferiscono a quest’ultima edizione.
[3] Hegel, G. W. F., Scritti teologici giovanili, traduz. di Vaccaro, N., e Mirri, E., Napoli, Guida editori 1977, p. 529.
[4] Per Rossi si può parlare di misticismo soltanto nel significato attribuito a esso da Feuerbach e dal giovane Marx, ossia di mistica razionale, che con l’ipostasi dell’Idea stravolge il significato delle determinazioni empiriche particolari, non già nel senso della mistica religiosa tradizionale.
[5] Rossi, Mario, Da Hegel a Marx I. La formazione del pensiero politico di Hegel, Feltrinelli, Milano 1970, p. 187.
[6] Hegel, Scritti teologici…, op. cit., p. 532.
[7] Ibidem.
[8] Id., Libertà e destino [1799] in Id., Il dominio della politica, traduz. e a cura di Merker, N., Roma, Editori Riuniti 1980, p. 104.
[9] Ivi, p. 104 e 105.
[10] Lukács, György, Il giovane Hegel…, op. cit., p. 213.
[11] Merker, Nicolao, Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Feltrinelli, Milano 1961, p. 78.