“Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. Noi abbiamo la certezza che durerà a lungo” (Meuccio Ruini, Padre costituente).
Oggi, con la vittoria del No, ha vinto la Costituzione. Ha vinto il popolo sovrano. Nessun altro motivo di soddisfazione da questo risultato referendario plebiscitario che quello della vittoria per il riscatto dei principi democratici di uguaglianza, pluralismo e sovranità popolare che ci hanno regalato settant’anni fa i Padri Costituenti. Il 4 dicembre alle ore 23 ha perso il potere bulimico dell’uomo solo al comando. Hanno perso i poteri finanziari mondiali che supportavano la legge di riforma renziana e ha vinto ancora la Repubblica, libera e antifascista. Una repetita del referendum popolare del 1946.
Oggi il popolo del No alla deforma di Renzi può “ tirare il fiato” e sollevarsi finalmente dal timore che tutto questo avrebbe anche potuto non tramutarsi in realtà. L’inevitabile “confusion” di questi giorni post referendum (per quanto accadrà nei prossimi mesi a causa dei dissesti e degli assesti del sistema elettorale e sulle avances, già pressanti, dei partiti per la corsa al Palazzo) non può impedire di gioire per questa vittoria e di ricordare con rispetto anche la storia della nostra Costituzione.
Doveroso in queste ore un tuffo nel passato, ai tempi dei Padri costituenti. Riconoscenza a quei 75 austeri signori, canuti e con un rigoroso look in grigio. Riconoscenza all’impegno che hanno trasfuso nell’elaborare la Carta che ha restituito al Paese leggi eque, dignità, diritti e democrazia, dopo quel ventennio di leggi fasciste che portarono il Paese al disastro
Nell’elaborare la nostra legge sovrana, i Padri costituenti ne posero le basi sul lavoro. Sul lavoro che rende i cittadini liberi e autonomi. Sul lavoro che evolve, emancipa e promuove la persona umana, restituendogli la dignità che quel lungo nero periodo di dittatura aveva represso. Sul lavoro che libera dalla dipendenza economica, se la retribuzione permette una vita dignitosa. Una profonda crisi del lavoro attanaglia da tempo il Paese, toglie dignità e diritti ai lavoratori, rendendoli succubi di un sistema che rende disagevole la vita sociale e toglie l’autonomia.
Oggi un governo della Repubblica, in conflitto con quanto recita l’articolo 3 che sancisce il principio di eguaglianza (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”), ha permesso l’attuazione di riforme infami come la Buona scuola e il Jobs act che promuovono invece precarietà e privatizzazione, soffocando i diritti del cittadino.
Il tempo lavoro made in Italy è oggi orfano di contratti permanenti e retribuito con i voucher, alla stregua di buoni per le spa o per una seduta dall’estetista. U sistema per tutelare gli imprenditori e per penalizzare la vita dei lavoratori. Sistema che colpisce il futuro delle giovani generazioni inibendone lo sviluppo sociale. Fosse passata la riforma costituzionale, il popolo del Sì sarebbe stato reo di aver contribuito a questa macelleria sociale e a rottamare la nostra bella Carta, complice di un rottamatore senza scrupoli.
Gli attacchi alla Costituzione
Forse l’ultimo attacco è il peggiore, anzi lo è, lo è stato, ormai. Ma non è stato l’unico. La Costituzione già dalla sua nascita (1 gennaio 1948) poneva dei limiti, essendo rigida, al libero arbitrio del potere ed era perciò scomoda ad alcuni parlamentari. Il primo a non amarla molto fu Guido Gonella, segretario della Dc, che nel 1952 propose una riforma costituzionale “per rafforzare l’autorità dello Stato”. A Gonella non andava a genio la legge elettorale con il sistema proporzionale e propose i collegi plurinominali per favorire gli apparentamenti. Anche allora, com’è accaduto oggi con la riforma Renzi-Boschi, una proposta di riforma della Costituzione fu messa in combinato disposto con la legge elettorale. Quella che fu detta “legge truffa” (perché dava il premio di maggioranza ai partiti apparentati), a firma Scelba-Tesauro, venne bocciata dal voto degli elettori. E si era ancora agli albori della Costituzione.
La democrazia era già vista come il fumo negli occhi da alcuni parlamentari di stampo fascista. Da allora l’idea di modifica della Costituzione per dare più potere all’esecutivo, divenne una fissa di molti esponenti della destra. Nasce un movimento “La nuova repubblica”, molto vicino ai movimenti neo fascisti dell’epoca. Per queste forze di estrema destra la Costituzione doveva essere cambiata per dare il passo, appunto, ad una Repubblica nuova, di stampo chiaramente fascistoide. La sconfitta della “legge truffa”, grazie ad un elettorato contrario, riuscì a tenere ben saldi i principi costituzionali e il sistema elettorale proporzionale. Ma la Costituzione, specie nel suo formidabile art.3 sul principio di uguaglianza e negli articoli 41 e 42 sul diritto di proprietà che non può prevalere sull’utilità sociale, stava terribilmente “sullo stomaco” ai poteri della destra.
E la mal sopportazione verso la Carta dei diritti esplode con Berlusconi, quando nel giugno del 2010, durante l’assemblea della Confartigianato afferma con la veemenza del caudillo prepotente, che lo apparenta con l’ormai ex premier Renzi,“la Costituzione è datata, parla di lavoratori e quasi mai di impresa e di mercato e l’architettura istituzionale non permette al governo di muoversi come vorrebbe.Insomma governare con questa Costituzione è un inferno”.A Berlusconi dobbiamo riconoscere solo una cosa: era vero e si esponeva ingenuamente, se vogliamo, al pubblico ludibrio ovunque andasse. Sappiamo le ben note vicende giudiziarie in cui incappò anche maldestramente e quanto rappresentò il Paese tingendolo di vergogna e non solo per motivi politici.
L’attacco sferrato da Renzi alla Costituzione è ancora più machiavellico, più antidemocratico e anticostituzionale dei precedenti. Un falso uomo di sinistra, più incentrato su se stesso che sul Paese, ha tentato con ogni mezzo di trasformare una revisione costituzionale in un successo personale e si è battuto fino all’ultimo minuto di campagna elettorale, utilizzando tutte le possibili strategie, per vincere, occupando i media 24 h su 24. Ha tentato di vendere ai poteri liberisti e al capitalismo un’Italia all’osso, che già era stata spolpata dalla macelleria dei vari Monti, Fornero e Napolitano. Ha messo in atto nei suoi mille giorni di governo riforme pessime che hanno distrutto lo stato sociale. Ha ordito, con l’autorizzazione di Napolitano, una psicotica riforma costituzionale, con la sua ministra delle banche, su sollecitazione dell’Europa. Non ha capito l’imbonitore che parlava ad un popolo stanco e disilluso, a cui non sarebbero mai bastate le sue regalie ed era infastidito infine dalla sua onnipresenza sui media in cambio di un Sì.
Se non si fosse giunti alla vittoria del No saremmo precipitati ancor più in pasto ai poteri di un’economia che strozza i diritti sociali. Saremmo stati foraggio per il capitale delle banche e dei mercati, avremmo definitivamente spento le speranze di cambiare questo Paese. Renzi, ultimo cannibale dei diritti sociali, va a casa, come se n’è andato Berlusconi, anche lui manipolatore delle leggi che riusciva a far promulgare anche in 20 giorni (lodo Alfano). Il Paese, da ora, può ripartire. Per ora la Costituzione è salva.
Fonti: Attacco alla Costituzione, una lunga storia - Il Manifesto