Antonio Gramsci mostra come il progressivo sostituirsi nei partiti politici della direzione collettiva al dominio carismatico è uno dei fattori che provoca uno sconvolgimento degli schemi interpretativi del positivismo. L’intellettuale collettivo, prodotto del legame organico fra masse, “partito, gruppo dirigente e tutto il complesso, bene articolato”, si sostituisce all’intuizione “sorretta dalla identificazione di leggi statistiche” del singolo dirigente nella conoscenza e nella selezione dei bisogni reali delle masse popolari da cui trarre indicazioni per un programma politico fondato mediante la “«compartecipazione attiva e consapevole», per «con-passionalità»” [1] dei singoli membri fusi nell’organismo collettivo. Lo stesso “processo di standardizzazione dei sentimenti popolari” da meccanico e casuale (cioè prodotto dall’esistenza ambiente di condizioni e di pressioni simili) diventa, mediante lo sviluppo di “partiti di massa e il loro aderire organicamente alla vita più intima (economico-produttiva) della massa stessa” sempre più “consapevole e critico” (ibidem). In caso contrario si rischia che nelle svolte decisive del corso storico i dirigenti passino al loro effettivo partito lasciando la massa degli iscritti incapace di direzione politica. Allo stesso modo, nei frangenti storici decisivi, il partito corre il rischio di perdere la propria determinazione sociale se in esso prevale la “forza consuetudinaria a conservatrice” (13, 23: 1604) della burocrazia che si pone per sé in contrapposizione alla massa.
Per evitare il tradimento dei capi nelle svolte decisive o più semplicemente ogni scollamento fra intellettuali e massa, che rendono quest’ultima mero “accessorio” complementare e subordinato, è indispensabile, secondo Gramsci, formare intellettuali organici alla classe, in un processo “legato a una dialettica intellettuali-massa”. “Lo strato degli intellettuali – prosegue Gramsci – si sviluppa quantitativamente e qualitativamente, ma ogni sbalzo verso una nuova «ampiezza» e complessità dello strato degli intellettuali è legato a un movimento analogo della massa di semplici, che si innalza verso livelli superiori di cultura e allarga simultaneamente la sua cerchia di influenza, con punte individuali o anche di gruppi più o meno importanti verso lo strato degli intellettuali specializzati” (11, 12: 1386). Dunque, “le masse, una volta scosse dalle vacue declamazioni dei capi”, avrebbero potuto – a parere di Gramsci – essere in grado di individuare al proprio interno dei dirigenti “capaci di condurle verso delle regioni che i capi della democrazia non potevano neppure sospettare” (10, 40: 1324). Occorre, dunque, secondo Gramsci “lavorare incessantemente per elevare intellettualmente sempre più vasti strati popolari, cioè per dare personalità all’amorfo elemento di massa, ciò che significa lavorare a suscitare élites di intellettuali di un tipo nuovo che sorgano direttamente dalla massa pur rimanendo a contatto con essa per diventarne le «stecche» del busto” (11, 12: 1392). La funzione fondamentale del partito politico è, dunque, come sottolinea Gramsci quella “di elaborare i proprii componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come «economico», fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori” (12, 1: 1522). In tal modo, gli intellettuali tradizionali membri del partito tendono a fondersi con gli intellettuali organici. Ne conclude, quindi, Gramsci che i subalterni possono elaborare i propri intellettuali organici unicamente mediante il partito politico, i quali, dunque, a differenza degli intellettuali organici alla borghesia, si formano “direttamente nel campo politico e filosofico e non già nel campo della tecnica produttiva” (Ibidem).
Gli intellettuali organici compongono con la classe di riferimento un blocco socio-culturale, elaborando e sistematizzando le problematiche “che quelle masse ponevano con la loro attività pratica” (11, 12: 1382), rendendo la massa sociale omogenea e compatta. La formazione di intellettuali organici deve andare di pari passo con quella delle grandi masse fra cui il partito seleziona i semplici militanti (cfr. 7, 43: 892), in termini gramsciani “si tratta insomma di avere una Riforma e un Rinascimento contemporaneamente”. Tanto più che, come osserva acutamente ancora Gramsci, “in Italia non c’è mai stata una riforma intellettuale e morale che coinvolgesse le masse popolari. (…) Il materialismo storico perciò avrà o potrà avere questa funzione non solo totalitaria come concezione del mondo, ma totalitaria in quanto investirà tutta la società fin dalle sue più profonde radici” (4, 75: 515). Tutti i membri del partito sono, dunque, tendenzialmente intellettuali, avendo una funzione “direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale” (1, 12: 1523), benché la esercitino a seconda delle loro capacità a un diverso grado. Mediante la formazione degli elementi più avanzati fra i lavoratori all’interno del partito e, più in generale, delle masse, sulla base dello scopo finale da conseguire, si mira ad “assimilare alla frazione più avanzata del raggruppamento [gli intellettuali] tutto il raggruppamento [le masse]” (6, 84: 757). “Questo problema – fa notare acutamente a tal proposito Gramsci “contiene in nuce tutto il «problema giuridico»” (ibidem).
Tale funzione formativa è importante perché l’egemonia conquistata sull’uomo della massa è sempre incerta, in quanto le convinzioni di quest’ultimo, per la loro intrinseca fragilità, sono sempre a rischio di non reggere il confronto con il dominio ideologico della classe al potere. La visione del mondo dell’uomo della massa è generalmente ferma allo stadio fideistico, fondandosi, nel suo determinante aspetto etico, sulla fiducia “nel gruppo sociale al quale appartiene in quanto la pensa diffusamente come lui” (11, 12: 1391) e ciò gli permette di preservare la propria fede anche di fronte a un intellettuale di un’altra classe sociale in grado altrimenti di egemonizzarlo razionalmente “l’uomo del popolo pensa che in tanti non si può sbagliare, così in tronco, come l’avversario argomentatore vorrebbe far credere; che egli stesso, è vero, non è capace di sostenere e svolgere le proprie ragioni come l’avversario le sue, ma che nel suo gruppo c’è chi questo saprebbe fare, certo anche meglio di quel determinato avversario ed egli ricorda infatti di aver sentito esporre diffusamente, coerentemente, in modo che egli ne è rimasto convinto, le ragioni della sua fede. Non ricorda le ragioni in concreto e non saprebbe ripeterle, ma sa che esistono perché le ha sentite esporre e ne è rimasto convinto. L’essere stato convinto una volta in modo folgorante è la ragione permanente del permanere della convinzione, anche se essa non si sa più argomentare” (Ibidem). Del resto lo stesso individuo, in particolare il moderno, va concepito per Gramsci come “un blocco storico di elementi puramente individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l’individuo è in rapporto attivo” (10, 48: 1338). L’individuo va inteso come uomo massa o collettivo in quanto necessariamente è parte di “un determinato aggruppamento, e precisamente quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare” (ibidem). Certo, il più delle volte, l’individuo è scisso in una molteplicità di uomini-massa in quanto la sua concezione del mondo è priva di unità e coerenza ed è piuttosto “occasionale e disgregata” (11, 12: 1376). Più in generale, la massa agisce senza avere coscienza che il proprio operare è una forma di conoscenza del mondo mediante la sua trasformazione pratica. Per questo vi può essere uno scarto più o meno profondo fra l’ideologia implicita nel suo agire che trasforma in profondità il mondo e la sua coscienza “esplicita o verbale che ha ereditato dal passato e ha accolto senza critica” (11, 12: 1385). Dunque lo sviluppo ed il potenziamento della propria individualità è funzione della trasformazione del mondo esterno.
Tornando al rapporto fra intellettuali tradizionali di origine borghese alla direzione delle organizzazioni dei subalterni e le masse popolari occorre, insiste Gramsci, costituire uno strato di dirigenti in grado di svolgere la funzione di termine medio fra intellettuali e militanti, per “impedire ai capi di deviare nei momenti di crisi radicale e per elevare sempre più la massa” (2, 75: 237). In altri termini, per poter elevare il livello di consapevolezza delle masse, occorre creare un vasto strato intermedio che impedisca il rapporto diretto che produce derive plebiscitarie e culti della personalità, ponendo al tempo stesso le condizioni per creare altri dirigenti in grado di affiancare e progressivamente sostituire nei suoi incarichi l’intellettuale tradizionale di origine borghese alla guida di organizzazioni dei subalterni. Tali intellettuali organici ragionando sulla base degli interessi reali della massa “vogliono che un apparecchio di conquista [o di dominio]” – cioè un partito politico proletario – non si sfasci per la morte o il venir meno del singolo capo, ripiombando la massa nel caos e nell’impotenza primitiva” (6, 97: 772). Il che è possibile unicamente dando il massimo rilievo ai momenti di discussione interna e di formazione politico culturale mediante cui i semplici militanti prendono parte in modo sempre più attivo “alla vita intellettuale (…) e organizzativa dei partiti” (2, 75: 237).
La progressiva penetrazione del marxismo nelle masse mediante l’opera dell’“intellettuale collettivo” mira a una profonda riforma della modernità, “una riforma intellettuale e morale che compie su scala nazionale ciò che il liberalismo non è riuscito a compiere che per ristretti ceti della popolazione” (10, 41: 1292). Ciò comporta necessariamente una popolarizzazione del marxismo, che deve procedere al contempo con un processo di sviluppo intellettuale che lo renda in grado di risolvere i “compiti più complessi che lo svolgimento attuale della lotta propone” (10, 11: 1233). Fra di essi vi è, fa notare acutamente Gramsci, la “creazione di una nuova cultura integrale, che abbia i caratteri di massa della Riforma protestante e dell’illuminismo francese e abbia i caratteri di classicità della cultura greca e del Rinascimento italiano, una cultura che riprendendo le parole del Carducci sintetizzi Massimiliano Robespierre ed Emanuele Kant, la politica e la filosofia in una unità dialettica intrinseca ad un gruppo sociale non solo francese o tedesco, ma europeo e mondiale” (ibidem). In altri termini, si tratta di fondere teoria filosofica e pratica politica, per dar vita ad una visione del mondo non più monopolio di ceti dirigenti ma volta a creare un nuovo senso comune di massa (cfr. 15, 61: 1826) “modificando (…) il pensiero popolare, la mummificata cultura popolare” (3, 48: 331).
Note:
[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Gerratana, Valentino, Einaudi, Torino 1977, p. 1430. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.