Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi
Segue da: “Socrate e la crisi della democrazia”
La politica come sapere specialistico
Per quanto riguarda l’aspetto positivo dell’insegnamento socratico, occorre ricordare in primo luogo che Socrate considera la politica un sapere determinato, che consiste nella guida della polis. Dunque, a dirigere la cosa pubblica non deve esser posto chiunque come in democrazia, ma solo chi possiede quest’arte. Non quindi uomini esperti in altre arti, ma politici. Ciò lo porta a criticare i limiti del principio maggioritario su cui si fonda la democrazia. La maggioranza dei cittadini non ha le necessarie competenze e diviene facile preda di demagoghi e sofisti. Socrate considera la politica un sapere determinato, che consiste nella guida della polis. Inoltre la politica deve orientarsi a fini e valori universali, non a interessi particolari. Deve ricercare il bene collettivo, il bene comune. Essendo il bene l’oggetto della virtù, la politica deve subordinarsi alla virtù.
La virtù è scienza
Del resto, lo scopo finale del dialogo socratico è quello di superare un sapere fittizio, astratto, nozionistico, sofistico e sviluppare un sapere pratico volto a formare un uomo virtuoso. La virtù non è l’ossequio alle norme tradizionali, soggettive e transitorie, ma è un sapere, è scienza. L’oggetto della scienza con cui la virtù si identifica è il bene, quale valore etico-politico per eccellenza. La virtù quale scienza del bene ha in Socrate la supremazia su tutte le altre forme di sapere, poiché solo essa conosce il fine verso cui ogni sapere e azione, prima fra tutte la politica, deve indirizzarsi: il sommo bene. Di esso Socrate non dà una definizione. Elabora tuttavia, a differenza dei sofisti, un criterio per discriminare il vero bene dai beni illusori. Contro le parvenze di bene, come i piaceri del corpo o l’apparente felicità degli ingiusti, il vero bene è dell’anima, è nella ragione. L’uomo scoprirà il bene scrutando nella propria anima. Perciò Socrate riprende il detto delfico “conosci te stesso”. In tal modo, Socrate supera l’agire etico immediato dell’uomo greco e introduce la moderna riflessione morale, per cui non si agisce bene in modo naturale, ma in modo consapevole. Il sapere per Socrate è il fondamento della virtù e al contempo ha quest’ultima come scopo ultimo. Sorge la morale dell’intenzionalità e il legame indissolubile fra agire in modo razionale ed essere virtuosi. Da questo punto di vista si può insegnare la virtù insegnando all’uomo a essere razionale. Non esistono formule, comandamenti o dottrine da seguire per essere virtuoso. Si tratta di un sapere pratico; l’uomo imparando a utilizzare correttamente la ragione saprà di volta in volta fare la cosa giusta. Al contrario chi agisce male, non comprende qual è la cosa giusta.
Centralità dell’anima
Dalla connessione fra virtù, sapere, bene e anima, Socrate ricava che nessuno commette il male volontariamente. Dato che ognuno vuole il proprio bene, nessuno si comporterebbe in modo ingiusto se sapesse veramente cosa è bene per lui. Il male deriva da una carenza conoscitiva che fa identificare in modo sbagliato il bene. Si crede che il bene consista nel potere, nel piacere e ci si comporta in modo ingiusto per procurarseli. Ma se si seguisse la virtù come corretta valutazione scientifica del bene, si comprenderebbe che il bene riguarda la sola anima e la felicità dell’anima non passa per il potere o il piacere, ma sta in un comportamento equilibrato e giusto. Ogni uomo mira alla felicità e, a tale scopo, deve riconoscere e ottenere ciò che è meglio per sé. La felicità prodotta da un’azione non virtuosa è solo apparente, perché si fonda su qualcosa di effimero, soggetto alla mutevolezza di desideri e accadimenti. La morale è interiore, è soggettiva, è la voce della coscienza e della ragione. Alla volontà degli dèi e ai responsi degli oracoli Socrate sostituisce la voce della coscienza, che lo esorta a non agire in modo irrazionale.
Il bene non è una norma data, ma si costruisce nel discorso interiore e con gli altri
Questa è la condizione di vita necessaria alla ricerca del bene stesso. Dunque Socrate non definisce il bene, in quanto non è una norma data, ma è l’obiettivo di una ricerca che avviene nel dialogo interiore con l’anima e con gli altri, una ricerca che non può concludersi in una soluzione definitiva, visto che le condizioni mutano costantemente.
La crisi della democrazia ateniese
Socrate sarà il terzo filosofo martire della democrazia ateniese, dopo Anassagora e Protagora. L’attività filosofica di Socrate si svolge all’interno dell’Atene democratica. Alla sconfitta di Atene nel 404 a. C. con la guerra del Peloponneso e alla dittatura anacronistica dei 30 tiranni, risponde nuovamente il demos che restaura la democrazia, non però quella espansiva dei tempi di Pericle, anche a causa della debolezza militare.
Il contesto storico del processo a Socrate
Per tutta la prima metà del IV secolo la democrazia ateniese è costretta ad amministrare una crisi sociale per la quale non vi sono più sbocchi all’estero. I democratici devono costringere la riluttante aristocrazia a sostenere il peso del pubblico mantenimento di un demos via via più numeroso e parassitario. Ciò spinge la democrazia ateniese sulla difensiva anche sul piano ideologico, come dimostra il processo a Socrate nel 399, con l’accusa di corruzione della gioventù, di legami con nemici della democrazia come Crizia e Alcibiade, e, infine, di empietà. L’accusa è sostenuta da un personaggio forte e moderato del nuovo regime: Anito. La morale socratica andava contro la religione e allontanava i giovani da quest’ultima e dall’eticità naturale. Da parte sua, Socrate avrebbe potuto evitare la condanna a morte con un qualche compromesso, ossia dimostrando la propria sottomissione al potere costituito.
Significato politico della condanna di Socrate
La condanna di Socrate dipende dal fatto che la sua ricerca filosofica è entrata in contraddizione con i fondamenti etici dei costumi del tempo, ivi compresa la democrazia ateniese. Socrate non si difende per non scendere a compromessi con un tribunale che rappresenta la cultura democratica, peraltro in una crescente crisi. Socrate insiste nella critica al falso sapere, al venire meno dei valori morali nella politica della polis.
Perché Socrate non sfugge alla condanna
L’imperativo categorico porta Socrate a dire ciò che pensa durante il processo, un pensiero anticonformista e antipopulista che lo porterà alla condanna a morte, cui Socrate non si sottrae proprio perché impedito dalla voce della coscienza. Non si può rispondere, in effetti, a un’ingiustizia con un’altra ingiustizia. Così Socrate né chiede di tramutare la pena in esilio, né accetta le proposte di trovare rifugio all’estero, in quanto si sente di appartenere in modo indubitabile alla polis e ha un incrollabile rispetto per la legge della sua città.
L’eredità dell’insegnamento socratico
Morto Socrate, il suo insegnamento si dimostra vincente, anche se si divide presto in due filoni, che se ne spartiscono gli elementi, tenuti insieme dal maestro. Da una parte sopravvive il richiamo ai diritti della coscienza individuale, lo scetticismo del saggio dinanzi ai valori della società in cui vive, il progressivo isolamento del filosofo dal sapere scientifico e dalla politica. Di tale filone si fanno interpreti i socratici minori: i cinici, i megarici e i cirenaici, su una linea filosofica che porterà in seguito allo sviluppo delle scuole stoica, scettica ed epicurea. In tal modo, però, viene meno il profondo legame fra Socrate e il mondo della polis, in quanto il lascito socratico viene innestato in un individualismo e cosmopolitismo in cui questi non si sarebbe riconosciuto. Inoltre tali concezioni tendono a trascurare il momento fondamentale, propriamente teorico dell’insegnamento di Socrate, ossia le virtù come sapere, la filosofia come ricerca metodica del bene e della verità.
Platone e Aristotele
Questi ultimi aspetti sono stati, al contrario, ripresi e sviluppati dalla seconda e maggiore corrente filosofica che si richiama a Socrate, ossia da Platone e Aristotele che sviluppano nella loro riflessione filosofica il metodo socratico. Tuttavia Platone e Aristotele sostituiscono presto la critica socratica, il sapere di non sapere, con edifici teorici complessi e potenti, con visioni etiche e progetti politici in cui Socrate non avrebbe potuto riconoscersi.