L’ultimo Platone

Nell’ultimo Platone il Bene non è più posto al di sopra dell’essere, ma è calato nella struttura delle realtà empiriche, molteplici e in divenire. In quanto ognuna di esse, oltre al disordine e alla mutevolezza propri del tempo e delle materia, presenta un aspetto di unità, di individuazione e ciò si deve all’azione del Bene, che è in ogni cosa il principio di determinazione e di senso. Il bene è il limite che controbilancia nel mondo l’indeterminazione e il disordine.


L’ultimo Platone

Dalla dialettica alle leggi: teologia e scienza

Le ultime grandi opere di Platone (il Politico, il Timeo e le Leggi) furono composte intorno al 350 dell’epoca antecedente alla nostra. Vi si avverte l’urgenza del filosofo di dare una sistemazione in qualche modo definitiva alla sua filosofia. C’è l’amarezza per i fallimenti dei tentativi politici e per gli sviluppi della politica greca. C’è la preoccupazione per le posizioni spesso inconciliabili che sorgevano nella stessa Accademia, dove giovani come Aristotele criticavano la stessa dottrina delle idee. Mentre gli scienziati tendevano a seguire direzioni autonome, sempre più riluttanti ad accettare la sintesi e la mediazione dialettica. Perciò, in tali opere la forma dialogica tende a cedere il passo all’esposizione sistematica. Lo stesso protagonista tende a non essere più Socrate.

L’unificazione del sapere e le sue destinazioni etico-politiche

Platone si interroga nuovamente sull’unificazione del sapere con le sue destinazioni etiche e politiche. Nel Timeo e nelle Leggi Platone intende attenuare la scissione fra mondo delle idee e mondo empirico, al fine di rendere il sapere scientifico più fruibile sul piano etico-politico.

La strutturazione matematica dell’universo

Ed ecco sorgere una nuova grandiosa proposta di interpretazione del mondo. Le matematiche sono la chiave di ogni sapere sul mondo, perché quest’ultimo, nella sua totalità, senza distinzioni fra i due piani, ha una struttura matematica. I corpi fisici sono composti dai quattro elementi empedoclei, acqua, aria, terra e fuoco, elementi a loro volta formati da particelle materiali indivisibili a forma di solidi geometrici regolari: sfere per l’acqua, piramidi per il fuoco ecc.

L’unificazione matematico-geometrica delle scienze della natura

Perciò le scienze matematiche sono superiori ed è possibile matematizzare tutte le scienze dalla fisica alla biologia. Con queste analisi del Timeo, Platone vuole indicare un modello di unificazione a base matematico-geometrica di tutte le scienze della natura. Il mondo è una grande macchina e la matematica è, secondo Platone, il suo codice di funzionamento. Tale macchina è orientata verso il meglio dal volere della divinità che l’ha forgiata. 

L’astronomia come scienza suprema

La garanzia del bene nel mondo è costituita dagli astri. Gli astri sono dèi e la prova di ciò è l’eternità e l’immutabile regolarità del loro movimento. Le orbite degli astri sono come l’orologeria segreta che assicura il movimento ordinato della macchina del mondo. Seguendo i pitagorici l’astronomia diventa la scienza suprema, l’unica in grado di penetrare nell’ordine provvidenziale che le divinità astrali rappresentano e attuano nel mondo.

Il Timeo

Al tema dell’origine e della struttura del cosmo è dedicato uno degli ultimi dialoghi di Platone, ovvero il Timeo. Quindi lo studio approfondito del mondo delle idee non ha fatto perdere di vista a Platone l’importanza di una trattazione filosofica del mondo fisico. Solo che mentre del mondo delle idee si può avere una trattazione scientifica in quanto è il mondo dell’essere, del mondo fisico, essendo soggetto al mutamento e al divenire, l’unico discorso possibile dovrà essere di natura probabile o verosimile: questo discorso è quindi presentato con un racconto mitico simile alla verità, ma non del tutto coincidente con essa.

La causa del cosmo è rappresentata dal modello ideale, cioè dal mondo delle idee. Tuttavia, quest’ultimo va in un certo senso messo in movimento, va attivato. Per alludere al movimento causale del modello ideale Platone ricorre alla celeberrima immagine del demiurgo.

Egli è un divino artefice, dotato di intelligenza e volontà, intermedio tra le idee e le cose, che vuole che il mondo sensibile somigli il più possibile al mondo intelligibile, per questo fabbrica un prodotto che riproduce i caratteri di completezza e perfezione del modello. Quindi il mondo è la copia del modello ideale fabbricato da un dio buono. Quest’ultimo non è però un dio creatore, ma un dio artigiano, che agisce su un materiale preesistente.

All’inizio il mondo era costituito da una materia priva di vita e informe (caos, chòra). Il demiurgo amante del bene e del buono ha plasmato, ha dato una forma a questa materia formando le cose a immagine e somiglianza delle idee. Quindi se la materia rappresenta la causa necessaria (anànke) per la costituzione dei corpi, che offre comunque una certa resistenza all’azione della ragione, il demiurgo e le idee rappresentano la causa intelligente.

La supremazia della causa razionale nei confronti di quella necessaria si esprime con il ruolo giocato dall’anima. Il cosmo per Platone è come un essere vivente – che si muove, al suo interno, da cui si sviluppano dei processi, come quello di crescita – quindi possiede un’anima, oltre che un corpo costituito dai quattro elementi. L’anima esercita il comando sul corpo e ne guida il movimento, come appare evidente nel movimento degli astri che si comportano secondo precise leggi matematico-razionali. L’universo è quindi un immenso organismo vivente, in cui si riflette l’armonia delle idee. Tutto ciò che è disarmonico è dovuto invece alla materia. L’anima è collocata dal demiurgo al centro del mondo, per guidarlo e per regolarne i movimenti.

La prevalenza dell’intelligenza sulla necessità trova espressione in un altro aspetto: i corpi fisici presentano al loro interno una struttura matematica, quindi la materia è in ultima analisi costituita da strutture geometrico-matematiche, dunque da entità intelligibili, quindi la matematica costituisce il codice di interpretazione di tutto ciò che esiste. Da notare l’importanza di tale riflessione per la fisica moderna e per Galileo. Bisogna però ricordare che la fisica-matematica di Platone si pone in alternativa all’atomismo democriteo in quanto per Platone la sfera della materia non è veramente autonoma, ma rimanda a un piano fondativo a essa superiore ovvero le entità ideali. Sostanzialmente Platone pur non negando l’esistenza di cause meccaniche le subordina a quelle finali.

Il Timeo nella storia del pensiero filosofico e scientifico 

È stata l’opera più studiata di Platone, uno dei pochi dialoghi già noti nel Medioevo e che più ha influito sulla filosofia e scienza posteriore.

Sul piano filosofico-metafisico: è presente il concetto di una Mente intelligente e ordinatrice del mondo, che sarà assimilata al Dio creatore della Bibbia. Platone ha finito per incarnare una visione finalistico-religiosa antitetica al naturalismo e al materialismo.

Sul piano scientifico: vi sono una massa di notizie fisiche, astronomiche, matematiche, mediche, per questo sarà un punto di riferimento per la scienza medievale. Mentre l’idea pitagorica, secondo cui la matematica costituisca la chiave di interpretazione della natura, sarà alla base della scienza moderna.

D’altra parte la sua matematica a sfondo metafisico, mettendo a tacere il meccanicismo democriteo, ha contribuito a ritardare la nascita della scienza moderna. Anche la fisica di Aristotele, sebbene sia diversa da quella platonica, sarà animata dall’antimeccanicismo.

Il discorso dialettico come teologia astrale

Si tratta ora di derivare dal sapere astronomico le conseguenze teologiche, di trarne le indicazioni in termini di condotta morale e politica. Ciò avviene, secondo Platone, mediante il discorso dialettico, che è nel frattempo divenuto una teologia astrale, che deve tradurre in linguaggio umano il messaggio matematico dell’astronomia.

Le Leggi

Vista la mancata traduzione in realtà del progetto di Stato della sua Repubblica, Platone si occupa di indicare più concretamente le Leggi, un codice che regola minuziosamente in modo razionale la vita dei cittadini. Tale codice si basa su un certo numero di princìpi generali: identificazione fra proprietà terriera e diritto di cittadinanza; espulsioni dal corpo sociale di chi pratichi il commercio. Le persone prive di terra saranno trattate come semi-schiave. L’educazione dei cittadini deve essere regolata dallo Stato. Il culto della religione ufficiale deve essere obbligatorio come garanzia dell’ordine pubblico. Il potere esecutivo e legislativo sarà posto sotto un consiglio di dieci cittadini, scelti tra i più saggi, che sarà detto consiglio Notturno. Nelle Leggi si esprime la sfiducia nella possibilità di educare progressivamente il corpo sociale. All’educazione subentra allora la forza coercitiva della legge, la teologia dogmatica, il consiglio notturno che vigila e punisce chi metta in discussione l’ordine immutabile dello Stato. Tale Stato teocratico è di più facile realizzazione della Repubblica, ma come dimostrano le esperienze di Siracusa, in esso poi non può riconoscersi l’esigenza prioritaria di Platone di ritrovare una stretta relazione fra lo Stato con le sue strutture e il sistema del sapere.

Il bene come Uno e le “dottrine non scritte” di Platone

Negli ultimi anni della sua vita Platone ha fatto del bene da un lato un principio d’ordine del mondo scientificamente analizzabile, dall’altro il principio regolatore della società mediante un corpo di leggi a esso ispirate. Di quest’ultimo abbiamo già parlato, mentre del bene come principio d’ordine del mondo Platone ha trattato nel Filebo, nel Parmenide e nelle dottrine non scritte. 

Il bene nelle strutture del mondo fenomenico quale principio di determinazione

Nel Filebo il Bene non è più posto come nella Repubblica al di sopra dell’essere e delle idee, ma è calato nella struttura delle realtà empiriche, molteplici e in divenire. In quanto ognuna di esse, oltre al disordine e alla mutevolezza propri del tempo e delle materia, presenta un aspetto di unità, di individuazione e ciò si deve all’azione del Bene, che è in ogni cosa il principio di determinazione e di senso. Il bene è il limite che controbilancia nel mondo l’indeterminazione e il disordine. In tal modo si restringe l’opposizione fra mondo empirico e ideale e diviene possibile costruire un programma di comprensione razionale del mondo empirico basato sulle matematiche, scienze del limite per eccellenza, e la dialettica che diviene la scienza dei rapporti fra il principio, il Bene-limite, e le cose del mondo.

Il bene come Uno che rende comprensibile i fenomeni

Il bene è il principio di unità del mondo e come tale è esterno e prioritario rispetto alla molteplicità delle idee e delle cose empiriche, ma agisce pure in ognuna di esse, perché idee e cose pur essendo molteplici sono unitarie, determinate, non confuse in una pluralità indiscriminata. Perciò Platone definisce il Bene come Uno, in quanto ogni idea o cosa ha in sé il suo senso e il suo principio di valore nella sua intrinseca unità, quale aspetto stabile della propria natura. Tale presenza del bene rende il mondo relativamente ordinato e, quindi, comprensibile razionalmente.

La superiorità della lingua parlata sulla lingua scritta: il Fedro

Sulla scia di Socrate, anche Platone ha affermato nel Fedro la superiorità della lingua parlata sulla scritta. Perciò si pensa che Platone affiancasse alle opere scritte delle lezioni orali in cui affronta in modo addirittura più sistematico e approfondito le idee delle grandi opere della maturità. In esse Platone avrebbe esposto una genesi del mondo non mitologica come quella illustrata nel Timeo. Secondo tale concezione all’origine del mondo sarebbero due princìpi: l’Uno (il bene) e la Diade infinita, da cui origina la molteplicità. L’azione della Diade frammenta l’unità dell’Uno. I due princìpi agiscono in ogni singolo ente, che è sempre al contempo unitario, ma diviso in parti. Il rapporto Uno-Diade genera in primo luogo le idee numeri, ossia delle idee generalissime. Da cui deriverebbero le altre idee e gli enti matematici, da cui deriverebbe infine la realtà empirica, come abbiamo visto nel Timeo. In tale costruzione metafisica molto forte è l’eredità pitagorica. La dialettica diviene, in effetti, una sorta di matematica filosofica, che indaga l’ordine strutturale del mondo. Perciò Aristotele accuserà i platonici di aver finito per trasformare la filosofia in matematica.

Il dibattito sulle presunte dottrine non scritte

Diversi studiosi negano l’esistenza o la rilevanza delle presunte dottrine non-scritte. Altri, al contrario, le considerano addirittura l’ultima parola di Platone, che avrebbe superato la filosofia esposta nei dialoghi.  Altri, infine, le considerano uno dei molti esperimenti intellettuali di Platone per chiarire il rapporto fra Bene, idee ed enti empirici, mediante i quali Platone avrebbe reso la dialettica la scienza in grado di cogliere gli elementi di ordine e stabilità presenti nel divenire della realtà nella sua molteplicità.

Il dibattito sulle presunte dottrine non scritte

Diversi studiosi negano l’esistenza o la rilevanza delle presunte dottrine non-scritte. Altri, al contrario, le considerano addirittura l’ultima parola di Platone, che avrebbe superato la filosofia esposta nei dialoghi. Altri, infine, le considerano uno dei diversi esperimenti intellettuali di Platone per chiarire il rapporto fra Bene, idee ed enti empirici, mediante i quali Platone avrebbe reso la dialettica la scienza in grado di cogliere gli elementi di ordine e stabilità presenti nel divenire della realtà nella sua molteplicità.

16/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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