Socrate e la crisi della democrazia

Socrate fonda una nuova tradizione filosofica, che raccoglie l’eredità della tradizione sapienziale adattandola all’ambiente della polis, grazie all’esperienza del pensiero sofistico.


Socrate e la crisi della democrazia Credits: http://ritirifilosofici.it/socrate-luomo-dagli-atti-giusti-prima-delle-parole-giuste/

 

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.

Vita di Socrate

Socrate nasce nel 470 a.C. ad Atene da uno scultore e una levatrice. Sino alla guerra del Peloponneso fa parte della cerchia intellettuale che si è costituita intorno a Pericle, capeggiata da Anassagora. Legato alla famiglia di Platone, combatte tre volte per difendere la sua polis. Eletto nel 406 a.C. coopresidente dell’assemblea si batte contro la condanna a morte, voluta dai conservatori, degli ammiragli che per vincere la battaglia non avevano raccolto i cadaveri dei caduti.

Il processo

Dopo la conquista del potere dei Trenta tiranni nel 404, Socrate si tiene in disparte dalla guerra civile che riporta al governo i democratici. Nel 399 a.C. Anito, esponente dell’ala moderata del partito democratico, lo accusa di ateismo e corruzione dei giovani, in quanto maestro di Alcibiade e Crizia. Socrate affronta il processo senza accettare compromessi, sino alla condanna a morte.

Fonti e testimonianze

Socrate si è limitato a comunicare oralmente il suo pensiero, senza scrivere testi. Tra i suoi più abituali uditori figurano Senofonte e i fondatori delle scuole post-socratiche: Antistene, Aristippo di Cirene, Euclide di Megara e Platone. Per ricostruire il suo pensiero dobbiamo rifarci alle testimonianze. Nelle Nuvole Aristofane raffigura Socrate come il massimo rappresentante della sofistica e dell’ateismo, evidenziando l’odio che hanno i reazionari e gli aristocratici per il filosofo e l’intellettuale. Senofonte cerca, dopo la condanna a morte da parte dei democratici, di conquistare l’eredità di Socrate alle proprie posizioni conservatrici, dandone una interpretazione moralistica. Ma da filoaristocratico è naturalmente digiuno di filosofia. La fonte principale resta, certamente, Platone che, però, tende a farne un antecedente della propria filosofia e ad attribuire a Socrate anche lo sviluppo del suo pensiero. Aristotele, infine, è utile per distinguere il pensiero di Socrate da quello di Platone.

Il pensiero socratico, essenzialmente critico, sorge dalla consapevolezza dei limiti della politica di Pericle

Socrate si forma quando la civiltà greca ha raggiunto il proprio apice, all’interno della cerchia di Pericle. Nella prima parte della sua vita Socrate non si distingue dagli altri intellettuali della cerchia periclea. Socrate raggiunge la maturità durante la guerra del Peloponneso, con la crisi del mondo greco. È allora che sviluppa un pensiero autonomo rendendosi conto dei limiti della politica periclea, della stessa democrazia e del sapere tecnico-naturalistico di stampo anassagoreo, ormai incapace di garantire quell’armonia e ordine sociale che avrebbero dovuto consentire un costante progresso. A parere di Socrate occorre ora elaborare una tecnica politica che controlli e guidi l’azione sociale del mondo dei tecnici e degli artigiani. Da questo punto di vista la sua posizione è ancora assimilabile a quella di sofisti come Protagora. Ma mentre per quest’ultimo tale tecnica coincide con la retorica, per Socrate essa consiste nella confutazione della pretesa di validità incondizionata di ogni sapere. Tale parte critica e negativa del pensiero socratico è decisamente più sviluppata della parte propositiva.

Dunque, Socrate non è soddisfatto dal sapere di Anassagora, in quanto non gli basta sapere come stanno le cose, ma vuole indagare come è giusto che stiano. Ricercando i criteri per valutare la realtà si concentra sulla realtà sociale. Solo sull’agire umano è, in effetti, possibile esprimere giudizi di valore. Si rivolge perciò ai sofisti, ma se ne distaccherà ben presto, non potendo sopportare il loro relativismo etico.

Socrate e la sofistica

La ricerca filosofica di Socrate ha le proprie origini nella stessa epoca in cui si afferma quella dei sofisti, a cui spesso è stato affiancato affrontando le stesse questioni di ordine etico-pratico, connesse all’orizzonte politico della città. In effetti come i sofisti anche Socrate sposta l’attenzione dalla filosofia della natura, alla filosofia dell’uomo della polis. Pur affrontando tematiche umanistiche come i sofisti, non intende però insegnare a far prevalere il proprio punto di vista, a prescindere dal suo contenuto.

La contrapposizione ai sofisti nella questione della verità

A differenza dei sofisti il logos non è per Socrate uno strumento retorico di persuasione, indifferente alla questione del vero e falso. Il linguaggio, se usato in modo logicamente corretto, è il luogo in cui si costituisce per Socrate la verità stessa delle cose. La verità si presenta all’anima non attraverso i sensi, ma mediante il linguaggio. Per Socrate i discorsi (logoi), ossia il campo logico-linguistico, costituiscono la verità delle cose, ne offrono il significato al dibattito nella polis, alla formazione delle decisioni politiche e degli orientamenti etici.

Del resto, a differenza dei sofisti, Socrate è cittadino ateniese.  Viene ricevuto non come impiegato, ma in quanto saggio, dalle principali famiglie ateniesi. Inoltre Socrate è stato indicato da un oracolo delfico come il più sapiente degli ateniesi. Socrate fonda così una nuova tradizione filosofica, che raccoglie l’eredità della tradizione sapienziale adattandola all’ambiente della polis, grazie all’esperienza del pensiero sofistico.

Il metodo di Socrate: sapere di non sapere

Socrate non ha lasciato nulla di scritto, in quanto a suo avviso la scrittura tende a irrigidire il sapere, presentandolo come un sistema chiuso e definitivo. Il discorso socratico non è oracolare o profetico, ma ha la forma del dialogo, dell’interrogare e del rispondere, di una ricerca collettiva nel contesto dell’agorà della polis. L’ignoranza socratica indica la consapevolezza dei limiti del proprio sapere, la ricerca della verità e del bene non può mai considerarsi finita, non sono nel possesso di una dottrina, ma esclusivamente nella pratica della ricerca. Perciò Socrate confuta ogni pretesa di possedere un sapere definitivo e autosufficiente. Socrate perfeziona l’argomentazione razionale, con una serie di insidiose domande e obiezioni che smascherano l’inconsistenza scientifica del sapere del contraente, fino a confutare – ponendole in contraddizione – le false certezze dell’interlocutore. In particolare contesta il sapere di poeti, politici, sofisti, generali e sacerdoti perché vacuo e inconsistente, riconoscendo invece a scienziati e tecnici il possesso di una competenza determinata, ma nega che possa considerarsi sufficiente a risolvere i problemi della polis, dell’anima, ossia della virtù e del bene.

La maieutica

Perciò Socrate colpisce al cuore la cultura della polis, mostrando i limiti delle conoscenze scientifiche e delle competenze tecniche. Con il metodo dell’ironia Socrate smaschera i gravi limiti della classe dirigente e degli intellettuali cui il popolo aveva delegato il proprio criterio di valutazione. Tramite l’ironia denuncia l’inconsistenza dell’ideologia dominante, che nel confronto dialettico con Socrate finisce inevitabilmente in un’aporia, ossia in un vicolo cieco. Socrate, dopo aver confutato la presunzione di possedere una verità indubitabile del proprio interlocutore, non fornisce risposte conclusive, in quanto intende porre gli ateniesi dinanzi alla crisi della loro cultura tradizionale. In tale situazione di crisi, pensa Socrate, l’anima dei suoi concittadini avrebbe da sola dovuto produrre forme più elevate di coscienza, nei cui riguardi Socrate si limita a usare l’arte della levatrice, la maieutica.

Il sorgere dell’indagine razionale e la definizione dei concetti

Nella sua ricerca dei criteri di valutazione, Socrate si rende innanzitutto conto della necessità di definire i concetti che, proprio in quanto dati per noti, non sono in realtà conosciuti. Il sapere di non sapere diviene imprescindibile per la loro reale conoscenza. La domanda di Socrate consiste, dunque, nella richiesta di una definizione universale. Che cos’è il giusto? Gli interlocutori di Socrate non appaiono in grado di andare al di là dell’elencazione di una serie di cose giuste. La domanda di Socrate torna a vertere sul giusto in sé al di là dei soggetti cui è riferito. Dalla dimostrazione che gli intellettuali più considerati e la classe dirigente non erano in grado di definire i concetti e, dunque, i valori etico-politici su cui si doveva reggere la città-Stato, Socrate non giunge alla semplicistica soluzione sofista per cui questi valori non esisterebbero. Si tratta, invece, di insegnare ai propri concittadini a ragionare con la propria testa per emanciparsi dall’ideologia dominante. Ma per fare ciò vi è bisogno del filosofo che insegna al cittadino ad avere il coraggio di utilizzare la propria ragione in modo corretto. Perciò Socrate non dava risposte alla sua richiesta di definizioni universali dei predicati. Tale spostamento di attenzione dai soggetti, al predicato, fonda la possibilità di un’indagine razionale.

Continua sul numero 388 di “La Città Futura” on-line dal primo maggio.

15/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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