Come si finanzia lo Stato Islamico

Remocontro - Quando gli jihadisti conquistano Mosul, nella Iraq’s Bank c’erano 500 miliardi di dinari, 450 milioni di dollari... I conti di LookOut alle voci di bilancio dei jihadisti sunniti.


Come si finanzia lo Stato Islamico

Remocontro - Quando gli jihadisti conquistano Mosul, nella Iraq’s Bank c’erano 500 miliardi di dinari, 450 milioni di dollari... I conti di LookOut alle voci di bilancio dei jihadisti sunniti.

di Ennio Remondino

Un tempo si chiamava ‘guerra di preda’. Sottrarre tutto ai vinti, anche la vita se ti era utile. Oggi sono estorsioni, contrabbando, riscatti di ostaggi, vendita di petrolio al mercato nero, finanziamenti esteri e razzie nelle banche.
Atto di guerra o rapina di massa? Soldi al Califfato o soldi a miliziani predatori? Questione teorica visto che nei fatti cambia poco. E i fatti ci dicono che Mosul è stata saccheggiata di soldi, armi e mezzi prima di divenire la capitale irachena del Califfato. Sappiamo soltanto che i soldi spariti dalle casse della United Bank facevano parte delle riserve liquide e auree dell’istituto. Sappiamo anche che la banca centrale aveva in cassa, pronti per essere prelevati-depredati, 120 miliardi di dinari, che sono circa 85 milioni di dollari. Non i 450 milioni denunciati. A Mosul qualcuno ruba ai ladri.
Da altre fonti - i dati contabili scoperti nella pen-drive di un corriere dello Stato Islamico preso dai servizi segreti iracheni - scrive LookOut, si ‘sapeva’, si presumeva che prima della caduta di Mosul la reale disponibilità economica del Califfato era di circa 875 milioni di dollari. Mancherebbe un altro miliardo di dollari che c’è ma non si sa da dove arriva. Ed ecco il frutto degli arzigogoli di sospettosi ‘ragionieri’ esperti di islam. La Zakat, la elemosina nel senso più nobile è uno dei cinque precetti/obbligo per ogni musulmano: donazione spontanea di una parte delle proprie ricchezze.
E la Zakat diventa un sistema che, travalicare la fede, può servire come mezzo di finanziamento occulto per attività non legate esattamente a pratiche religiose o sociali, come ad esempio la jihad. L’Arabia Saudita e Qatar -narrano numerose istituzioni, a cominciare dalla Casa Bianca- avrebbero fatto lauta ‘Zakat’ nei confronti degli integralisti sunniti pronti a combattere contro lo scisma sciita in Siria e Iraq. Dal 2001 negli Stati Uniti esistevano unità d’analisi dei flussi finanziari esteri mirati sulla Penisola Araba, oltre a pressioni politiche sui governi di Arabia Saudita, Kuwait e Qatar.

‘Donazioni’ riconosciute come chiara fonte di finanziamento diretta ai combattenti in Siria dal 2011 in poi, e ‘giustificate’ dalla necessità di sostenere le forze ribelli in Siria contro il regime di Bashar Al Assad. Enti di beneficenza e singoli petrosceicchi del Golfo hanno passato cifre enormi a enti o soggetti collegati tanto all’esercito Siriano Libero (i ‘ribelli ‘laici’ ormai sconfitti), quanto a Jabhat al-Nusra, sia attraverso bonifici sia per tramite di emissari con valigette piene di contanti. Da Al Qaeda a Isil, Isis, Daish, Califfato e Stato Islamico il percorso è diretto e ormai abbastanza noto.

Petrolio e archeologia. Se quello è stato l’inizio finanziario della rivolta sunnita nel ‘Lavante’, non vanno dimenticati i profitti dei giacimenti petroliferi che controllano direttamente in Siria orientale e nel Nord dell’Iraq. IS esporta circa 9mila barili di petrolio al giorno a prezzi che vanno dai 25 ai 45 dollari al barile. Il che porta nelle casse del Califfato quotidianamente una cifra compresa tra i 200 e i 400 mila dollari, attraverso la vendita del greggio al mercato nero, al governo turco e allo stesso regime siriano.
Controllare la strada che passa per Kobane è strategico per far passare il petrolio.

Le razzie nelle aree archeologiche garantiscono un’altra straordinaria fonte di finanziamento. La Siria, va ricordato, possiede oltre 10mila siti greci, romani, ottomani e di altre civiltà. Denuncia dell’intelligence le montagne Qalamoun a ovest di Damasco, hanno portato allo Stato Islamico guadagni per 36 milioni di dollari. Le immagini satellitari della città greco-romana di Apamea mostrano scavi e dissotterramenti incontrollati con i bulldozer, a riprova di quale sia il livello di razzie raggiunto da parte dei predoni che operano per conto o tra gli stessi jihadisti.

Infine le tasse, ci spiega Luciano Tirinnanzi. Non per niente si è chiamato ‘Stato Islamico’. Tasse per piccole e medie imprese, per cittadini musulmani e non, con sovratassa per gli infedeli, la ‘Jizya’ come ai tempi di Maometto. Tasse sui ripetitori telefonici, per allaccio di energia elettrica e acqua. Un tributo che, accortezza politica, è inferiore alle tasse e alle tangenti che prima erano dovute al governo di Assad.
I tributi vengono riscossi attraverso rappresentanti politici locali e gestiti dalla Banca di Raqqa, che oggi funziona come autorità fiscale che rilascia ricevuta dello Stato Islamico.
Stesso rigore per gli stipendi ai funzionari pubblici e ai soldati, che si aggirano intorno ai 500 dollari al mese, per un totale di circa 60mila uomini. Si parla di 360 milioni l’anno che possono uscire dalle casse dello Stato Islamico. ‘Spese correnti’ per meno di un quarto delle ricchezze totali, il cui resto può dunque essere investito ancora a lungo nella ‘Guerra Santa’. Il Califfato come uno Stato sovrano che ha dato vita a un sistema classico e collaudato di economia di guerra che sembra funzionare fin troppo
bene. Capire questo - conclude Luciano Tirinnanzi - per comprenderne forza e pericolosità.

Ennio Remondino - remocontro.it

 

 

29/11/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Ennio Remondino

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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