Ucraina fra Russia e NATO, di Marco Pondrelli

Marco Pondrelli, nel suo nuovo libro, inquadra la crisi ucraina attraverso una seria analisi storica delle vicende di quei territori e dei complessi rapporti fra Ucraina e Russia sul piano sia politico sia culturale. In contrapposizione alla propaganda di guerra, ci offre dati che smascherano la mistificazione mediatica e ci permettono di collocare gli attuali drammatici avvenimenti in un contesto più ampio legato al nuovo assetto mondiale multipolare che si sta o si potrebbe configurare.


Ucraina fra Russia e NATO, di Marco Pondrelli

Il nuovo libro dello storico ed esperto di politica internazionale Marco Pondrelli, direttore di Marx21, Ucraina tra Russia e NATO (Anteo Edizioni), porta una boccata di ossigeno in contrasto con l’asfissiante propaganda di guerra che ormai pervade la comunicazione mainstream ed è stata introiettata dal senso comune, facendo breccia anche in un popolo “di sinistra” da troppo tempo spaesato e orfano di orizzonti di vero cambiamento.

Con linguaggio nitido e incisivo e con puntuale documentazione storica, Pondrelli dipana l’ingarbugliata matassa del contesto in cui nasce e si sviluppa la crisi ucraina, affrontando la complessa storia di quel paese e i suoi rapporti con la Russia, percorrendo le tappe della manipolazione di quel territorio da parte dell’impero USA e infine legando tutto questo alle presenti prospettive di equilibrio mondiale (o di sua temibile assenza).

La complessa storia dei rapporti fra Russia e Ucraina viene analizzata a partire dalla nascita della Rus a Kiev nell’882 (viene anche smontato il diffuso malinteso dovuto alla confusione terminologica fra “Rus” e “Russia”, che porta a confondere la popolazione russofona con i cittadini della Federazione Russa, da cui deriva il fraintendimento dell’affermazione di Putin che russi e ucraini siano un unico popolo), per poi esaminare il complesso sviluppo storico della sua eredità, caratterizzata da una costante dicotomia culturale e religiosa fra influenza occidentale e orientale. Viene ripercorsa la storia dei territori che sarebbero diventati Ucraina, divisi geograficamente e culturalmente prima fra Polonia e Russia e poi fra quest’ultima e l’Austria, fino alla Prima guerra mondiale, finché la rivoluzione di febbraio del 1917 mette fine al controllo zarista sull’Ucraina. Si esamina poi l’intrecciarsi delle vicende ucraine con la nascita e lo sviluppo dell’URSS, e la guerra intestina fra la parte nazionalista antirussa e quella che aderiva agli ideali rivoluzionari sovietici. In questo contesto, viene fatta chiarezza, con dovizia di dati, sulla campagna mediatica mistificatoria che trasformò la carestia che colpì l’Unione Sovietica negli anni Trenta in un presunto genocidio, l’Holomodor, attraverso veri e propri falsi storici e “fake news” ante litteram, orchestrate dagli USA di Reagan in funzione di propaganda anticomunista. Questi falsi tralasciano il contesto dei problemi sorti con la collettivizzazione delle campagne – e l’atteggiamento dei piccoli proprietari terrieri che scelsero di macellare il bestiame piuttosto che consegnarlo alle cooperative agricole statali, con conseguenze tragiche – in cui è da escludere l’intenzionalità della carestia, mai dimostrata e peraltro assurda, ma anche il presunto “uso” della stessa da parte dei bolscevichi, che certo commisero anche errori di gestione dell’emergenza, ma non possono essere tacciati di volontà genocida. Tant’è vero che la carestia colpì molti altri territori dell’URSS. La demistificazione prosegue con il riportare alla sua realtà storica Stepan Bandera, personaggio completamente snaturato dall’attuale revisionismo, nei fatti legato all’occupazione nazista e ai suoi crimini.

Pondrelli descrive come, a partire dalla storia suddetta, dopo la dissoluzione dell’URSS l’Ucraina sia un paese complicato dove convivono culture, lingue e religioni diverse, ancor più a seguito dell’inclusione in quello Stato di Crimea e Donbass.

Le mire atlantiste su questo territorio collocato in posizione strategica fra Occidente e Oriente, vulnerabile per le sue contraddizioni e la sua complessità, sono state evidenti fin dai primi anni duemila. L’accordo di non espansione a Est della NATO è stato costantemente violato, e già nel 2008 con il vertice di Budapest si prevedeva l’ingresso del paese nella NATO stessa. Nel 2014, il golpe mascherato da rivoluzione colorata ha incrinato irreparabilmente il delicato e precario equilibrio del paese. La guerra, iniziata allora e non con l’intervento militare della Russia (negli otto anni precedenti tale intervento si contano 14.000 morti e 200.000 profughi, secondo i documenti ufficiali dell’OSCE e dell’ONU), si è svolta su due fronti, quello militare e quello mediatico. L’Euromaidan, presentato all’opinione pubblica occidentale come una rivolta per la democrazia, ha prodotto in realtà uno Stato nazificato e fratricida, che ha deposto con la violenza un governo legittimamente eletto, ha trucidato interi territori russofoni portando avanti una politica di apartheid, ed è stato autore della strage di Odessa, vergognosamente dimenticata dalla comunicazione di regime dei paesi occidentali. A questo è seguito il fallimento degli accordi di Minsk, la cui pretestuosità è stata ammessa a posteriori sia da Angela Merkel che da Poroshenko.

Questo è il contesto in cui porre l’intervento militare russo di un anno fa. Dalla fine del 2021 c’è stata una escalation nella penetrazione NATO in Ucraina, in spregio a ogni accordo, fino al rischio di installarvi testate nucleari in grado di colpire Mosca in pochi minuti, molti meno del tempo necessario per una reazione, senza lasciare così spazio ad alcun sistema difensivo. “Una mossa destabilizzante che ha come precedente storico i missili sovietici a Cuba nel 1961 – spiega Pondrelli – che erano risposta … a quelli statunitensi installati in Turchia” (All’epoca la crisi fu risolta con la decisione dell’URSS di smantellare i missili sulla base di un accordo non scritto in base al quale gli USA li avrebbero tolti dalla Turchia, come difatti avvenne.) “Di fronte a uno scenario per lei così così pericoloso – continua Pondrelli – la scelta della Russia può essere letta e compresa sotto una luce diversa, ricordando che questa decisione non ha avviato il conflitto: quest’ultimo si era aperto otto anni prima” (p. 57, neretto mio).

Perché la guerra era voluta e preparata da tempo dagli USA, la cui forza militare è rimasta l’unico elemento con cui contrastare sul piano mondiale l’inevitabile declino economico legato alle contraddizioni di un modo di produzione, quello capitalista, basato sullo sfruttamento e strutturalmente incompatibile con il benessere dell’umanità complessiva, e che ha bisogno da sempre dello strumento della guerra per superare le cicliche crisi di sovrapproduzione e mantenere il profitto di pochi. Attraverso questa guerra gli Stati Uniti mettono insieme più obiettivi: espandersi a Est, colpire la Cina attraverso il suo alleato maggiore, contrastare i legami economici fra Russia ed Europa, soprattutto Germania, e in generale fra Europa e paesi asiatici (Via della Seta in primis). Gli USA hanno tutto da guadagnare, mentre l’Europa ha tutto da perdere, profilandosi, con la politica delle sanzioni alla Russia, un acuirsi della crisi economica e un peggioramento catastrofico delle condizioni di vita della classe lavoratrice in massa.

Riporto, per concludere, alcuni passaggi conclusivi del libro, che meglio di come potrei riportare io chiariscono le prospettive attuali per costruire la pace.

“… l’89 non ha rappresentato la fine della storia, ma solo del diritto internazionale. Come può l’Occidente, che attaccò senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite la Jugoslavia, staccando da essa il Kosovo, criticare l’operazione militare speciale russa in Ucraina? (…) i problemi non saranno risolti con la fine della guerra in Ucraina, ma solo chiarendo come sarà strutturato il mondo dopo questa guerra. La Russia e la Cina, oggi, chiedono che nasca un sistema multipolare. Il mondo unipolare statunitense è fallito e, probabilmente, anche a Washington lo capiscono: è già nato un mondo multipolare con più Stati che hanno un ruolo rilevante, ma non c’è un «sistema multipolare», se per sistema intendiamo un governo mondiale fatto di regole, a partire dalle risoluzioni dell’ONU. (…) Se dovesse nascere nei prossimi anni un tale sistema, esso non sarebbe certamente il migliore: non si parla di creare un mondo di cooperazione rispettoso delle differenze, ma questo sistema multipolare garantirebbe una pace, seppure limitata come durante la guerra fredda, ma elemento essenziale per creare ricchezza e benessere. Sarebbe un passo avanti che allontanerebbe lo scenario peggiore, quello della guerra totale.” (pp. 106-107, neretti miei)

A queste considerazioni se ne potrebbe aggiungere un’altra. Se gli USA, per mezzo di questa guerra, riuscissero a riaffermare il loro unipolarismo e la vacillante supremazia del dollaro, si perpetuerebbe l’ingiustizia di un paese che vive al di sopra delle sue capacità produttive a scapito del resto del mondo e anche le sorti di alcuni tentativi di transizione al socialismo, come per esempio in diversi paesi dell’America Latina, andrebbero incontro a molte maggiori difficoltà e forse a un fallimento.

03/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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