La guerra capitalista

Recensione di un libro di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli in cui è verificata l’attualità della teoria di Marx, in particolar modo la tendenza alla centralizzazione dei capitali, e si introducono considerazioni originali sul rapporto fra questa tendenza e le cause scatenanti le guerre in corso.


La guerra capitalista

È uscito a fine 2022 il libro di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli La guerra capitalista [1].

L’analisi sviluppata nel saggio parte dalla verifica empirica della legge marxiana della tendenza alla centralizzazione dei capitali, resa possibile dalla disponibilità odierna di una enorme mole di dati sulle società, specialmente quelle quotate in borsa, e di poderosi strumenti di calcolo.

Brancaccio ci aveva già riferito di queste ricerche empiriche in due suoi recenti saggi [1], di cui uno recensito su questo giornale, in cui aveva anche sottolineato il rapporto fra la centralizzazione del potere economico e di quello politico, concludendo che la stessa democrazia liberale viene messa in pericolo da questa tendenza. Una novità di quest’ultimo saggio è che vengono forniti maggiori dettagli sia metodologici che contenutistici di questa ricerca empirica, che quest’ultima viene ulteriormente approfondita, indagando anche i suoi nessi causali con altre dinamiche economiche e la sua evoluzione nel tempo. Questo resoconto della verifica empirica, un po’ ostico per chi non ha qualche rudimento di economia e di statistica, è sviluppato sia nei capitoli 2, 3 e 4 che in un’appendice metodologica a cura di Milena Lopreite e Michelangelo Puliga. Consideriamo assai meritevole questa ricerca.

Ma l’elemento più interessante di questo lavoro è senza dubbio il ragionamento sulle conseguenze della centralizzazione dei capitali sul terreno geopolitico. Senza ripercorrere tutto il ragionamento, che rimandiamo alla lettura del libro, viene argomentato come la legge di tendenza formulata dal bistrattato Marx si realizzi attraverso l’acquisizione delle imprese debitrici da parte di quelle creditrici. A questo proposito si offre anche un’illustrazione di come gli effetti della stessa politica delle banche centrali, più che incidere sull’andamento del ciclo economico, sia in grado di rallentare o accelerare la tendenza alla centralizzazione in quanto ha effetti importanti sulle condizioni di solvibilità delle imprese, e quindi sulle acquisizioni da parte dei capitali più forti.

La dialettica fra debitori e creditori viene riproposta anche a livello internazionale. È noto che a questo livello gli Usa, usciti vincitori dalla guerra fredda, avevano imposto al mondo la globalizzazione liberista, la quale consentiva loro – e ad altre nazioni dell’Occidente – di utilizzare, anche attraverso i processi di delocalizzazione, forza-lavoro a basso costo dei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, con l’emergere in questo nuovo contesto di nuove economie emergenti, in primo luogo quella cinese, si è fortemente indebolita la competitività del sistema occidentale, e gli Usa, importando più di quanto esportano, sono divenuti i principali debitori. Da qui la rimessa in discussione della globalizzazione e del libero scambio internazionale e l’introduzione di politiche protezionistiche (dazi, sanzioni ecc. nel confronti delle economie ritenute più competitive e quindi pericolose per i loro interessi) per evitare di vedere acquisiti dai capitali dei paesi creditori fette importanti del loro sistema produttivo. Si è trattato di una guerra economica e da qui a passare alla guerra vera e propria il passo è breve, ed è stato compiuto, per esempio nei confronti di Iraq, Afghanistan ecc. 

Secondo la tesi sostenuta in questo lavoro, i paesi creditori hanno reagito alle sanzioni, molte delle quali imposte già prima della guerra di Ucraina, e agli stessi conflitti anche riorganizzandosi militarmente, facendosi più minacciosi e, nel caso della Russia, aggredendo l’Ucraina.

Un pregio di questo lavoro è che si ripropone l’attualità della teoria di Marx, che in Italia la stessa sinistra riformista ha teso a mettere in soffitta, a differenza di molti circoli borghesi che all’estero, alla luce della crisi attuale del capitalismo, vanno riscoprendo. Un altro merito è l’individuazione della dialettica fra debitori e creditori e del ruolo fondamentale delle politiche delle banche centrali in questa dialettica.

Anche la riproposizione a livello internazionale dello scontro fra debitori e creditori contribuisce certamente a fornire un elemento in più per la comprensione di rilevanti aspetti geopolitici e geostrategici e quindi dei conflitti armati, e fa piazza pulita delle narrazioni sui sacri diritti dei popoli all’autodeterminazione, la follia di Putin ecc

Non vengono presi in esame, invece, altri elementi che secondo noi non sono di secondaria importanza. Per esempio l’indebitamento degli Usa a livelli parossistici è stato possibile grazie alla supremazia del dollaro come principale valuta utilizzata negli scambi internazionali e nelle riserve delle banche centrali. Dopo che, nel ferragosto del 1971, fu revocata la convertibilità del dollaro, gli States, stampando semplicemente carta-moneta, hanno potuto vivere al di sopra del proprio potenziale produttivo e spendere in armamenti una cifra di gran lunga superiore a quella delle potenze rivali (si veda il grafico a fine articolo da cui si evince che nel 2019 la spesa militare Usa era superiore alla somma delle spese delle 10 nazioni che la seguivano in graduatoria). Ed è proprio questa supremazia che si va incrinando. Infatti sono stati realizzati accordi fra molti paesi emergenti che prevedono scambi in altre valute, è avvenuto un alleggerimento dei dollari in pancia ai rispettivi tesori, sono stati ipotizzati sistemi monetari alternativi e istituzioni finanziarie alternative alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, quale la banca di Shanghai. È indubbio che ciò corrisponda agli interessi dei creditori, ma è indubbio anche che si tratta di una legittima reazione a un’imposizione non più tollerabile da parte dei paesi in via di sviluppo e di un recupero della loro sovranità. Cina, India, Vietnam, Sudafrica, Brasile, Argentina, Venezuela, Corea del Nord, Bolivia, la stessa Russia e molti altri, a prescindere dall'opinione che possiamo avere delle loro istituzioni e dei loro sistemi sociali, stanno tentando di uscire dalla gabbia che li sottometteva alle “regole” imposte dalla nazione dominante e alcuni di loro si sono mostrati in grado di ribaltare i rapporti economici con l’Occidente.

La nostra opinione è che gli Stati Uniti abbiano deciso di difendere i loro privilegi sul terreno militare (si vedano i resoconti dei vari summit della Nato degli ultimi anni e la mancata sottoscrizione da parte Usa di numerosi trattati internazionali [3]) perché non hanno più i numeri per farlo su quello economico. Molte guerre locali da essi costruite ad arte con i pretesti più impensabili corrispondevano a questo obiettivo, così come vi corrispondevano i golpe sostenuti in America Latina, le varie “rivoluzioni colorate” e l’accerchiamento di Russia e Cina con basi militari. Non considerare questo, sottovalutare che la Nato, avvicinandosi sempre più ai confini russi, costituiva un’effettiva seria minaccia e descrivere la guerra ucraina come uno scontro fra imperialismi da mettere sullo stesso piano, arrivando a tacciare di “codismo” chi, pur sentendosi anni luce distante dal regime russo, cerca di individuare le responsabilità prevalenti di questo conflitto, ci pare una visione che sottovaluta un aspetto rilevante della questione. Naturalmente la cosa è comprensibile nell’ambito di un saggio avente come fine principale quello di evidenziare altri aspetti. Tuttavia ci è sembrato opportuno segnalare la necessità di integrare quel ragionamento, cosa che qui abbiamo potuto fare solo per sommi capi.

Pur con queste annotazioni, il libro, per il suo originale contributo teorico e politico, e per il tassello che aggiunge all’analisi del capitalismo e delle cause delle guerre, merita di essere letto dai militanti comunisti e dai cittadini amanti della pace.

La spesa militare mondiale - anno 2019 (in miliardi di dollari)



Note:

[1] E. Brancaccio, R. Giammetti e Stefano Lucarelli, La guerra Capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista, Minesis edizioni, collana Eterotropie, Milano, 2022.

[2] E. Brancaccio, Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, a cura di Giacomo Russo Spena, Meltemi, Milano, 2020 ed E. Brancaccio, Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico. 50 brevi lezioni, Piemme editori, Segrate (Milano), 2022.

[3] Per esempio il PAROS (la prevenzione di una corsa agli armamenti nello spazio extra-atmosferico) e il Trattato di Ottawa (la Convenzione sulle mine antiuomo).

24/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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