Film da vedere 2020

Quartultima classifica con i film che vale la pena vedere del 2020. Il link sul titolo rimanda alle recensioni uscite su questo giornale.


Film da vedere 2020

Corpus Christi di Jan Komasa, Polonia, Francia 2019, voto: 7; il film, meritevolmente realistico, mette il dito sulla piaga del conservatorismo e del comunitarismo reazionario della società polacca dominata dal cattolicesimo. La struttura comunitarista, sostenuta dai poteri forti, tende a escludere ogni forma di libero pensiero. Per rimetterla in discussione, c’è bisogno che un galeotto assuma il ruolo di parroco, sconquassando l’ipocrita struttura comunitarista, grazie all’abito ecclesiastico. Realisticamente, l’azione individualista e spontanea non porta a risultati rivoluzionari, anche se qualcosa produce. Manca del tutto la possibilità di un’azione organizzata e collettiva, in grado di incidere in maniera significativa.

Resistance – La voce del silenzio di Jonathan Jakubowicz, biografico e drammatico, Usa 2020, voto: 7; Al centro del film vi è la condanna dell’antisemitismo, del fascismo, del collaborazionismo e una sacrosanta apologia della resistenza. Peccato che si occulti il fatto che il protagonista e i suoi congiunti militino in una formazione comunista. Discutibile è il passaggio sulla scelta non violenta, ossia di dare priorità a salvare i bambini piuttosto che a combattere il nazi-fascismo. Nonostante questi limiti il film si distingue nel mediocre panorama di questi anni di restaurazione liberista.

Le nostre battaglie di Guillaume Senez, Belgio e Francia 2018, voto: 7; film realistico su una famiglia proletaria, dove il dramma familiare si interseca con la lotta di classe nel luogo di lavoro. Il film ha il grande merito di riportare al centro il motore della storia e mostra come le problematiche private non devono impedire la partecipazione al conflitto sociale. Anzi, in qualche modo, rafforzano la decisione di schierarsi. Per il resto il film affronta in modo realistico anche i rapporti personali all’interno della classe operaia. Il problema è che manca un rapporto dialettico non solo fra lotta sindacale e politica, ma fra ambito della vita familiare e della società civile.

A voce alta – La forza della parola di Stéphane de Freitas e Ladj Ly, documentario, Francia 2016, voto: 7; documentato ben realizzato e che lascia alquanto da riflettere allo spettatore. Al contrario del Pci italiano, il Partito comunista francese non si è suicidato, non ha perso la sua influenza salutare sul sindacato e sulle periferie. In tal modo queste ultime non sono abbandonate al degrado, in esse c’è una volontà di riscatto sociale, anche se spesso esplode in rivolte luddiste. In Francia vi è una forte attenzione dell’opinione pubblica e del per le periferie, senza il paternalismo, il gusto per il torbido e l’assoluta mancanza di prospettiva del cinema italiano. Inoltre, cosa del tutto assente in Italia, si dà grande importanza alla scuola, come strumento di mobilità sociale e di acquisizione di una propria identità e dignità e si punta molto sull’integrazione degli immigrati. I limiti del documentario è che si resta troppo legati a una esperienza, per quanto significativa.

Il concorso di Philippa Lowthorpe, Gran Bretagna 2020, voto: 7; discreto film sulla lotta per l’emancipazione della donna che si incrocia, all’inizio degli anni Settanta con la lotta per l’emancipazione dei popoli soggetti all’apartheid. Il film è in grado di coinvolgere emotivamente lasciando, al contempo, alquanto da riflettere allo spettatore. Piuttosto discutibile il passaggio della protagonista dalla decisamente più avanzata lotta per l’emancipazione dallo sfruttamento della donna lavoratrice, al movimento femminista.

Memorie di un assassino di Bong Joon-ho, Corea del sud 2003, voto: 7; secondo film del grande trionfatore dei premi Oscar. Il film è decisamente ben fatto, di impianto sanamente realistico, con una efficace denuncia della demenziale brutalità della polizia del regime dittatoriale sudcoreano. Il limite del film è la pressoché completa assenza di una prospettiva che si apra dinanzi a questo panorama grigio, violento e inquietante del regime coreano del Sud, in quanto le manifestazioni popolari di protesta, allora in atto, rimangono troppo sullo sfondo.

The Specials – Fuori dal comune di Olivier Nakache e Éric Toledano, commedia, Francia 2019, voto: 7; bel film sul ruolo che possono svolgere delle associazioni non profit disponibili a trattare quei casi particolarmente complessi di autismo che le strutture pubbliche, per mancanza di finanziamenti, tendono a rifiutare o a trattare solo in modo repressivo. Evidentemente si tratta di un’eccezione, dal momento che in generale le cooperative sociali funzionano solo attraverso l’ultra sfruttamento dei lavoratori. Inoltre questo ruolo positivo di sussidiarietà può svolgere una funzione positiva solo nei riguardi di uno Stato imperialista. Peccato che il film mostri gli aspetti positivi del no profit e non ne indaghi anche i limiti strutturali. 

Sfida al presidente – The Comey Rule di Billy Ray, miniserie in due episodi, Usa 2020, voto: 7; il film è un’ottima denuncia della pericolosità di un presidente dell’estrema destra come Trump, in quanto riesce a far passare come degli eroi persino i repubblicani a capo del Fbi. Interessante anche come la classe dominante statunitense sia disponibile, pur di non mettere in discussione i suoi irrazionali privilegi, di coprire un presidente della destra radicale giunto al governo in modo truffaldino. Interessante è come gli statunitensi lascino agli universitari il postmoderno e realizzino dei film di un realismo ingenuo, ma decisamente meno intollerabile.

Il meglio deve ancora venire di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, commedia, Francia 2019, voto: 7-; il film riesce a dosare in modo ammirevole un tema esistenziale tragico, ovvero il confronto dell’uomo con un cancro che lo porterà inesorabilmente alla morte, con una raffinata commedia che mostra come sia possibile superare anche le situazioni più infelici, imparando a prendere la vita con filosofia.

Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, drammatico, Italia 2020; voto 7-; pur avendo il coraggio di affrontare un tema di grande spessore, in completa controtendenza rispetto in particolare all’attuale miseria del cinema italiano, la regista sembra interessata esclusivamente a rappresentare la storia, dal punto di vista meno significativo, quello del cameriere. Per cui non è la grandezza pubblica del personaggio che interessa, il ruolo di primo piano che svolge nella lotta per l’emancipazione dell’umanità, ma piuttosto i suoi drammi privati.

Donne ai primi passi di Maïmouna Doucouré, drammatico, Francia 2019, voto: 7-; buon film realista sulla tragica condizione vissuta dai figli degli emigrati nei paesi a capitalismo avanzato, che si trovano da una parte a cercare di integrarsi in una società dove è tutto ridotto a merce, dall’altra a dover fare i conti con le proprie origini culturali, radicate in società arcaiche, moraliste e ultra patriarcali. Il limite è che al solito manca una reale catarsi, che indichi la prospettiva di un reale superamento della tragedia. In quanto si è perso lo spirito di utopia, finendo con l’essere sopraffatti dalle tenebre del quotidiano.

The New Mutants di Josh Boone, fantastico, Usa 2020, voto: 7-; presumibilmente il migliore film dedicato ai supereroi. Anche perché i potenziali supereroi – che peraltro devono i loro poteri a terribili traumi infantili – sono rinchiusi in un ospedale-lager in cui subiscono. La società, che si assume il costo di questa ospedalizzazione-detenzione, deve stabilire in che modo i potenziali superpoteri saranno sfruttabili. Così agli adolescenti viene fatto credere che saranno aiutati a gestire consapevolmente i loro poteri per divenire dei super eroi, mentre al contrario si cerca di capire come sfruttare certe attitudini asociali per la formazione di killer, il cui sfruttamento renderà un profitto. Mentre quei poteri che il sistema non è in grado di controllare e di rendere strumento di profitto devono essere eliminati insieme all’adolescente che ne è l’ignaro portatore. 

Alice e il sindaco di Nicolas Pariser, Francia 2019, voto: 7-; film godibile dal punto di vista estetico, raffinato, con un bel protagonista femminile di intellettuale, insegnante, di formazione letteraria e con buone letture filosofiche che riesce a ridare un po’ di vita al mondo sempre più stantio del Partito socialista francese e, più in generale, della politica politicante. Il limite del film è che anche un ottimo intellettuale può, in realtà, fare poco più che un’opera di testimonianza, se privo di una connessione organica con le masse popolari.

Sul più bello di Alice Filippi, commedia, Italia 2020, voto 6,5; melodramma ultra romantico piuttosto riuscito. Anche perché al fondo vi è una questione sostanziale, ossia l’affrontare le difficoltà della vita con spirito costruttivo anche quando le condizioni sono le più avverse. Certo, si tratta di una bella favola. 

Letizia Battaglia – Shooting the Mafia di Kim Longinotto, documentario, Irlanda 2019, voto 6,5; buon documentario che racconta una storia esemplare di lotta per l’autodeterminazione femminile. Piuttosto carente la parte sulla mafia, in quanto non si va al di là di una condanna sul piano morale.

The Hunt di Craig Zobel, azione, horror e thriller, Usa 2020, voto: 6,5; il film riprende un filone che esplicita le profonde contraddizioni statunitensi attraverso la forma del B-movie. Nel caso in questione è rappresentato, in modo volutamente paradossale, il tragico contrasto fra una élite liberal e un popolo ridotto a un sottoproletariato facile preda del populismo di un Trump, che si trova di fronte la ultra-elitaria Hillary Clinton. Questa significativa riflessione sulla tragica contraddizione che attraversa gli Stati Uniti viene innestata in un film esplicitamente culinario e autoironico. In tal modo il contrasto fra la metafora politica – che nella sua paradossalità rischia di essere interpretata nel peggiore dei modi, dando ragione al populismo di destra della plebaglia – e la forma parossistica del B-movie è troppo stridente, per fare del film qualcosa di più di alcune brillanti trovate che però, essendo troppo elitarie, rischiano di favorire la cattiveria dei poveri.

Diego Maradona di Asif Kapadia, documentario, Gran Bretagna 2019, voto: 6,5; documentario ben fatto e indubbiamente godibile anche esteticamente, che lascia qualcosa di significativo su cui riflettere allo spettatore. Ci narra la storia del più dotato calciatore di tutti i tempi, che pare realizzare il mito del capitalismo, per cui chiunque, con impegno può dal nulla divenire una persona ricca e ammirata. D’altra parte Maradona resta, comunque, uno sfruttato. Viene sempre più strumentalizzato dalla camorra, che facendo leve sulle sue debolezze lo fa divenire sempre più tossico dipendente. Inoltre è in rotta di collisione con i poteri forti, in quanto rivoluziona i rapporti di forza fra nord e sud all’interno dello sport nazionale. Inizia così ad avere contro i grandi mezzi di comunicazione. Una volta isolato subisce una condanna senza precedenti da parte della giustizia che, impedendogli di proseguire la sua carriera calcistica, manda in pezzi questo simbolo di un possibile riscatto dei subalterni. Per quanto significativo il documentario non va veramente a fondo sulle questioni fondamentali, economiche, sociali, politiche e culturali che sono dietro al caso particolare di Maradona e che lo rendono davvero interessante, in quanto tipico. 

Bacurau di Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho, Brasile 2019, voto: 6,5; imponente metafora della drammatica situazione del Brasile dell’America Latina e della resistenza popolare in grado di sconfiggere, anche quando si impone un livello dello scontro duro, le oligarchie locali e i loro alleati yankee. Il limite del film è che si tratta, per quanto significativa, di una metafora. Altro limite è il citazionismo postmoderno del cinema del passato.

Piccole donne di Greta Gerwig, Usa 2019, voto 6,5; film appassionante e commovente, che tocca non solo tematiche di rilievo nei rapporti all’interno della sfera etica della famiglia, ma questione sostanziali, dalle guerra di Secessione negli Stati uniti alla condizione di oppressione e schiavitù domestica delle donne. Ciò che invece manca del tutto, colpevolmente, nel film è il conflitto sociale. La realtà che ci viene mostrata è decisamente inverosimile, edulcorata e idealistica, volta a promuovere l’interclassismo.

Il regno di Rodrigo Soria Goyen, Spagna 2018, voto: 6,5; coinvolgente film di denuncia sulla corruzione del mondo politico borghese, nei suoi rapporti con gli impresari privati nelle società capitaliste. Il film denuncia a ragione il cinismo e i fini privati con cui gli istituzionali borghesi gestiscono la cosa pubblica. Inoltre mostra la rozzezza e la bassezza degli imprenditori. Il limite del film è che sono assenti le prospettive di superamento di tale aberrante situazione, sono assenti personaggi, anche relativamente positivi, e non hanno nessuna voce in capitolo le masse popolari, considerate come vittime del sistema. 

My Dinner With Hervé di Sacha Gervasi, Usa 2018, voto 6,5; il film mostra l’importanza della lotta per il riconoscimento, per ottenere la quale, il protagonista cerca di conquistare fama, denaro e potere. In tal modo spreca la propria esistenza dietro falsi miti, non raggiunge la felicità e si auto-immola pur di rimanere al centro dell’attenzione. Peccato che alla giusta e realista critica delle piccole ambizioni, non si prospetti mai la possibilità di poterne coltivare di grandi.

Brexit: The Uncivil War di Toby Haynes, storico, Gran Bretagna 2019, voto: 6,5; film intrigante e pieno di ritmo, denuncia i sistemi fraudolenti con cui le destre radicali populiste riescono a vincere le elezioni. Significativo anche per la denuncia del populismo e della demagogia con cui la destra radicale, con il finanziamento del grande capitale, sfrutti a beneficio di quest’ultimo il profondissimo disagio sociale presente nella plebe moderna. Il principale limite del film è che naturalizza la passività e la manipolabilità delle masse da parte degli ideologi della destra populista. 

Un’intima convinzione di Antoine Raimbault, drammatico, Francia 2019, voto 6,5; film certamente piacevole, ben girato e al quanto interessante. Peccato si fermi a denunciare il singolo caso, senza comprendere che non si tratti dell’eccezione, ma della regola nella società imperialista, dove ciò che conta è la produttività degli organi inquirenti e non la ricerca della verità.

King Lear di Richard Eyre, Gran Bretagna film per la tv 2018, voto: 6,5; efficace ambientazione contemporanea di King Lear, che ne rende più efficace la fruizione televisiva. Manca però l’effetto di straniamento necessario a cogliere i limiti classisti delle posizioni di Shakespeare.

Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani, Italia 2019, voto: 6,5; film godibile sul complesso rapporto di una famiglia con un figlio down. Il film tocca anche l’impegno politico dei giovani per l’emancipazione del genere umano e contro le forze reazionarie della destra. Il tutto senza sbavature, ma senza neanche mai andare a fondo sulle problematiche affrontate.

Emma di Autumn de Wilde, commedia, Usa 2020, voto: 6,5; commedia sofisticata in costume molto ben confezionata e interpretata. Peccato si ironizzi e si faccia critica sociale solo sugli arrivisti delle classi sociali non elevate, mentre gli aristocratici vengono trattati con i guanti. Manca inoltre qualcosa di veramente sostanziale. Rimane la struttura conservatrice della commedia in cui, nonostante una serie di problemi, alla fine tutto si ricompone, anche a livello sociale.

19/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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