Being the Ricardos di Aaron Sorkin, con Nicole Kidman, Javier Bardem, biografico, Usa 2021, distribuito su Amazon, voto: 7; decisamente fra i film meno soporiferi candidati ai premi Oscar, in quanto Being the Ricardos è abbastanza appassionante e coinvolgente e affronta due temi sostanziali della storia – degli Stati Uniti in particolare – degli anni Cinquanta: la “caccia alle streghe” anticomunista e la famiglia patriarcale all’interno di una società maschilista. Peccato che essendo un film statunitense da una parte denuncia la caccia alle streghe, ma dall’altra porta avanti la demonizzazione – con assurde fake news – dei comunisti, che sarebbero dei veri e propri mostri in quanto avrebbero ucciso, senza ragioni, “persino gli animali”!? Dunque il problema non sarebbe da rinvenire nella caccia al comunista, ma piuttosto nel fatto che in tale caccia alle streghe siano stati inquisiti degli uomini del tutto “innocenti”. In tal modo si disumanizza e si condanna a essere le nuove streghe da bruciare i comunisti, cioè coloro che in quell’epoca più si sono battuti per l’emancipazione del genere umano, mentre si esaltano coloro che sono stati inquisiti, pur non avendo fatto, in effetti, nulla di significativo per favorire la liberazione dell’umanità e combattere le forze che lottavano in funzione della dis-emancipazione.
Cinque giorni al Memorial, miniserie drammatica statunitense del 2022, ideata da John Ridley e Carlton Cuse, in otto episodi, distribuita in Italia da Apple tv+, voto: 7. Miniserie molto interessante sulla strage conseguente all’uragano Katrina, catastrofe “naturale” – naturalmente prodotta dal modo capitalistico di produzione, che impedisce ogni sano ricambio organico fra uomo e natura – e sfruttata per ripulire la città dai poveri afroamericani e favorire la gentrificazione dell’affascinante centro di New Orleans. Si è trattato dell’ennesimo disastro non solo prevedibile, ma in buona parte previsto, che ha mostrato ancora di più il profondo razzismo indistricabilmente connesso con il classismo così caratteristico dell’imperialismo statunitense. In tale disastro tutto il sistema si dimostra colpevole e complice, dai più alti piani dell’amministrazione, fino agli ultimi esecutori, infermieri caucasici, impegnati a ripulire la scena del delitto da poveri afroamericani impossibilitati a difendersi a causa della malattia. Naturalmente si trattava di fare di quest’ultimo caso troppo eclatante, la classica mela marcia, da togliere di mezzo per preservare la presunta bontà delle altre, colpendo e scaricando tutte le responsabilità sui più umili esecutori della strage. Come spesso avviene, la “giustizia” è così classista e razzista e i gruppi di potere hanno una concezione talmente corporativa e castale per cui, alla fine, anche gli ultimi davvero impresentabili esecutori vengono del tutto scagionati e divengono niente meno che degli eroi, almeno agli occhi dei loro colleghi.
La serie ha dei punti di forza che sono al contempo dei punti di debolezza e che coincidono, a grandi linee, con la grandezza e i limiti dell’opera d’arte nel mondo contemporaneo. L’opera non può affrontare una grande questione sociale, come quella alla base del film, in modo sistematico, come pure andrebbe trattata, ma se ne può occupare, necessariamente, solo da un punto di vista particolare sensibile, attraverso le vicende di alcuni uomini in carne e ossa. D’altra parte, pur narrando eventi particolari, facendolo in modo realistico, riesce a rinviare attraverso essi all’universale.
Va notato che si corre talvolta il rischio di perdersi dietro casi particolari di scarso interesse e di incentrare troppo la vicenda sul vano sforzo di condannare, quanto meno, i capri espiatori di fatto selezionati dallo stesso sistema.
Inoltre la miniserie tende a presentarsi formalmente, per rafforzare il realismo, come se si trattasse di un reportage, di un’inchiesta, con gli autori che sembrano fare il possibile per evitare di prendere posizione, limitandosi a esporre gli eventi nella loro intrinseca complessità e contraddittorietà. Così abbiamo dei personaggi fin troppo particolaristici, che hanno però anche una valenza tipica. Il fatto che gli autori non prendano apertamente parte, nonostante le tragicamente sconvolgenti vicende trattate, rende più interessante e straniante la vicenda narrata, lasciando molto su cui riflettere allo spettatore. Ciò non toglie che si resta un po’ basiti per la mancanza di indignazione e di empatia dimostrata da autori e produttori. Certo la serie insegna a non pensare astrattamente, in modo intellettualistico e, quindi, a cogliere anche nell’esecutore materiale di un elevato numero di crimini oltre al freddo assassino anche un essere umano persino, a sua volta, vittima del sistema. Dall’altra parte si ha l’impressione che la serie non possa o non abbia il coraggio di mettere realmente in discussione il sistema neanche nei suoi aspetti più indifendibili e raccapriccianti.
Anche la questione della catarsi e della prospettiva di superamento nel finale della tragedia rappresentata resta aperta. Da una parte c’è l’impianto naturalista e la forma quasi documentarista che impedisce di individuare e far emergere un’alternativa reale, dall’altra la serie dimostra a ragione come persino nelle stesse tragiche vicende dei colleghi possano assumere posizioni etico-morali anche radicalmente contrapposte. Così, dinanzi alle scelte criminali degli esecutori materiali, fra cui anche medici, abbiamo altri medici, che nelle stesse difficoltà e contraddizioni, reagiscono in modo ben diverso. D’altra parte non ci si può più sempre e solo limitare a rappresentare la realtà nella sua tragica e contraddittoria complessità, ma si tratta anche di individuare la possibilità di poterla giudicare con dei criteri rigorosi all’interno di una prospettiva etico-politica. Quest’ultimo aspetto resta il principale difetto degli audiovisivi statunitensi che si confermano, d’altra parte, decisamente egemoni a livello internazionale.
Tra due mondi di Emmanuel Carrère, drammatico, Francia 2021, voto: 7; il film rappresenta una significativa denuncia dello sfruttamento dei lavoratori precari e delle loro difficilissimi condizioni di vita. Tra due mondi contiene degli ottimi personaggi tipici proletari. Purtroppo il film è raccontato dal punto di vista di un intellettuale tradizionale, che non ha una conoscenza scientifica dei problemi sostanziali che affronta. Così la buona intenzione di denunciare le condizioni di vita dei precari e di far emergere gli invisibili è depotenziata da uno sguardo incapace di andare a fondo nei problemi affrontati e di indicare possibili vie di uscita.
Il sorpasso di Dino Risi, con Vittorio Gassman, Jean-Louise Trintignant, Catherine Spaak, commedia, Italia 1962, voto: 7; capolavoro nel suo genere, cioè della commedia all’italiana. Il film resta godibilissimo ed è brillante, divertente e lascia molto su cui riflettere allo spettatore, senza contare i due protagonisti maschili, interpreti davvero d’eccezione. D’altra parte il film resta una pellicola di genere e tutto sommato minore, che non può certo essere spacciata, come pretende l’odierno rovescismo, per un capolavoro assoluto.
Saint Omer di Alice Diop, drammatico, Francia 2022, voto: 7; il film ha ricevuto molti riconoscimenti internazionali, Gran premio della giuria e Leone d’oro del futuro al Festival di Venezia, nomination per la miglior regia agli oscar europei e miglior film straniero agli Indipendent Spirit Awards. L’opera prima di Diop merita di essere vista con attenzione, in quanto tocca dei temi significativi e sostanziali, a partire dalla critica a chi pensa astrattamente, di modo che, come mostrato in modo esemplare nel film, nel criminale si vede esclusivamente uno spietato assassino. Peccato che il film sia un po’ troppo lento e a tratti noioso per le sue eccessive concessioni al gusto post moderno per il superfluo. D’altra parte il film è significativo in quanto permette di cogliere, dialetticamente, nel criminale anche la vittima, ma finisce con lo sfiorare il rovescismo storico, facendo proprio programmaticamente, in modo esemplare, fin dalla scena iniziale, il punto di vista di chi ha agito – per quanto in un frangente che deve comunque essere contestualizzato – in modo riprovevole, se non rivoltante, come le collaborazioniste giustamente punite dopo la Liberazione dal nazi-fascismo di fatto compiante all’inizio del film.
The Boys, serie televisiva statunitense ideata da Eric Kripke per conto di Amazon, terza stagione, voto: 7; la serie si conferma di ottimo livello, anche se permangono a fianco dei grandi meriti i notevoli limiti già riscontrati nelle precedenti stagioni. Prosegue e si approfondisce la destrutturazione e critica radicale dei supereroi. Tale efficace, pungente e divertente critica va di pari passo con una critica radicale della politica statunitense, da cui, in modo esemplare, emerge come i servizi di questo paese per finanziare i narcos contras nicaraguensi oltre a vendere armi in segreto all’Iran, hanno distribuito l’eroina nei quartieri abitati dalle minoranze razziali, i quartieri più poveri e ribelli, per anestetizzarli. D’altra parte dal momento che non vi sarebbe nessun modello migliore da contrapporre ai crimini dell’imperialismo statunitense, ben simbolizzato dai supereroi, parrebbe non restare altro che operare, come i protagonisti “positivi” della serie, al servizio della Cia, che costituirebbe, comunque, la sola alternativa ai supereroi o alla Russia.
Negli episodi dal quattro all’ottavo, la serie si mostra efficacissima nel decostruire e criticare nel modo più radicale il superomismo dei supereroi e la falsità e ipocrisia del sogno americano. Riesce a divertire lasciando diversi spunti di riflessione allo spettatore, in particolare sviluppando una efficace critica alla narrazione ideologica della storia degli Stati Uniti e criticando in modo estremamente efficace la destra repubblicana. Resta il consueto problema dell’alternativa, impossibile da ricercare sul piano internazionale, in quanto nella critica degli altri paesi domina incontrastata l’ideologia dominante filoimperialista. Anche sul piano interno non solo non c’è un soggetto sociale subalterno e oppresso pronto a dar battaglia, ma si finisce come al solito a spingere lo spettatore a immedesimarsi nella sporca dozzina che, con metodi molto discutibili, svolgerebbe il presunto “necessario” lavoro sporco. In definitiva l’unica potenziale alternativa compare nei manifesti nelle case dei personaggi afroamericani, certamente i meno negativi delle serie, che richiamano la memoria storica del grande movimento rivoluzionario di emancipazione delle Pantere nere.
Settembre, regia di Giulia Louise Steigerwalt, commedia, Italia 2022, voto: 7-, miglior regia esordiente e nomination a miglior commedia ai Nastri d’argento. Un buon film d’esordio che evita i peggiori difetti del cinema italiano – il rimestare nel torbido e la passione per il grottesco – e del cinema europeo: il postmodernismo programmatico, offrendo una rappresentazione fra il realista e il naturalista dei ceti sociali subalterni. Il film media dei messaggi positivi e affronta anche problemi sostanziali cercando, in qualche modo, di giungere a una catarsi del dramma rappresentato. Tuttavia, restano completamente esclusi i decisivi conflitti sociali e, così, il film non riesce a decollare mai veramente dal suo fondamento minimalista.
Rebibbia quarantine, serie cartoon scritta e diretta da ZeroCalcare disponibile su La 7, voto 7-; commento e riflessioni critiche a caldo sulla quarantena con un efficace satira. ZeroCalcare sviluppa una interessante riflessione critica su alcuni aspetti della quarantena, con un ritmo davvero travolgente. Peccato che lo scarso investimento nel numero dei disegni animati rende la miniserie un po’ troppo ripetitiva.
Camp Confidential: nazisti in America di Mor Loushy e Daniel Sivan, documentario, Usa 2021, distribuito da Netflix, voto 7-; ben girato e interessante documentario su un campo di concentramento-reclutamento per ufficiali tedeschi e scienziati nazisti. Nel primo caso si ricorrono anche ai mezzi più sporchi per estorcerli informazioni, mentre con gli scienziati della Germania hitleriana si fa di tutto per costringerli/convincerli a lavorare per gli Stati Uniti in funzione anticomunista in vista della guerra fredda da scatenare, appena possibile, vista la superiorità militare ed economica. Così di lì a poco, espulsi dal programma nucleare gli scienziati internazionalisti che avevano prodotto la bomba atomica in funzione antinazista, accusati di aver passato il segreto ai sovietici, vengono sostituiti dai “fidatissimi”, per il loro viscerale anticomunismo, scienziati filonazisti. Ben 1600 scienziati nazisti furono assoldati dagli statunitensi nella guerra fredda, senza che nessuno di loro dovesse in nessun modo scontare le colpe di aver precedentemente lavorato a fianco dei nazisti. Ancora più drammatica la vicenda degli ebrei europei, arruolati nell’esercito statunitense in quanto volenterosi di combattere i nazisti e costretti invece a adularli per conquistarli alla causa della guerra fredda.
Macbeth di Joel Coen, drammatico, guerra, storico, Usa 2021, distribuito da Apple TV+, nomination per migliore attore a Denzel Washington, miglior fotografia e scenografia ai premi Oscar, voto: 7-. Buona messa in scena cinematografica di una grande tragedia shakespeariana a opera di un grande regista e con ottimi interpreti. Meritate le nomination agli Oscar, anzi in almeno una o due delle categorie in cui è stato candidato il film avrebbe meritato di vincere.
Cry Macho – Ritorno a casa di Clint Eastwood, drammatico, thriller e western, Usa 2021, voto: 7-. Buon film di Clint Eastwood, piuttosto controcorrente in quanto la forma lascia alquanto a desiderare, mentre il contenuto si rivela significativo. Anche perché se ne fa portatore un regista politicamente reazionario che però, a causa dell’impostazione realista delle sue opere, finisce non di rado con l’esprimere contenuti antitetici a quelli della sua parte politica, razzisti e ultramaschilisti. Per esempio in Cry Macho vi è un completo rovesciamento della propaganda della destra populista, con il cowboy per antonomasia che decostruisce il mito reazionario che è stato costruito intorno a questa figura. Allo stesso modo, vi è una aperta autocritica rispetto al machismo e una decisa presa di posizione contro il razzismo, con il gringo che ritrova la voglia di vivere integrandosi in una comunità e famiglia messicana acquisita.
Dirty, Difficult, Dangerous di Wissam Charaf, Francia, Italia, Libano 2022, premio Label Europa cinema, presentato in una retrospettiva in cui sono stati proiettati film significativi presentati nei grandi festival internazionali del cinema, voto: 7-; storia neorealistica e melodramma alla Douglas Sirk e alla Fassbinder sull’amore clandestino fra una domestica etiope, cui sono stati sottratti i documenti, e un profugo siriano ferito dalle bombe. Significativa la denuncia del razzismo e dello sfruttamento. La catarsi finale, con i due che realizzano il sogno d’amore e fuggono verso Occidente, lascia alquanto a desiderare in quanto non si tratta certo di una massima universalizzabile. Tantomeno l’occidente può esser fatto apparire come un Eden per gli immigrati clandestini.
The Fabelmans di Steven Spielberg, drammatico, biografico, Usa 2022; il film ha ottenuto 5 candidature a Golden Globes, fra cui le più importanti (miglior film, miglior regia), 10 candidature a Critics Choice Award, Il film è stato premiato come film dell’anno a AFI Awards, voto: 7-. Il film di Spielberg assicura, al solito, un certo godimento estetico e lascia qualcosa su cui riflettere allo spettatore, trovando, come di consueto, un compromesso accettabile con l’industria dello spettacolo. Tanto dal punto di vista del contenuto, quanto da quello della forma The Fabelmans è moderatamente progressista. Il racconto è autobiografico, ma rappresenta al contempo un discreto film di formazione. Il limite principale resta quello di non affrontare per niente i grandi conflitti economici, sociali e politici. La lotta di classe e, più in generale, la storia sono cancellati di fatto dal film. Come non appaiono le contraddizioni insuperabili del modo di produzione capitalistico. Nel film è di fatto assente l’aspetto tragico – per quanto riguarda le grandi problematiche della nostra epoca – aspetto che sopravvive solo all’interno dell’ambito immediato della vita etica della famiglia e sfiora appena le questioni della società civile.
Una famiglia vincente – King Richard, sportivo e biografico, Usa 2021, distribuito da Warner Bros Italia, voto: 7-; rispetto ai candidati ai più importanti premi Oscar, Una famiglia vincente è certamente da annoverare fra i meno peggio. A differenza della maggioranza degli altri candidati ha in effetti qualcosa di significativo da comunicare. Si tratta dell’impresa di una famiglia relativamente povera e afroamericana di formare le prime due campionesse di tennis afro discendenti. Emergono così le barriere razziste che rendono così arduo l’emergere degli afroamericani, in particolare in uno sport individualista e per ricchi come il tennis. Anche i valori che il padre e la madre cercano di trasmettere alle figlie sono di un certo rilievo. Peccato che il film tenda un po’ a scadere nell’agiografico non rappresentando in modo realistico e verosimile i personaggi.
Euphoria, seconda stagione, è una serie televisiva statunitense in otto episodi, creata e scritta da Sam Levinson in onda in Italia su Sky Atlantic, voto: 7-; l’episodio pilota è decisamente intenso, coinvolgente e ben orchestrato. Si ricostruisce lo sfondo sociale in cui si sono formati gli spacciatori e l’assoluta assenza di grandi ambizioni fra i giovani occidentali, in particolare israeliani e statunitensi, fra i quali l’unico obiettivo significativo da conseguire sembra essere una storia d’amore e la necessità di non divenire tossicodipendente. Peraltro la serie non assume una posizione doverosamente critica verso l’uso e il commercio degli stupefacenti, anche solo denunciando le devastazioni che producono fra i giovani.
Il secondo e terzo episodio si sviluppano sulla scia del primo. Ottimo ritmo, prodotto sapientemente confezionato, tutta sesso e droga, quasi che i ragazzi non potessero avere altro per la testa. La droga e persino lo spaccio, oltre alla violenza, vengono di fatto sdoganati.
Finalmente nel quarto e quinto episodio emergono gli effetti negativi della tossicodipendenza e sullo sfondo vi è anche l’uso della droga da parte dello Stato imperialista, ossia gli oppioidi spacciati come terapia contro il dolore. Purtroppo questo aspetto e tutti gli aspetti più significativi, politici, sociali ed economici, non vengono minimamente tenuti presente.
Nel sesto e settimo episodio, attraverso la trovata della messa in scena di un dramma sulle vicende della serie, emergono alcuni aspetti significativi dei personaggi e, in particolare, emerge l’omosessualità del personaggio maschilista e fascistoide. Lascia un po’ perplessi la scelta di individuare l’unica persona in grado di apprezzare e valorizzare la profondità del personaggio femminile autrice di questa geniale messa in scena nello spacciatore che, peraltro, sin dalla più tenera età si era formato all’interno della criminalità.
L’ottavo episodio rappresenta davvero una bella sorpresa. Come non accade praticamente mai, l’ultimo episodio della seconda serie si rivela forse il più significativo, ricco di colpi di scena, emozionante e certamente godibile. Inoltre più che a lanciare una ipotetica terza serie si cerca di trovare una soluzione, per quanto possibile catartica, delle diverse tragedie che coinvolgono i personaggi principali.
Il bambino nascosto di Roberto Andò, con Silvio Orlando, drammatico, Italia 2021, voto: 7-. Buon film italiano piuttosto realistico, che denuncia il contesto sociale disperante della Napoli povera e le problematiche create dalla discriminazione degli omosessuali. Ottimo protagonista Silvio Orlando che ottiene un meritato riconoscimento come migliore attore ai Nastri d’Argento. Purtroppo il film non riceve altri riconoscimenti, che avrebbe meritato in confronto a opere del tutto postmoderne premiate. Significativo il processo di riconoscimento di due mondi così distanti, anche se il conflitto sociale non è mai adeguatamente considerato e, tanto meno, rappresentato.
The White Lotus è una miniserie televisiva statunitense creata, sceneggiata e diretta da Mike White, in Italia è distribuita dal canale satellitare Sky Atlantic, Voto: 7-. The White Lotus è la miniserie che ha ottenuto il maggior numero di candidature agli Emmy Awards 2022. Per quanto la serie sia decisamente ben fatta e metta in scena una critica estremamente realistica e salutare del terrificante mondo dei resort di lusso e dei plutocrati che lo popolano, The White Lotus occulta completamente che l’unico reale movente della Storia è il conflitto sociale. Perciò la serie è certamente meno significativa, riuscita, convincente e coinvolgente di Dopesick – Dichiarazione di dipendenza che, non a caso, ha ricevuto un numero di nomination inferiore, in quanto è un’opera decisamente più di rottura nei confronti dell’industria culturale.
Già nel secondo episodio il tono minimal della serie mostra il fiato corto e The White Lotus diviene alquanto noiosa e ripetitiva. L’analisi al vetriolo degli ospiti del resort di lusso finisce con il divenire grottesca e sostanzialmente fine a se stessa, non essendo naturalmente presente nessuna prospettiva di superamento dell’esistente. Nel terzo episodio la serie prende un crinale sempre più pericoloso, portando alle estreme conseguenze la critica sociale dei ricchi consumatori di un resort di lusso, e rischia costantemente di precipitare in quel rimestare nel torbido, caratteristico di troppo cinema italiano, in cui tutte le vacche appaiono nere. Nel quarto e nel quinto episodio la serie riprende quota, approfondendo in modo realistico e decisamente critico alcuni personaggi tipici della classe dominante e delle classi sociali che sono parte del blocco sociale al potere o sono, da quest’ultimo, egemonizzate. Colpisce positivamente l’abile utilizzo da parte degli attori dell’effetto di straniamento, in ciò aiutati da regia e sceneggiatura, che impediscono al pubblico di impersonarsi nei personaggi messi in scena, in tal modo si favorisce una comprensione riflessiva e un’attitudine critica da parte dello spettatore. Particolarmente interessanti sono le osservazioni presenti nel quinto episodio sull’imperialismo. Il difetto principale della serie resta, come generalmente avviene, la sostanziale assenza di un personaggio positivo che possa indicare quantomeno la possibilità di una catarsi, di una prospettiva di superamento dialettico dell’esistente. La carenza di principio speranza e di spirito dell’utopia finisce con il favorire l’affermarsi della tenebra dell’immediato.
L’ultimo episodio, al di là del colpo di scena alquanto prevedibile, si mantiene in linea con il resto della serie. Si conferma l’implacabile critica, sostanzialmente ineccepibile, ai ricchissimi clienti del resort e anche al personale in larga parte servile. Mentre, come prevedibile, la catarsi, per quanto comunque almeno in parte contemplata, risulta decisamente insufficiente e, quindi, insoddisfacente. Certo, considerate le premesse, un dolce fine hollywoodiano sarebbe risultato del tutto fuori luogo, d’altra parte si paga il non aver offerto nessuna sostanziale alternativa al tragico panorama dell’esistente.
Grandi magazzini, di Mario Camerini, con Vittorio De Sica, commedia, Italia 1939, voto: 7-; classica commedia all’italiana, uno dei più significativi film del ventennio fascista. Il film riesce a trovare un significativo equilibrio fra il godimento estetico assicurato da una ben congegnata commedia – con un interprete davvero d’eccezione quale Vittorio De Sica – e il lasciare qualcosa su cui riflettere allo spettatore. Il film tocca anche un aspetto del conflitto sociale, mettendo in luce le contraddizioni fra il manager tanto inflessibile dirigente del personale, quanto corrotto, e due lavoratori proletari. Quello che inevitabilmente manca negli anni neri della dittatura fascista è la possibilità di individuare una soluzione reale alle problematiche del conflitto sociale attraverso una mobilitazione collettiva di massa, possibilmente egemonizzata da una direzione consapevole, in grado di individuare una dialettica avanzata con lo spontaneismo.
Marilyn ha gli occhi neri di Simone Godano, con Stefano Accorsi e Miriam Leone, commedia, Italia 2021, voto: 6,5: commedia umoristica godibilissima incentrata su una problematica sostanziale, ovvero sulla volontà di riscatto di persone che, in quanto afflitte da gravi problemi psicologici, sono ritenute un pericolo per la società. Per quanto gli attori e, in particolare, i protagonisti siano bravi e il film sia al contempo divertente, commovente e lasci qualcosa su cui riflettere allo spettatore, ha il difetto di essere troppo idealista, dando l’impressione che sia possibile, in modo piuttosto semplice, superare le barriere e i pregiudizi inevitabilmente presenti in una società imperialista.
Il saluto – La storia che nessuno ha mai raccontato, di Matt Norman, documentario Usa e Australia 2008, voto: 6,5. Il film narra lo storico gesto di protesta di due grandi atleti statunitensi giunti primo e terzo nei 200 metri ai giochi olimpici di Città del Messico del 1968 – anno della grande rivolta contro il conservatorismo e la reazione – narrata dal punto di vista del secondo classificato, un grande velocista australiano. Per narrare tale vicenda occorre contestualizzare gli eventi, dalle lotte antirazziste degli afroamericani, al movimento del sessantotto, alla spaventosa repressione del governo messicano della rivolta giovanile. Significativo come il clima di lotta e protesta abbia scosso persino il mondo del tutto disimpegnato dei grandi atleti. Interessante la durissima repressione subita dai due atleti statunitensi e dal velocista australiano, completamente tagliati fuori dal mondo dello sport professionista per il coraggio dimostrato in occasione della premiazione. La repressione ha effetti ancora più pesanti nel caso dell’atleta australiano proveniente da un mondo ancora più gretto e razzista degli stessi Stati uniti. Peccato che il materiale per il film, valido per un corto o al massimo per un medio metraggio, sia davvero insufficiente per un lungometraggio e peccato che naturalmente il film, prodotto di nicchia dell’industria culturale, tagli fuori completamente gli aspetti più significativi del gesto di protesta reso immortale da una celeberrima foto. Da un lato scompare completamente il richiamo al grande Movimento (rivoluzionario) delle Pantere nere, dall’altro è censurato il significativo dibattito, che aveva portato gli atleti afroamericani più avanzati a boicottare la partecipazione ai giochi, in quanto sarebbero stati presentati come rappresentanti di una nazione in realtà imperialista, razzista e segregazionista. I meno politicizzati, come gli atleti dei 200 metri parteciparono e scelsero il momento di attenzione mediatica durante la premiazione per testimoniare la loro solidarietà con il movimento di emancipazione afroamericano, in grado di egemonizzare un giovane atleta australiano, nato in un ghetto afroamericano con i genitori nell’Esercito della salvezza. Paradossale è che gli autori del film cerchino di utilizzare proprio quest’ultimo particolare per spiegare la coraggiosa presa di posizione del velocista australiano. Al contrario, significativo è come in anni di grande avanzamento del movimento rivoluzionario, anche un subalterno che ha fatto carriera nello sport, del tutto spoliticizzato, si schieri – pur venendo da un paese spaventosamente razzista – dalla parte degli afro discendenti che si battevano per la propria emancipazione.
Raya e l’ultimo drago di Don Hall e Carlos López Estrada, animazione, avventura, commedia, Usa 2021, distribuito su Disney+, nomination agli Oscar come miglior film di animazione, voto: 6,5. Certamente il meno peggio tra i film di animazione, non particolarmente brillanti, candidati ai premi Oscar. Decisamente migliore del premiato Encanto, sicuramente il peggiore, sebbene siano entrambi prodotti e distribuiti dalla Disney. Nonostante ciò Raya e l’ultimo drago non solo è molto ben confezionato dal punto di vista formale, ma si fa portatore inaspettatamente di un contenuto significativo, in particolare ai nostri giorni sempre più infestati dalla devastante logica mortifera della guerra. Emerge, infatti, il grande ideale di una umanità finalmente pacificata e pronta a collaborare in modo solidale, quale unica reale alternativa non solo a guerre fratricide, ma alla stessa devastazione dell’ambiente indispensabile alla sopravvivenza della vita umana. Molto significativo l’accento posto sulla necessità di superare i preconcetti per ristabilire rapporti di cooperazione fra paesi storicamente in conflitto. Da questo punto di vista si sottolinea giustamente l’indispensabile necessità di ristabilire rapporti di fiducia reciproca, contro ogni guerra infinita o di civiltà e ogni forma di disumanizzazione degli avversari.