Recensioni di classe 1

Breve panoramica, in una prospettiva marxista, dei film recentemente usciti in Italia o disponibili sul web.


Recensioni di classe 1 Credits: https://www.ciakclub.it/2020/09/12/the-elephant-man-torna-sale-restaurato/

Bad Education di Cory Finley, Usa 2019, voto: 8; notevole film di denuncia di un clamoroso caso di corruzione nella gestione dell’istruzione, completamente dominata dall’interesse privato negli Stati Uniti. La mercificazione dell’istruzione non può che scatenare gli interessi dei privati, che si dimostrano pronti a utilizzare, in ogni modo, ai propri fini le risorse che dovrebbero essere dedicate all’istruzione. Il sistema di corruzione è tanto più generalizzato quanto più si passa ai vertici della struttura che, peraltro, puntano a sfruttare le scuole per operazioni finanziarie sulla rendita terriera. Peraltro questo spaventoso sistema di corruzione viene scoperto esclusivamente grazie all’impegno di una studentessa, figlia di un proletario, che contro tutto e tutti riesce a far emergere gli scheletri negli armadi di una amministrazione che sembrava avere ottimi risultati nelle classifiche stilate annualmente nel paese allo scopo di fomentare la concorrenza. A ulteriore dimostrazione che esclusivamente la lotta paga e che in taluni casi il solo impegno di un subalterno è in grado di far emergere la vera dittatura esercitata a tutti i livelli della società sulle classi dominate. Se da tipico film americano abbiamo un apparente lieto fine, con la polizia che interviene prontamente ad arrestare e a far confessare gli immediati responsabili, nella realtà la punizione del sovrintendente, vero e proprio general manager del distretto scolastico, è più apparente che reale. In quanto una limitata pena detentiva viene compensata da una pensione d’oro garantita da un presunto errore contabile al malvivente. Peraltro i reali mandanti del consiglio di amministrazione, intenti a speculazioni finanziarie sulle rendite dei terreni, vengono soltanto sfiorati dall’inchiesta e, pur perdendo la reputazione, non sono chiamati in causa dalla “giustizia” borghese. Infine, grandezza e limite del film dipendono dal suo esser tratto da una storia vera. Aspetto significativo in quanto mette bene in evidenza tutti i rischi del modello di istruzione liberale anglosassone che l’ideologia dominante vorrebbe esportare ovunque. Dall’altra parte il legame con una storia vera rischia di circoscrivere il fenomeno, anche se si sottolinea che è esclusivamente il più grave emerso, e non si mette realmente in discussione questa reale sottomissione dei beni pubblici agli interessi egoisti dei privati. Il film è stato, una volta tanto, meritoriamente premiato agli Emmy awards, gli Oscar per la televisione, come miglior film televisivo. Ciò nonostante, come avviene spesso per i film che coraggiosamente contrastano il pensiero unico dominante e la restaurazione liberista, Bad Education non ha trovato un distributore in Italia ed è stato completamente ignorato dalla critica. Fortunatamente è disponibile sul web.

The Elephant Man di David Lynch, drammatico, Gran Bretagna 1980, voto: 7+; il film di Lynch resta un grande classico del cinema destinato presumibilmente a rimanere immortale. Girato e realizzato in modo mirabile, assicura un notevole godimento estetico e dà molto da riflettere allo spettatore, su un tema sostanziale come la problematica integrazione dei diversamente abili. Il limite del film è che, richiamandosi ai resoconti della vicenda narrata di età vittoriana in modo non straniato, dà una visione della realtà molto unilaterale e sostanzialmente reazionaria. Abbiamo, in effetti, le classi più elevate dell’età vittoriana che si prodigano per accogliere l’assolutamente diverso protagonista del film e le classi popolari che tendono a brutalizzarlo. Certo Lynch fa dei brevi accenni alla condizione bestiale vissuta dalla classe operaia del tempo, brutalizzata dallo sfruttamento. Ma in ciò vede una terribile necessità, non immagina la possibilità per le classi subalterne di poter uscire dallo stato di abbrutimento in cui sono ridotte nelle società capitaliste e dall’altra parte sembra incapace di cogliere in modo critico le spaventose contraddizioni delle classi dominanti della società vittoriana.

Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, drammatico, Italia 2020; voto 7-; un’eccezionale possibilità di trattare questioni essenziali e di grandissima attualità, come la lotta per l’emancipazione della donna in una prospettiva socialista, quasi completamente sprecata. Pur avendo il coraggio di affrontare un tema di grande spessore, in completa controtendenza rispetto, in particolare, all’attuale miseria del cinema italiano, la regista sembra interessata esclusivamente a rappresentare la storia dal punto di vista meno significativo, quello del cameriere. Per cui non è la grandezza pubblica del personaggio che interessa, il ruolo di primo piano che svolge nella lotta per l’emancipazione dell’umanità, ma piuttosto i sui drammi privati, che non hanno essenzialmente alcun significato sul piano universale. Ridurre una grandissima donna alle sue debolezze private, al subire all’interno della coppia un rapporto ineguale servo-padrone, che al contrario combatte in prima linea nella vita pubblica, significa fare un’ulteriore torto alla donna.

Donne ai primi passi di Maïmouna Doucouré, Drammatico, Francia 2019, voto: 7-; buon film realista sulla tragica condizione vissuta dai figli degli emigrati nei paesi a capitalismo avanzato, che si trovano da una parte a cercare d’integrarsi in una società dove è tutto ridotto a merce, dall’altra a dover fare i conti con le proprie origini culturali, radicate in società arcaiche, moraliste e ultrapatriarcali, ancora dominate da una visione del mondo mitologico-religiosa. I due mondi sono assolutamente contrapposti, rappresentano due estremi egualmente inaccettabili e i giovani figli degli emigrati si trovano a dover fare delle scelte impossibili e laceranti. Seguire una strada significa accettare la logica della mercificazione e rompere con la propria famiglia e la propria cultura tradizionale. Al contrario rimanere legati all’identità originaria comporta l’impossibilità di integrarsi in una società che, pur con tutte le sue contraddizioni, è più moderna e avanzata. Da qui la situazione tragica realisticamente delineata dal film. Il limite è che, al solito, manca una reale catarsi, che indichi la prospettiva di un reale superamento della tragedia. In quanto si è del tutto perso lo spirito di utopia e il principio speranza, finendo con l’essere sopraffatti dalle tenebre del quotidiano.

The New Mutants di Josh Boone, azione, fantastico e horror, Usa 2020, voto: 7-; presumibilmente il migliore film dedicato ai supereroi. Anche perché, in questo caso, i potenziali supereroi – che peraltro devono generalmente i loro poteri speciali a dei terribili traumi subiti da bambini – sono rinchiusi in un ospedale-lager in cui subiscono ogni sorta di sperimentazione. La società che si assume il costo di questa ospedalizzazione-detenzione deve stabilire in che modo i potenziali superpoteri dell’adolescente saranno sfruttabili per ottenere un profitto. Così agli adolescenti viene fatto credere che saranno aiutati a gestire consapevolmente i loro poteri speciali per divenire dei supereroi, mentre al contrario si cerca di capire come sfruttare certe attitudini asociali per la formazione di un killer, il cui sfruttamento renderà un profitto maggiore dell’investimento. Mentre dinanzi a quei poteri che il sistema non è in grado di controllare e, quindi, di rendere strumento di profitto, occorre eliminare quanto prima l’adolescente che ne è l’ignaro portatore. Peraltro, anche i supernemici che dovranno affrontare i nostri supereroi in formazione, sono mostri prodotti dal loro stesso inconscio, quando non si tratta di mostri strutturali al sistema, che debbono contrastare interiormente facendo prevalere l’eros sul thanatos, sulla paura che mangia l’anima.

Se c'è un aldilà sono fottuto – Vita e cinema di Claudio Caligari di Simone Isola e Fausto Trombetta, voto: 6+; un documentario indubbiamente ottimamente confezionato, peccato che l’oggetto scelto abbia un interesse decisamente relativo. Si tratta certo di un film fatto da cinefili per cinefili e, tuttavia, riesce a superare questi suoi limiti, per l’interesse mostrato dal protagonista e dal a lui fedele documentario per il mondo dei subalterni, un mondo che generalmente viene fatto passare completamente sotto silenzio. Peccato che lo sguardo resti naturalistico e non si individui nessuna reale via di uscita in una prospettiva di superamento almeno potenzialmente rivoluzionario dell’esistente. Una menzione speciale va certamente a Valerio Mastandrea, che costituisce il cuore pulsante di questo significativo documentario.

Chiamate un dottore! di Tristan Séguéla, commedia, Francia 2019, voto: 6+; divertente commedia francese, mai volgare o postmoderna, in grado di sfiorare, a suo modo, anche delle questioni di una certa sostanza. In gamba anche gli attori, anche se da un punto di vista prettamente cinematografico il film non ha molto da dire. 

Mulan di Niki Caro (Nuova Zelanda), avventura, Usa 2020, voto: 4-; merce culinaria targata Disney certamente ben confezionata, ma che lascia davvero quasi nulla su cui riflettere allo spettatore. L’unico aspetto significativo è la lotta per il riconoscimento del ruolo della donna in una società profondamente patriarcale. D’altra parte, paradossalmente, tale riconoscimento viene, infine, accordato esclusivamente a chi si piega completamente ai valori reazionari di tale arcaica civiltà, mentre chi li mette in discussione è considerato un barbaro, in quanto tale condannato a morte.

After 2 di Roger Kumble, drammatico, Usa 2020, voto: 4-; merce meramente culinaria dell’industria culturale, melensa e difficilmente tollerabile anche per il pubblico di teenager debitamente anestetizzati cui esclusivamente si rivolge.

The Vigil di Keith Thomas, horror, Usa 2019, voto: 1,5; ennesimo insostenibile film horror, al solito privo di qualsiasi spessore, volto unicamente a contribuire alla distruzione della ragione. Nel caso specifico si ricorre alle credenze superstiziose delle più arcaiche visioni mitologico-religiose del mondo, in cui gli uomini sarebbero terrorizzati da demoni con la faccia all’indietro. Per liberarsi da essi l’unico modo sarebbe quello di bruciare tale testa la prima volta che si manifestano, altrimenti li si subirebbe per tutta la vita.

Sull’Infinitezza di Roy Andersson, Svezia 2019, voto 1,5; il festival di Venezia non si smentisce mai nel premiare il peggiore. Come nel caso di questo intollerabile film premiato nel modo più assurdo per la migliore regia. Il film, se di film si può parlare, è una sfacciata autorappresentazione del postmoderno, quale ideologia dominante, in ambito continentale.

Checkpoint Berlin di Fabrizio Ferraro, Docu-fiction, Italia 2020, voto: 1+; naturalmente solo “Il manifesto” poteva lanciare, con una surreale intervista al regista e solo “Fuori orario” poteva mandare in anteprima assoluta un film tanto intollerabile. Di un anticomunismo becero da guerra fredda, ormai fuori tempo massimo, il film si distingue per la sua assoluta genuflessione all’ideologia postmoderna decisamente dominante fra i continentali.

Alps di Yorgos Lanthimos, drammatico, Grecia 2011, voto: 1; non soddisfatti dei più recenti insopportabili film di questo terrificante regista greco, si sono andati a ripescare i suoi penosi esordi. Si tratta di film che possono essere visti esclusivamente dai più irrazionalisti e postmoderni cinefili.

 

21/11/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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