Giuliano Marrucci, giovane giornalista pisano, fa parte del gruppo di autori del noto programma televisivo Report. Suo è un pregevole filmato di circa un anno fa che documenta le imponenti infrastrutture che la Cina ha realizzato e sta realizzando in varie parti del mondo e in particolare nei paesi in via di sviluppo. Nell'introduzione del suo recente libro, Cemento rosso [1], riferisce che ha sempre provato grande interesse per i processi di emancipazione dalla miseria dei due “colossi demografici”, Cina e India. Dopo varie visite all'India non molto proficue, lo ha invogliato a conoscere meglio cosa sta succedendo in Cina, la risposta di quel paese alla crisi economica mondiale del 2007, completamente diversa da quella dei paesi occidentali. Visto che i suoi capi non lo assecondavano, ha deciso di muoversi a sue spese e in modo furtivo verso questa meta.
Per tre anni ha viaggiato e studiato una Cina che gli è apparsa molto lontana dagli stereotipi occidentali e ci ha voluto raccontare questa sua esperienza in un libro snello, che si legge tutto d'un fiato, ma ciò nonostante ricchissimo di preziose informazioni.
Il leitmotiv è il gigantesco processo di urbanizzazione che ha modificato radicalmente, in meno di una quarantina di anni, l'insediamento umano. Nel 1978 infatti solo il 20 per cento della popolazione, circa 170 milioni di persone, viveva in città, nel 2016 questa quota è salita al 56 per cento, corrispondente a circa 770 milioni di anime. Ospitare 600 milioni di nuovi cittadini ha richiesto uno sforzo edilizio incredibile. Insieme alle abitazioni, ovviamente, si sono sviluppati le infrastrutture, i servizi di ogni tipo, le attività produttive, le soluzioni tecnologiche. Insomma in pochi anni è cambiata la faccia della Cina.
Marrucci ci racconta tutto questo in maniera onesta, dando conto sia degli innegabili successi e dei veri e propri record stabiliti in molti campi, sia dei fallimenti e delle contraddizioni che innegabilmente hanno accompagnato questo mastodontico processo.Dalla questione ambientale, all'accentuarsi delle disparità, compreso l'aumento del divario fra la ricchezza delle città e quella delle campagne. Dalla corruzione, alle restrizioni delle migrazioni fra campagna e città e in generale dai luoghi di residenza, restrizioni che passano attraverso il documento attestante la residenza, o Hukou, che stabilisce anche il solo luogo in cui il cittadino ha diritto a usufruire dei servizi.
Per rendersi conto dell'imponenza di questi cambiamenti, sono sufficienti pochi dati: le città cinesi con oltre un milione di abitanti sono oggi 111 e il 40 per cento del patrimonio edilizio è stato costruito dopo il 2000. Ma i primati della Cina abbracciano anche il settore navale, autostradale, quello dei trasporti ferroviari ad alta velocità o di quelli metropolitani, le soluzioni ingegneristiche innovative per ridurre i tempi di costruzione. Ma anche nel trasporto leggero, come il bike sharing, sono state attuate soluzioni innovative, quali una app collegata a un sistema di geolocalizzazione che consente di poter usare una bicicletta in qualunque luogo ci si trovi e di lasciarla in qualunque luogo si giunga, senza la necessità di recarsi nelle apposite stazioni. Molto sviluppato è anche il sistema di prevenzione, soccorso e ricostruzione in caso di grandi eventi catastrofici. Non vogliamo qui appesantire la lettura di questa sommaria presentazione con troppi numeri e neppure con troppi esempi, ma il saggio, oltre a descrivere i mutanti panorami che si presentano al visitatore, è ricco di dati strabilianti, riferiti ad ambiti molteplici, di cui solo la diretta lettura può dare cognizione.
Naturalmente un così rapido sviluppo ha fatto le sue vittime. Una di esse è le cosiddette “città usa e getta” in cui la fretta ha fatto, come suol dirsi, i gattini ciechi. In altre parole, la decadenza delle concessioni qualora non si completano gli edifici in un tempo molto breve, stabilita per prevenire la speculazione, spesso ha indotto a realizzare manufatti di scarso pregio e funzionalità, magari con l'intenzione di demolirli successivamente per metterne in cantiere di nuovi. In questo modo la durata media di un edificio è circa un terzo di quella registrabile negli Usa e un quinto di quella registrabile in Gran Bretagna. In generale stime più o meno attendibili mostrerebbero un eccesso di cementificazione in Cina. Un altro aspetto è l'incredibile lievitazione dei prezzi degli immobili, che con sé porta vantaggi cospicui ai fortunati possessori.
Fallace invece è l'impressione delle “città fantasma”, cioè di quartieri rapidamente edificati per rimanere vuoti: un “gigantesco reticolo di strade immacolate puntellate da imponenti complessi residenziali e da edifici pubblici dalle forme eccentriche…. Agli occhi del pubblico occidentale è la dimostrazione che dietro ai numeri da capogiro…. si nasconde un modello di sviluppo che sta a metà strada tra la follia e la truffa… Uno dei cavalli di battaglia preferiti dai grandi media internazionali” (p.113). In realtà, di solito, gli edifici vuoti sono già in gran parte venduti a numerosissimi contadini-imprenditori che vedono nel sostegno pubblico di questi progetti una garanzia per la sicurezza degli investimenti. Difatti non molto tempo dopo seguono interventi per localizzare in queste nuove realtà servizi pubblici, residenze di lavoratori ecc. che fanno da apripista per il completo utilizzo delle strutture da parte di altre attività private, come è avvenuto, per esempio, in un distretto minerario della Mongolia interna, dove dal nulla è stata costruita una città di 300mila abitanti che gradualmente si è riempita.
L'ultimo piano quinquennale della Cina mette per la prima volta al centro gli obbiettivi della salvaguardia ambientale, della riduzione delle disparità e in generale di uno sviluppo più armonico. Sulla questione ambientale, oltre al graduale miglioramento dei luoghi di lavoro e delle emissioni industriali, sono stati effettuati ingenti investimenti per recuperare siti degradati. Per esempio nella Provincia del Guandong, il fiume Futian che era una discarica a cielo aperto, è stato completamente risanato nel giro di 5 anni e il Central Park da esso attraversato è diventata un'oasi ambientale di grande pregio. Altri progetti riguardano, nella stessa regione, il delta del Perle, importante fiume che si getta nel mar cinese meridionale, anche al fine di renderlo adatto alla navigazione e dare così sbocco alle attività nautiche. Altri progetti ancora riguardano l'aria. Tuttavia, secondo un rapporto di Greenpeace, gli obiettivi sulla qualità delle acque fissati a livello centrale per gli anni 2011-15 sono stati realizzati da poco più della metà delle province.
Non poteva mancare il riferimento alla “via della seta”, cioè ai numerosi progetti infrastrutturali necessari a favorire gli scambi commerciali via terra (oltre 1000 miliardi in 10 anni) e via acqua con la Russia, l'Europa e il sud-est asiatico, aventi la potenzialità di spostare l'asse del commercio globale dal Pacifico al continente euroasiatico.
In questa sede non possiamo riferire molto di più, anche se molto di più viene trattato nel libro, come per esempio gli investimenti nelle tecnologie, nella formazione, nell'energia sostenibile, nella cultura e nel turismo. E anche in questi casi con ottimi risultati e anche alcuni fallimenti. Ci preme invece arrivare alle conclusioni finali, che – leggendo il libro – mi incuriosivano sempre di più. Cosa mai avrà potuto concludere l'autore dopo aver riportato diligentemente croci e delizie della tumultuosa crescita cinese? Se le diseguaglianze, lo sfruttamento dell'ambiente, l'apertura ai capitali sono stati il prezzo pagato per far uscire dalla massima povertà molte centinaia di milioni di Cinesi, quali prospettive si aprono oggi? Credo che questo sia uno dei ricorrenti interrogativi non solo di molti osservatori, ma anche dei militanti comunisti, perché è evidente che le sorti di quell'esperimento, che coinvolge quasi un miliardo e mezzo di persone, incideranno notevolmente anche sulle sorti del resto del mondo.
Marrucci per prima cosa rigetta la “favoletta manichea” che nega la possibilità di un'affermazione cinese come leader dell'innovazione a causa della resistenza dell'establishment verso i processi di crescita autonomi e di un ambiente urbano costruito per ostacolare la libera circolazione delle idee, a differenza di quanto avverrebbe nelle “società libere” (leggi occidentali) “che incoraggiano le persone a porsi domande scomode” (parole del chimico Stephen Sass). Se l'autore evita, ritengo per educazione, di ridere a crepapelle e si limita a elevare sommessamente un dubbio sull'attitudine degli spazi urbani occidentali a “incoraggiare il pensiero critico”, osserva saggiamente che ciò che ha reso gli Usa leader mondiali della tecnologia sia stata non la libertà conclamata, ma più “prosaicamente” i soldi investiti, in particolar modo nel comparto militare. Soldi che al momento, verrebbe da aggiungere, alla Cina non mancano.
Tuttavia il finale del libro è aperto, limitandosi ad affermare che la Cina cercherà di dare una risposta “con caratteristiche cinesi” - che plasmerà anche il modo con cui saranno costruiti gli spazi urbani - al dibattito sui requisiti di un leader dell'innovazione e che dall'efficacia di questa risposta dipenderà il suo ruolo internazionale. L'autore si attende pertanto che “una bella fetta del destino del mondo dipenda direttamente da come sono e come saranno costruite le città cinesi del futuro”.
Note:
[1] G. Marrucci, Cemento rosso. Il secolo cinese mattone dopo mattone, ed. Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2017, pp 180, € 16,00.