Attualità e realismo della disamina leniniana dell’imperialismo

Il fatto che la terra sia già spartita costringe, quando è in corso una nuova spartizione, ad allungare le mani sui paesi di qualsiasi genere, e, in secondo luogo, per l’imperialismo è caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per l’egemonia, cioè per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto a indebolire l’avversario e a minare la sua egemonia.


Attualità e realismo della disamina leniniana dell’imperialismo Credits: https://www.deutschlandfunkkultur.de/vor-100-jahren-ein-attentat-auf-lenin-schlaegt-fehl-100.html

 

Fra i paradossi – sempre più evidente ai nostri giorni – dell’imperialismo quale fase più avanzata del capitalismo vi è il fatto che i prezzi di monopolio rendono una determinata merce più cara nel luogo in cui la si produce e meno cara all’estero, per poter vincere la concorrenza. “All’interno il cartello vende le sue merci agli alti prezzi di monopolio, all’estero li dà a prezzi irrisori al fine di schiantare gli altri concorrenti, di accrescere al massimo la propria produzione” [1]. Si assiste così al processo contraddittorio per cui mentre il capitalismo si sviluppa rapidamente nei paesi in cui si è da poco affermato, tende a imputridirsi sempre più nei paesi a capitalismo avanzato. Come già osservava Lenin, in effetti, “in complesso il capitalismo cresce assai più rapidamente di prima, senonché tale incremento non solo diviene in generale più sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell’imputridimento dei paesi capitalisticamente più forti” (175). Tale osservazione è importante in quanto permette di superare le critiche più comuni e scontate che sono state rivolte all’analisi leniniana, rimproverandole che la crescita a livello globale del capitalismo smentirebbe lo stato putrescente denunciato da Lenin. In effetti, ancora oggi, mentre il capitalismo è in sempre più evidentemente in crisi negli Stati Uniti in Giappone e nell’Unione europea, in particolare in Germania, conosce ancora una crescita a livello internazionale grazie a paesi come la Cina e il Vietnam.

Inoltre Lenin quasi a prevenire le letture dogmatiche ed economiciste della sua concezione dell’imperialismo quale fase superiore del capitalismo, spesso ridotta alla celeberrima definizione in cinque punti, sottolinea che “dell’imperialismo possa e debba darsi una diversa definizione quando non si considerino soltanto i concetti fondamentali puramente economici (ai quali si limita la riferita definizione), ma si tenga conto anche della posizione storica che questo stadio del capitalismo occupa rispetto al capitalismo in generale, oppure del rapporto che corre tra l’imperialismo e le due tendenze fondamentali del movimento operaio” (132). Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante per Lenin per criticare la tendenza riformista nel movimento dei lavoratori di cui è emblematica la definizione di imperialismo data da Kausky, che non a caso gode ancora oggi di grande successo anche a sinistra. “L’essenziale è che Kautsky separa la politica dell’imperialismo dalla sua economia interpretando le annessioni come la politica «preferita» del capitale finanziario, e contrapponendo ad essa un’altra politica borghese, senza annessioni, che sarebbe, secondo lui, possibile sulla stessa base del capitalismo finanziario” (136). Ad essere, dunque, utopista non è come si vorrebbe far credere la concezione leninista, ma la concezione revisionista secondo cui un paese a capitalismo avanzato, senza mettere in discussione tale modo di produzione, potrebbe portare avanti una politica non imperialista.

Inoltre, a smentire la tendenza negativa a interpretare in senso economicista l’imperialismo e la sua stessa concezione, Lenin chiarisce che: “la lotta degli imperialisti mondiali diventa più aspra. Le imprese coloniali e transoceaniche particolarmente redditizie pagano sempre maggiori tributi al capitale finanziario. Nella ripartizione del «bottino» la parte di gran lunga maggiore spetta a paesi che non sempre hanno i primi posti per la rapidità di sviluppo delle forze produttive” (142). Quindi, anche paesi non a capitalismo maturo possono sviluppare non solo politiche imperialiste, ma avere persino un ruolo preminente nella loro implementazione.

Così, di contro alle tendenze utopistiche che si illudano che sia possibile realizzare la pace senza mettere in discussione il modo di produzione capitalista, quando giunge alla sua forma avanzata di sviluppo, Lenin mostra la necessità delle guerre imperialiste che sempre più martoriano il genere umano. Così, si domanda, retoricamente, Lenin: “quale altro mezzo esisteva, in regime capitalista, per eliminare la sproporzione tra lo sviluppo delle forze produttive e l’accumulazione di capitale da un lato, e dall’altro la ripartizione delle colonie e «sfere d’influenza», all’infuori della guerra?” (143).

Inoltre Lenin, a ulteriore dimostrazione della incredibile attualità della sua analisi, delinea già i lineamenti fondamentali di quello che sarà definito il neocolonialismo: “il capitale finanziario è una potenza così ragguardevole, anzi si può dire così decisiva, in tutte le relazioni economiche ed internazionali, da essere in grado di assoggettarsi anche paesi in possesso della piena indipendenza politica, come di fatto li assoggetta” (123). Pensiamo all’attuale paradosso del conflitto in Ucraina, paese nel quale molti credono di star combattendo a difesa della piena indipendenza nazionale, mentre sempre più sono soggiogati proprio dall’imperialismo occidentale che, nel modo più ipocrita, sostiene la necessità di una guerra sempre più totale contro la Russia, per difendere il principio dei popoli all’autodeterminazione nazionale. Così Lenin mette in evidenza che l’età dell’imperialismo, tutt’ora in corso, “è caratterizzata non solo dai due gruppi fondamentali di paesi, cioè dai paesi possessori di colonie e delle colonie stesse, ma anche dalle più svariate forme di paesi asserviti che formalmente sono indipendenti dal punto di vista politico, ma che in realtà sono avviluppati da una rete di dipendenza finanziaria e diplomatica” (127). Lenin naturalmente è consapevole che rapporti di signoraggio degli Stati più grandi sui più deboli sono sempre esistiti, la differenza specifica è che nella nostra età dell’imperialismo divengono sistematici: “simili rapporti tra i singoli grandi e piccoli stati esistettero sempre, ma nell’epoca dell’imperialismo capitalistico essi diventano sistema generale, sono un elemento essenziale della politica della «ripartizione del mondo», e si trasformano in anelli della catena di operazioni del capitale finanziario mondiale” (128).

L’analisi di Lenin ci permette anche di mettere meglio a fuoco la politica di aggressione indiretta portata avanti dall’imperialismo occidentale nei riguardi di paesi come la Russia e la Cina. “Il fatto che la terra è già spartita costringe, quando è in corso una nuova spartizione, ad allungare le mani sui paesi di qualsiasi genere, e, in secondo luogo, per l’imperialismo è caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per l’egemonia, cioè per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto a indebolire l’avversario e a minare la sua egemonia” (134).

Lenin inoltre precorre la compiuta finanziarizzazione dell’economia, realizzatasi solo oggi: “nello stesso modo che i trust capitalizzano la loro proprietà valutandola due o tre volte al di sopra del vero, giacché fanno assegnamento sui profitti «possibili» (ma non reali) del futuro e sugli ulteriori risultati del monopolio, così il capitale finanziario, in generale, si sforza di arraffare quanto più territorio è possibile, comunque e dovunque, in cerca soltanto di possibili sorgenti di materie prime, con la paura di rimanere indietro nella lotta furiosa per l’ultimo lembo della sfera terrestre non ancora diviso, per una nuova spartizione dei territori già divisi” (125).

Le tendenze del radicalismo piccolo borghese denunciate da Lenin, restano anch’esse, purtroppo, ancora attuali. “Finché questa politica non osò riconoscere il legame indissolubile dell’imperialismo con i trust e per conseguenza anche con le basi del capitalismo, non osò unirsi alle forze generate dal grande capitalismo e dal suo sviluppo, essa rimase allo stato di «pio desiderio»” (159), stato in cui, anche oggi, rimangono molti esponenti della stessa sinistra “radicale”. Le critiche di Lenin restano altrettanto attuali rispetto alle odierne forze sovraniste o populiste di sinistra: “una «lotta» contro la politica dei trust e delle banche che non colpisca le basi economiche dei trust e delle banche si riduce ad un pacifismo e riformismo borghese condito di quieti quanto pii desideri” (137).

La stessa politica di deindustrializzazione oggi così evidente nei paesi a capitalismo avanzato e che renderebbero ormai vintage il marxismo è, al contrario, ampiamente stata prevista proprio da Lenin: “l’esportazione di capitale, uno degli essenziali fondamenti economici dell’imperialismo, intensifica questo completo distacco del ceto dei rentiers dalla produzione e dà un’impronta di parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro di pochi paesi e colonie d’oltre oceano” (145). Finanche l’attualissimo meccanismo diabolico del debito era stato ampiamente previsto e spiegato da Lenin: Il mondo si divide in un piccolo gruppo di Stati usurai e in una immensa massa di Stati debitori” (146).

Le profonde trasformazioni ancora oggi in atto nei paesi a capitalismo avanzato sempre più divenuti parassitari dei paesi in via di sviluppo erano anch’esse ampiamente previste da Lenin: “Lo Stato rentier è lo Stato del capitalismo parassitario in putrefazione. Questo fatto necessariamente influisce, in generale su tutti i rapporti politici-sociali dei relativi paesi, e sulle due correnti principali del movimento operaio, in particolare” (147).

Arriviamo così al più grave problema che ha impedito e continua a impedire la Rivoluzione in occidente, cioè la questione dell’aristocrazia operaia. Come notava già allora Lenin: “per rendere economicamente possibile tale opera di corruzione – in qualsiasi forma attuata – sono necessari alti profitti monopolistici” (148). Ancora più stupefacente è come già Hobson, citato da Lenin, era in grado di prevedere quelle dinamiche dell’imperialismo europeo che ancora oggi tanti marxisti e comunisti non sembrano in grado di comprendere. “Ecco quale possibilità sarebbe offerta da una più vasta lega delle potenze occidentali, da una federazione europea delle grandi potenze. Essa non solo non spingerebbe innanzi l’opera della civiltà mondiale, ma potrebbe presentare il gravissimo pericolo di un parassitismo occidentale, quello di permettere l’esistenza di un gruppo di nazioni industriali più progredite, le cui classi elevate riceverebbero, dall’Asia e dall’Africa, enormi tributi e, mediante questi, si procurerebbero grandi masse di impiegati e di servitori addomesticati” (149 citato da Hobson).

Dunque al contrario di tutti gli ancora attuali sostenitori da sinistra di una Europa sempre più connessa nella prospettiva di uno stato federale unitario, Lenin fa notare come nella denuncia di Hobson “è poto nel suo vero valore il significato degli «Stati Uniti d’Europa» nella odierna congiuntura imperialista” (150).

Tornando a come l’aristocrazia operaia resa possibile dai sovraprofitti imperialisti sia uno dei principali fattori che spiega l’affermarsi di tendenze revisioniste e riformiste nello stesso movimento dei lavoratori, osserva Lenin: “L’imperialismo che significa la spartizione di tutto il mondo e lo sfruttamento non soltanto della Cina, che significa alti profitti monopolistici a beneficio di un piccolo gruppo di paesi più ricchi, crea la possibilità economica di corrompere gli strati superiori del proletariato, e, in tal guisa, di alimentare, foggiare e rafforzare l’opportunismo” (150).

Le politiche anche economiche imperialiste sono alla base del generalmente frainteso motivo per cui tanti abitanti di paesi povero cerchino di emigrare nei paesi a capitalismo avanzato. Come fa notare Lenin: “una delle particolarità dell’imperialismo, collegata all’accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell’emigrazione dai paesi imperialisti e l’aumento dell’immigrazione in essi di individui provenienti da paesi più arretrati, con salari inferiori” (152).

 

Note:

[1] Lenin, Vladimir, Ilic, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Laboratorio politico, Napoli 1994, p. 162. D’ora in poi indicheremo direttamente nel testo, per i brani citati da quest’opera, il numero di pagina di questa edizione fra parentesi tonde.

04/08/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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