Le recenti elezioni dimostrano come le masse popolari abbiano sempre meno fiducia nel regime di governo liberal-democratico, la più tipica forma di dominio borghese. Per una volta il numero degli elettori non è nuovamente arretrato fra i ceti popolari, spinti alle urne essenzialmente per votare sì al referendum, sulla misura populista del Movimento 5 stelle volto a ridurre il numero di parlamentari e senatori. Più o meno come nel precedente referendum sulle modifiche costituzionali promosse da Renzi, ancora una volta i subalterni hanno votato in modo compatto, nel caso specifico per sfiduciare il regime liberal-democratico, che rappresenta la migliore copertura della dittatura della borghesia.
Per quanto anestetizzate dall’ideologia dominante, le masse popolari dimostrano di aver preservato un istintivo senso di classe, che le porta a diffidare delle forme ormai collaudate mediante le quali si esprime il dominio di classe della borghesia. D’altra parte le masse hanno al contempo dimostrato la pressoché totale assenza di una razionale coscienza di classe, dal momento che si sono dimostrate strumentali a un progetto demagogico, ordito dalle stesse classi dominanti, che intendono limitare al massimo le prerogative del parlamento per rafforzare il potere dell’esecutivo.
Oltre ad abboccare al frutto avvelenato del taglio dei parlamentari, la maggioranza degli elettori e, di conseguenza anche la maggioranza delle masse popolari, ha premiato, di contro ai partiti, le liste dei governatori delle province, che sono stati i veri vincitori di queste elezioni. Governatori che rappresentano il modello sostanzialmente bonapartista dell’uomo solo al comando, in grado di stabilire un rapporto diretto con le masse bypassando gli stessi schieramenti politici. Come si è visto in modo esemplare in Campania e in Puglia, i candidati sindaci teoricamente di centro-sinistra hanno ampiamente pescato il loro personale di fiducia tanto al centro che nella destra, dichiarando esplicitamente che le loro liste non potevano essere definite né di destra, né di sinistra. In ogni caso il successo dei governatori è legato non solo alla crescente sfiducia per l’imbroglio liberal-democratico, ma allo stato di emergenza divenuto sempre più ordinario con la scusa di dover fronteggiare in modo efficace la pandemia. Anche in questo caso, come nel caso del consenso al presidente del consiglio Conte – che ha salvato il governo, nonostante le pressoché costanti sconfitte – a essere premiato è la figura di un capo in grado di assumere le misure necessarie a far fronte a uno stato d’emergenza costantemente prolungato. Anche in questo caso appare evidente la scarsa coscienza di classe razionale dei subalterni, che sembrano, in quanto tali, aver bisogno di un uomo forte al comando, anche se in effetti non ha fatto assolutamente nulla né nel prevenire, né nel combattere la diffusione della pandemia.
D’altra parte quasi tutti i partiti politici sono stati puniti, anche duramente dagli elettori, e necessariamente in primis dalle masse popolari. I più puniti sono stati, in modo apparentemente paradossale, proprio i Cinque stelle, che più si erano spesi nel diffondere il virus dell’antipolitica funzionale a indebolire ulteriormente il parlamento a favore dell’esecutivo. Per altro, i Cinque stelle pagano ancora una volta l’aver tradito nel modo più sfacciato la fiducia che si erano conquistati fra i subalterni, con la loro apparente radicale alterità al quadro politico esistente. Come era facilmente prevedibile, non appena giunti in posizioni di governo hanno immediatamente dimostrato come questa ripresa dell’uomo qualunque al potere, sia quanto di meno in grado di mutare radicalmente l’esistente.
L’altro grande sconfitto è il principale esponente del populismo di destra: Salvini, la cui demagogia non può che emergere non appena qualcuno dei suoi assume posizioni di governo. Il fatto che ha perso meno dei grillini, dipende esclusivamente dal fatto che ha avuto meno incarichi di governo. Il suo progetto di assumere in breve tempo pieni poteri, almeno per il momento, appare decisamente fallito. La stessa eccezionale affermazione del post-democristiano Zaia in Veneto sembra dimostrare come anche nel suo stesso partito abbia perso quel controllo assoluto che fino a poco tempo fa appariva scontato.
Egualmente con le ossa rotte escono dalle elezioni i progetti neocentristi tanto di Renzi quanto di Forza Italia. Per altro, lo spostarsi sempre più al centro dell’asse di governo e dei suoi principali sostenitori, Pd e M5S, non può che condannare al fallimento i nostalgici del patto del Nazzareno. Per altro, per quanto arretrate, le masse, che hanno sperimentato ampiamente le malefatte di tali forze quando erano al governo, come è normale non nutrono più alcuna fiducia in esse.
Netta è stata anche la sconfitta della sinistra in tutte le sue molteplici configurazioni. Gli pseudo ambientalisti non riescono a capitalizzare la nuova sensibilità sviluppata su tali questioni, in particolare nelle giovani generazioni del nord e, per altro, tendono ad assumere un po’ ovunque una posizione apolitica, tanto da essere sempre disponibili, quando ne hanno modo, a governare con chiunque. Più in generale a uscire pesantemente sconfitta nelle urne è la pseudo-sinistra di governo, ossia i cespugli che hanno la funzione di fare da “foglia di fico” alle politiche sempre più palesemente borghesi del Pd. Tanto che sembrano intenzionate a cancellare anche quel minimo di rosso che tradizionalmente le aveva caratterizzate, per cercare di occupare lo spazio non ancora adeguatamente occupato dagli ambientalisti.
Netta anche la sconfitta dei più diversi cartelli elettorali promossi o sostenuti da Rifondazione comunista, da quelli più destri, come a Venezia dove hanno sostenuto insieme persino ai sostenitori di Calenda il candidato sindaco della Cisl, sino alle più coraggiose coalizioni con il P.C.I e persino con Potere al popolo. Del resto, anche le forze più connotate a sinistra dal P.C.I., a Potere al popolo, fino al P.C. di Rizzo hanno avuto dei risultati quasi ovunque negativi. Sia quando si sono presentate da sole, sia quando sono riuscite a costruire delle coalizioni di sinistra. Purtroppo tutto ciò non fa che dimostrare che tutte queste forze da sole fanno parte più del problema della sinistra di alternativa che della soluzione. Nel senso che le tipiche tendenze settarie, che si sviluppano nel momento in cui le forze della sinistra radicale perdono sempre più la capacità di essere avanguardie delle masse, non possono che avere conseguenze sempre più funeste. L’unico aspetto positivo in questo quadro piuttosto tetro, è che sembra sorgere almeno nelle forze più giovani l’esigenza di superare questa insostenibile frantumazione dei comunisti in micro-organizzazioni sempre più residuali.
Per altro lo stesso Pd, che pure si afferma quasi ovunque come primo partito, dimostrandosi la più credibile alternativa alle destre radicali, perde comunque sostanzialmente ovunque un numero significativo di elettori. Dunque il suo presunto successo è decisamente più apparente che reale e dipende esclusivamente dall’insuccesso dei suoi principali competitori, più che dal suo davvero magro bottino.
In questo quadro di complessiva débâcle dei partiti, a rendere il quadro del nostro paese ancora più fosco è l’affermazione abbastanza significativa della principale forza politica erede del fascismo. Certo, si potrebbe dire che i voti conquistati dai post-fascisti provengano in gran parte da voti persi da Salvini. Quindi si tratta essenzialmente di un travaso tutto interno alla destra radicale. In altri termini, pare che il sistema abbia già individuato un nuovo surrogato al populismo di destra di Salvini. D’altra parte il malgoverno del sedicente centro-sinistra ha fatto passare un’altra regione sotto il controllo della destra radicale.
In questa situazione a uscirne rafforzato pare essere il governo Conte. La diminuzione dei parlamentari, in effetti, spingerà molti, che temono giustamente di non essere rieletti, a tirare per le lunghe la legislatura sino alla sua naturale scadenza. D’altra parte il tentativo dei grillini di rompere il bipolarismo presentandosi come terza forza, né di destra, né di sinistra, sembra sostanzialmente fallito e i Cinque stelle appaiono destinati a fare da stampella populista, che da parte sua continuerà a giocare la carta del presunto buon governo borghese, quale unica alternativa alla destra radicale populista.
Dal punto di vista più generale del conflitto sociale la “pezza” messa dal governo con il blocco dei licenziamenti, in cambio di un significativo aumento dell’indebitamento pubblico a tutto vantaggio del blocco sociale dominante, non potrà durare in eterno. In questa situazione non potrà che esserci un progressivo sviluppo del conflitto sociale. Purtroppo, mentre il padronato riesce, nonostante le sue contraddizioni interne a fare blocco, le organizzazioni sindacali dei lavoratori appaiono sempre più divise. Come purtroppo avevamo ampiamente previsto la segreteria Landini sponsorizzata dalla Camusso non poteva che riallineare a destra anche il settore più avanzato dei metalmeccanici. Dall’altra parte il sindacalismo di base non corporativo non è riuscito a spostare significativamente a sinistra la Cgil, anche perché continua a essere profondamente lacerato al proprio interno. In tale situazione tendono a rimanere isolati e a essere piuttosto facilmente riassorbiti i conflitti che rischiano di esplodere ora qua e ora là.
D’altra parte una questione che rischia di scottare seriamente il governo è la polveriera che rischia di esplodere intorno al dramma della scuola, in cui non si è fatto sostanzialmente nulla per consentire una ripresa in sicurezza della didattica in presenza, non volendo investire per porre fine al bubbone delle classi pollaio prodotte dalla destra, ma mai seriamente poste in discussione dalla sedicente sinistra. Si tratta di un significativo fronte aperto per il governo, in quanto rischia di infrangere quella apparente capacità del governo Conte di saper gestire in modo serio e rigoroso una situazione di emergenza che tende a perpetuarsi. Dal momento che ad avere sempre e comunque la precedenza rimane la necessità di accrescere il più possibile i profitti privati a spese del settore pubblico nel suo insieme.
Infine gli intenti di Zingaretti di sfruttare i rapporti di forza a lui ora favorevoli nella compagine di governo – uscita nelle altre componenti con le ossa rotte da questa tornata elettorale – rischia di riproporre un film troppe volte proiettato in questi ultimi anni. Ovvero un ulteriore spostamento su posizioni filoliberiste dei sedicenti riformisti, cercando di imporre ai restii demagoghi grillini il ricorso al Mes, viadotto per accorciare i tempi necessari a rilanciare le politiche lacrime e sangue ai danni dei subalterni, costretti ancora una volta a pagare i costi negativi della crisi. Come di consueto, questo ulteriore spostamento a destra nelle politiche economiche sarà controbilanciato con una politica maggiormente progressista sulla questione dei diritti civili, andando finalmente a rivedere gli aspetti più intollerabili dei decreti Salvini. Tale politica non potrà che favorire ulteriormente la presa delle forze populiste sulle masse popolari, riducendo ancora di più il “centro-sinistra” a rappresentante dei benpensanti.