Appare evidente che le misure prese dai diversi Stati in conseguenza dell’epidemia da Coronavirus stanno producendo, sia pure in grado diverso, effetti significativi sulla vita sociale e politica dei cittadini e delle società in tutto il mondo. A uno sguardo non superficiale, si deve riconoscere come tali effetti si spingano ben al di là dell’obiettivo di contenere l’epidemia e, col trascorrere dei mesi, acquistino sempre più il carattere di modificazioni tendenzialmente stabili delle forme attraverso le quali si rende possibile l’esistenza sociale e individuale.
È bene chiarire che qui non si sostiene alcuna ipotesi di complotto o di regia occulta: siamo davanti a fenomeni oggettivi che traggono origine e, nello stesso tempo, rivelano la natura essenzialmente autoritaria di qualsiasi Stato, a prescindere dal suo regime politico.
Limitandoci per il momento al panorama italiano, si consideri che ci si sta avviando verso un ulteriore (il terzo, se non erro) prolungamento dello stato di emergenza che, a quanto pare, verrà esteso fino al 31 gennaio dell’anno venturo, raggiungendo così la durata di un anno circa dall’esordio dell’epidemia; e credo che a nessuno sfugga la possibilità che si vada ancora oltre.
È legittimo chiedersi cosa renda necessario un tale stato di cose e perché non si possa affrontare la situazione sanitaria – perché di questo e di nient’altro dovrebbe trattarsi – mantenendo inalterate le ordinarie garanzie vigenti in un sistema di democrazia formale e, in primo luogo, l’equilibrio dei poteri soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra organi esecutivi e assemblee rappresentative a qualsiasi livello.
È infatti sotto gli occhi di tutti che questo rapporto, essenziale in uno stato di diritto, sia da molti mesi fortemente, e forse completamente, sbilanciato a favore degli organi esecutivi: dai Dpcm alle ordinanze, che si susseguono a raffica, dei presidenti dei consigli regionali e dei sindaci, la società, o quel che ne rimane, è di fatto governata a colpi di decreti e di atti d’autorità che non vengono, nella maggior parte dei casi né discussi, né tanto meno ratificati dagli organismi rappresentativi (Parlamento, consigli regionali e comunali, per non parlare delle assemblee dei Municipi che sono letteralmente spariti nel nulla).
Quello che però si vuole qui sottolineare con forza è che dietro alla facciata di questo ininterrotto clima di emergenza, che si concreta in obblighi di vario genere, severe sanzioni, chiusure punitive di negozi, limitazioni dell’accesso ad alcuni servizi (ma non a tutti, come vedremo), impossibilità di tenere manifestazioni o riunioni, e che spesso ha invaso anche la vita privata e familiare dei cittadini, si celi in realtà il nulla.
I numeri parlano chiaro (almeno, a prenderli sul serio): il contagio non si è affatto arrestato, anzi, pare estendersi giorno per giorno e non più solo nella sciagurata Lombardia, ma nell’intero paese.
Meravigliarsene è davvero assurdo: era inevitabile che accadesse con la ripresa delle attività produttive – peraltro mai veramente interrotta nemmeno nel periodo del confinamento – con l’aumento fino all'80% dell’utilizzo dei mezzi pubblici (autobus, metropolitane, treni e aeroplani) che ha fatto venir meno qualsiasi pretesa di “distanziamento sociale”, con la riapertura degli esercizi commerciali sopravvissuti al blocco, e con le continue deroghe che varie regioni hanno concesso a “macchie di leopardo” per evitare un tracollo economico ancora peggiore di quello fin qui prodotto. Per fare solo un esempio, è di qualche giorno fa la notizia che il presidente della Campania ha “concesso” un aumento del numero massimo degli invitati che possono partecipare, presso ristoranti o alberghi, ai ricevimenti nuziali.
Ora, la domanda viene da sé: come si fa ad accusare i cittadini, come lo stesso De Luca ha più volte fatto, di non rispettare le regole che dovrebbero servire a prevenire l’estendersi dei contagi, quando proprio chi dovrebbe imporle e sorvegliare che vengano rispettate le attenua con un atto d’autorità “motu proprio”, motivato esclusivamente dalla volontà di tutelare una determinata categoria economica?
Si consideri come, nello stesso tempo, venga tollerato come una sorta di fatalità il formidabile allungamento delle liste d’attesa per visite mediche specialistiche e interventi chirurgici anche importanti (come testimoniato da vari medici e operatori del settore) e che l’accesso a servizi di primaria rilevanza sociale come gli Enti previdenziali o gli uffici circoscrizionali è fortemente limitato, quando non del tutto impossibile.
Chiunque di noi usi la metropolitana ha avuto modo di constatare che sono stati rimossi quei segnali che servivano a impedire che le persone sedessero a meno di un metro l’una dall’altra (distanza, quest’ultima, a sua volta del tutto arbitraria e priva di qualsiasi fondamento scientifico).
Eppure, sembra che l’estendersi dei contagi sia colpa della cosiddetta “movida” e delle vacanze: si combattono gli “assembramenti” – almeno a chiacchiere – ma si consente, anche qui in deroga, a bar e ristoranti di occupare le aree prospicienti di strade e marciapiedi, lasciando che le persone seggano ai tavolini senza alcuna preoccupazione per l’affollamento o la prossimità.
E che dire del “caso Sardegna”? È stato puntato l’indice sulle discoteche che, sia pure ragionevolmente, sono state chiuse. Però mi sembra che nessuno abbia voluto rendersi conto che la vera fonte dei casi di contagio rilevati in quelle circostanze non era sulla terra, ma sul mare, vale a dire sugli affollatissimi e costosissimi traghetti che fanno la spola fra l’isola e il continente.
Si deve qui necessariamente ripetere la domanda posta più sopra e chiedersi ancora una volta se è davvero possibile meravigliarsi o scandalizzarsi dell’aumento dei contagi. La risposta, ovviamente. è negativa.
In tutto questo, non si trova di meglio da fare che imporre una misura che, nella situazione sommariamente descritta, non ha alcun senso se non quello di mantenere alto il livello dell’allarme e della paura che, di per se stessi, sono sentimenti nocivi e gravati – ma di questo non si tiene conto – di possibili effetti depressivi a carico del sistema immunitario.
Si tratta dell’obbligo di indossare le mascherine anche all’aperto e in qualsiasi circostanza. Ha cominciato forse De Luca, poi la trovata è stata ripresa qua e là da altri presidenti di regione o da sindaci, e per ultimo il presidente Zingaretti ha deciso porre in vigore il provvedimento anche in tutto Lazio. Tramite un’ordinanza, è chiaro.
Ma ciò che più di tutto colpisce è che Zingaretti abbia motivato la sua decisione dicendo che in tal modo sarà possibile evitare un nuovo lock-down (uso con fastidio questo termine per l’effetto edulcorante e il carattere fatuo che la lingua inglese tende a conferire, nelle orecchie italiane, a qualsiasi espressione).
È possibile, a sentire il presidente del consiglio, che tale misura possa essere estesa all’intero territorio italiano. Mascherina invece di quarantena: non sta in piedi. L’uso delle mascherine ha un effetto limitato e solo nei casi di stretta prossimità e in ambienti chiusi e, soprattutto, affollati. Indossarle indiscriminatamente, addirittura per la strada quando si è da soli, non ha alcun effetto dimostrato o dimostrabile sull’andamento dei contagi. Non occorre nemmeno rivolgersi alla letteratura scientifica, basta il buon senso.
Dunque, perché questa imposizione? Un motivo l’abbiamo già messo in chiaro, e cioè il mantenere “alta la guardia” ma non contro il Coronavirus, bensì contro i cittadini anarchici e gaudenti che si pensa possano essere governati solo con la paura, mentre in realtà non li si governa affatto.
Esiste però anche una seconda e più riposta ragione, che ci riporta alle considerazioni fatte all’inizio. Ed è questa: è necessario e utile, per gli attuali pseudo-governanti, misurare il grado massimo di obbedienza e di soggezione all’autorità che un qualsiasi cittadino è disposto a tollerare senza una ragione comprensibile ma solo perché ha ricevuto un determinato ordine.
Bisogna cioè rendersi conto che è in atto una mutazione del sistema democratico che tende a trasformarlo, pur senza esplicite o brusche rotture del quadro istituzionale, in qualcosa di diverso, che si potrebbe forse chiamare democrazia autoritaria. È uno degli aspetti che può assumere il fenomeno che spesso viene indicato come “populismo” e che, in sostanza, consiste nel venir meno delle mediazioni, essenziali a una democrazia, fra chi comanda e chi obbedisce. Viene semplicemente emanato un ordine da un organo esecutivo e complice, una certa retorica, un clima di paura adeguatamente alimentato, una scienza da rotocalco, un battere e ribattere di numeri sui quali sarebbe invece necessario fare chiarezza e distinguere (ad esempio, la differenza, che si tende sempre più a sfumare, fra “contagiati” e “malati”) e si chiede ai cittadini di piegarsi senza troppe obiezioni.
È quello che sta avvenendo. Le società di mercato non possono concedersi il lusso di “mettersi in malattia”. La vera e propria quarantena alla “cinese”, per intenderci, non è una via praticabile, sebbene sia l’unica realmente efficace. Dunque, si mettono in malattia i cittadini, ai quali viene suggerito, e imposto d’autorità, che la cosa giusta è quella di considerarsi tutti, indiscriminatamente, infetti e potenzialmente malati di COVID-19.
Nel frattempo corrono i soldi europei (ma sono arrivati?) senza che ci sia uno straccio di idea su come utilizzarli. Ma è grazie all’epidemia che i governi hanno ottenuto queste linee di credito, sebbene, queste sì, velenose, ed è grazie all’epidemia che forse ne potranno chiedere delle altre. Abbiamo avuto il “Recovery found”, probabilmente avremo il MES. La soggezione al capitale finanziario e la democrazia difficilmente danno vita a un matrimonio felice, nel mondo ce ne sono esempi a bizzeffe, in Europa abbiamo avuto la Grecia, in Sudamerica l’Argentina, ecc.
Siamo in un laboratorio dove viene sperimentato un possibile futuro affidato alle dinamiche spontanee del capitale e nel quale la democrazia come, più o meno, l’abbiamo conosciuta finora, è di troppo. Meglio un interminabile stato di emergenza.
Domandiamoci infine se oggi sarebbe possibile fondare un partito politico che volesse affrontare la situazione in senso anticapitalistico, vigilando, ad esempio, sul grande affare che si sta costruendo attorno ai vaccini o ripristinando le garanzie e i diritti dei lavoratori travolti da decenni di cosiddetto neo-liberismo.
La sua prima riunione sarebbe sciolta d’autorità per violazione del “distanziamento sociale”. Come disse la Thatcher, “non esiste la società, ma solo gli individui”. Non era una descrizione della realtà, ma un programma politico. Può darsi che la sua coda avvelenata stia incontrando un nuovo periodo di gloria.