Perché l’opposizione latita?

Incredibilmente il governo più sfacciatamente reazionario della storia della Repubblica non sta incontrando nessuna significativa resistenza di massa. I ceti sociali subalterni, che in teoria avrebbero dovuto insorgere contro un governo così orientato a destra, appaiono anestetizzati. Neanche le lotte economiche per recuperare il potere d’acquisto dei salari sono in atto. Naturalmente il problema non sono i subalterni, ma i loro intellettuali, i loro dirigenti.


Perché l’opposizione latita?

La prima e più scontata risposta alla domanda del titolo di questo articolo, che danno più o meno tutti, dai più conservatori ai più estremisti, è l’innegabile continuità del governo Meloni con il precedente governo Draghi. Si tratta, naturalmente, di un paradosso, anche se l’enorme maggioranza che sottovaluta i pericoli dell’attuale governo non sembra accorgersene. L’evidente paradosso – proprio perché dato per scontato non è realmente riconosciuto – è che Fratelli d’Italia ha stravinto le elezioni ed è divenuto il primo partito del paese proprio perché è apparso a un gran numero di elettori socialconfusi come la forza politica che più si era coerentemente opposta alle scellerate politiche antipopolari del governo Draghi, sostenuto a spada tratta da praticamente tutti i partiti dell’arco costituzionale e da tutta l’opinione pubblica, al solito controllata e manipolata dall’ideologia dominante. Dunque, in quella situazione davvero penosa, con il governo espressione diretta del grande capitale monopolistico finanziario, privo di una reale opposizione di massa, l’unica forza politica che sembrava dare garanzie di una reale discontinuità con quel devastante governo tecnico era – per chi era egemonizzato dall’ideologia dominante – Fratelli d’Italia.

Tradendo completamente queste illusorie aspettative l’attuale governo e in particolare il partito dominante, Fratelli d’Italia, ha da subito fatto di tutto per apparire il più in continuità possibile con il governo precedente. Come mai? Perché le classi dominanti, che egemonizzano in modo quanto mai incontrastato l’ideologia dominante temevano proprio la discontinuità. Perciò avevano fatto carte false per difendere il governo precedente, dominato in modo inedito dal principale rappresentante dell’oligarchia. Tanto che due fra le principali forze politiche destinate a diventare opposizione hanno fatto la campagna elettorale promettendo di voler proseguire l’agenda Draghi. D’altro canto, il partito individuato come falso capro espiatorio della caduta del governo di unità nazionale, il Movimento 5 Stelle, è stato ostracizzato in ogni modo, anche se tale isolamento non poteva che significare regalare il governo, con una netta maggioranza, all’alleanza politica guidata da Meloni.

La classe dominante temeva, in effetti, tale soluzione in quanto rischiava di riportare in campo l’opposizione dei subalterni, che il governo Draghi, coperto persino dai sindacati maggiormente rappresentativi, aveva completamente anestetizzato. Del resto, il governo più apertamente di destra e reazionario della storia della Repubblica italiana, guidato in maniera sostanzialmente bulgara dai principali eredi del fascismo, avrebbe necessariamente comportato una ripresa della capacità di opposizione delle classi subalterne. Anche perché nel frattempo il rimbalzo dopo il pauroso crollo dell’economia italiano era terminato, il paese era destinato a riprecipitare nella crisi di sovrapproduzione, le politiche di austerità dell’Unione Europea, momentaneamente sospese, incombevano, dopo molti anni i subalterni erano falcidiati dall’inflazione che, al solito, colpisce principalmente i beni di prima necessità.

Dunque la classe economica dominante avrebbe potuto tollerare e coprire la nuova e potenzialmente inaffidabile classe dirigente solo se quest’ultima, su le questioni che più premevano all’oligarchia, fosse riuscita a portare avanti una politica in continuità con quella del governo Draghi. Così la leader di Fratelli d’Italia, dimostrandosi capace del più scoperto trasformismo, appena giunta al governo abbandonava tutti i punti populisti e demagogici con cui si era presentata alle elezioni come la principale forza di opposizione alla continuità dell’agenza Draghi, sostenuta dai suoi più temibili competitori elettorali.

Ecco perché l’ideologia dominante ha premiato immediatamente questo bieco servilismo, coprendo da subito il governo più reazionario della storia della Repubblica. Naturalmente le forze più accreditate dell’opposizione parlamentare, che avevano fatto di tutto per dimostrarsi i più affidabili prosecutori dell’agenda Draghi, erano impossibilitate a fare una reale opposizione. I 5 Stelle, che avevano governato tutto il possibile negli anni precedenti e si erano alleati con chiunque pur di rimanere al governo, erano completamente screditati e ormai privi di qualsiasi identità. La sinistra radicale si era ancora una volta suicidata avendo introiettato il minoritarismo e, come accade generalmente in fasi come queste di grande debolezza, è divenuta succube del più tafazziano settarismo.

Dopo l’ennesima débâcle elettorale ci si poteva aspettare che la sinistra radicale avrebbe svolto il compito, tutto sommato semplice, del bambino che grida che l’imperatore è nudo, cioè che la forza che controlla il governo avrebbe completamente tradito i suoi stessi elettori, presentandosi come la forza che doveva garantire la discontinuità con le politiche oligarchiche, mentre ora al governo le faceva completamente sue. Anche questo nuovo appuntamento con la storia è stato completamente eluso dall’insipienza della componente maggioritaria della sinistra radicale. Quest’ultima, invece di occupare la prateria che si apriva a sinistra, dal momento che la presunta discontinuità dei Fratelli d’Italia si era trasformata nella più spudorata continuità con le politiche oligarchiche, ha pensato bene di difendere la propria identità radicale non preoccupandosi di sviluppare una opposizione di massa. Fare il contrario avrebbe comportato il rischio di potersi contaminare e venir confusa con chi aveva fatto campagna elettorale in nomine Draghi. Perciò anche la direzione della sinistra radicale ha pensato bene di unirsi al coro di tutti gli altri che sottovalutavano i rischi del governo più reazionario dai tempi del Ventennio, contribuendo, involontariamente, a mantenere mansuete le classi subalterne.

Peraltro, per prevenire le sacrosante critiche a questa suicida tattica rinunciataria, alcuni intellettuali della sinistra radicale avevano sostenuto che, in realtà, era stata la stessa classe dominante a pilotare la caduta del governo del suo campione Draghi. In tal modo, si è finiti per coprire involontariamente il nuovo governo, depotenziandone l’aspetto truce, con il farlo apparire la semplice prosecuzione del precedente governo oligarchico. Così facendo, visto che nessuno aveva fatto nulla per mettere in campo un’opposizione di massa al governo Draghi, si normalizzava l’assurdo scenario per cui si è rinunciato a costruire una opposizione di massa al governo più di destra dopo i governi Mussolini.

Si è così di fatto rinunciato a denunciare le discontinuità in senso regressivo, di destra, dell’attuale governo rispetto al governo precedente. Se non si vuole rinunciare alla dialettica non si può non cogliere, oltre alle evidenti continuità, anche le altrettanto palesi discontinuità. Queste ultime sono del resto scontate dal momento che, non incontrando significative opposizioni, l’attuale governo reazionario non poteva che portare avanti delle politiche ancora più radicalmente antidemocratiche del precedente.

Così, per quanto fosse spietatamente ordoliberista il governo precedente, l’attuale lo è divenuto ancora di più, eliminando anche quella pur misera politica assistenziale basata su un ridottissimo reddito di sussistenza. Anche la politica decisamente filoatlantica del governo precedente è stata ulteriormente accentuata dal governo attuale, ancora più supino nei confronti dei paesi imperialisti più aggressivi come gli Stati Uniti. Allo stesso modo, le politiche filoimperialiste europee sono state ulteriormente sviluppate in senso reazionario, mirando a modificare l’attuale maggioranza basata sulla coalizione fra popolari, socialdemocratici e liberali, in una nuova maggioranza dove i socialdemocratici sarebbero sostituiti da conservatori e reazionari. Le politiche imperialiste e scioviniste del nostro paese sono state ulteriormente accentuate.

Se, dunque, anche gli aspetti di continuità sono stati radicalizzati in senso regressivo, decisamente più efficaci in senso reazionario sono gli elementi di discontinuità del nuovo governo. Innanzitutto la nuova classe dirigente ha rilanciato l’aristocrazia operaia, senza migliorare minimamente le condizioni di vita della plebe autoctona, ma peggiorando sensibilmente le condizioni di vita degli immigrati. Su tali posizioni il governo è decisamente più a destra del precedente governo liberale e liberista, in quanto nei confronti dei lavoratori subordinati extracomunitari mira a cancellare gli stessi diritti civili.

Anche dal punto di vista dei diritti politici, rispetto alle precedenti liberaldemocrazie, c’è una significativa discontinuità. Non appena in carica l’attuale governo è partito all’arrembaggio degli ultimi residui di democrazia che i liberali erano stati costretti a concedere. Mirando a portare a compimento il piano della P2 il governo di destra mira a eliminare, di fatto, la Repubblica parlamentare fondata sulla Costituzione antifascista nata dalla Resistenza. Il governo e il suo capo hanno come scopo finale della legislatura realizzare una svolta in senso presidenzialista, cioè bonapartista, riuscendo a realizzare la grande aspirazione delle forze conservatrici e reazionarie.

Altra discontinuità sostanziale è il portare avanti una politica reazionaria anche per quanto riguarda l’unità nazionale del paese. I sedicenti patrioti al governo mirano a sbarazzarsi persino dell’unità, unica conquista della rivoluzione mancata risorgimentale, in nome del secessionismo dei ricchi. In tal modo, si mira nel modo più sfacciato a eliminare alla radice lo stesso problema fondamentale dell’Italia unita: la questione meridionale che, con la secessione dei ricchi, non sarà più un problema almeno potenzialmente risolvibile, anzi non sarà più una questione problematica.

Un’altra spaventevole discontinuità è quella che mira a cancellare una delle più importanti conquiste dal punto di vista economico e sociale delle forze di sinistra, cioè la progressività delle imposte. Con la flat tax, la tassa piatta, verrà sostanzialmente meno la stessa fondamentale distinzione fra le giuste tasse indirette e le ingiuste tasse dirette. I ricchissimi e i poverissimi pagheranno le stesse aliquote. In tal modo si cancellerà in senso regressivo lo stesso problema dell’evasione fiscale. Inoltre, si porterà a termine un altro dei sogni segreti delle forze ultra reazionarie, cioè la completa cancellazione di quanto resta del cosiddetto Stato sociale o Welfare.

Infine, ultimo, ma non meno importante elemento di discontinuità: il governo mira a portare a termine la lotta per l’egemonia delle classi dominanti sulle classi subalterne eliminando anche l’ultimo baluardo conquistato con la resistenza e la costituzione, cioè la pregiudiziale antifascista. Portando a termine la traiettoria revisionista del rovescismo storico, da anni intento a rivalutare i fascismi e a criminalizzare l’antifascismo, l’attuale governo mira nel modo più sfacciato a riscrivere la storia in senso reazionario.

02/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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