Nel teatro di Rossi, Speranza ed Emiliano qualcuno intona Bandiera Rossa, qualcuno innalza la bandiera sovietica. La scissione della cosiddetta “sinistra PD” aumenta il folklore, ma c’è ben poco di cui rallegrarsi. Non stiamo assistendo a una “svolta a sinistra”, qua non ci sono né Lafontaine né Melenchon. Quello a cui stiamo assistendo è la rinascita dei Democratici di Sinistra.
La scelta di campo del socialismo europeo
Certo, dal palco degli scissionisti si è rimproverato a Renzi di aver lodato Marchionne, rendendo più difficile l’identificazione degli operai col PD. Chi vada però in giro a raccontare che la nuova cosa di D’Alema e compagnia sia un ritorno al codice genetico della sinistra, alla rappresentanza organica del lavoro salariato, non può che essere o un illuso o in malafede.
L’abbandono della rappresentanza del lavoro per abbracciare l’interclassismo è un’operazione compiuta dal centrosinistra già dagli anni ’90. Vi hanno preso parte tanto i partiti quanto buona parte dell’apparato culturale ed egemonico che ha seguito la trafila PDS-DS-PD: giornalisti, sindacalisti, comici, cantanti, romanzieri e accademici, ovvero l’eterno personaggio della “persona ragionevolmente di sinistra” a disagio nel centrosinistra, ma sempre saldamente fedele al PDS-DS-PD.
L’anomalia italiana è che il campo della socialdemocrazia europea è stato occupato dagli eredi del più grande Partito Comunista nel campo occidentale. La mutazione genetica era già iniziata in effetti nello stesso PCI, la decisione dello scioglimento portò in maniera naturale il Partito Democratico della Sinistra a scegliere l’Internazionale Socialista, mentre i Democratici di Sinistra aderirono poi al Partito del Socialismo Europeo.
Un’anomalia, quindi, ma solo fino a un certo punto. I DS erano già pronti per diventare un partito interclassista, in ultima analisi pro-capitale, come il New Labour di Blair o l’SPD di Schroeder. Come i loro corrispettivi europei i DS hanno riformato il mercato del lavoro precarizzando l’occupazione e frammentando il quadro contrattuale, hanno condotto la concertazione smorzando le posizioni del sindacato, hanno fatto da garanti dell’integrazione europea a scapito dei salari e hanno suonato le fanfare della guerra.
L’integrazione europea liberista come strategia
Nel 2004 l’SPD si scisse. Il punto immediato del contendere era l'adozione dell'Agenda 2010, un piano di governo neoliberista che si rifaceva alla Strategia di Lisbona. Su tale questione determinante, Oskar Lafontaine e gli altri scissionisti uscivano dall’area della socialdemocrazia europea e andavano alla fusione con i post comunisti della PDS, formando la Linke.
Nel 2008 il Partito Socialista francese si scisse. Il punto immediato del contendere era l'accettazione da parte del PS del Trattato di Lisbona con tutto ciò che ne conseguiva in termini di accettazione del neoliberismo. Sul piano generale, Jean Luc Melenchon e gli scissionisti uscivano dall’area della socialdemocrazia e cominciavano una difficile collaborazione col Partito Comunista Francese.
La scissione nella socialdemocrazia italiana è alla fine arrivata nel 2017. Nel frattempo c’è stata la più grande crisi economica dai tempi della Grande Depressione, l’Unione Europea ha mostrato il suo vero volto, dando ragione a coloro che ruppero con la socialdemocrazia contro la strategia di Lisbona e il Trattato di Lisbona, e soprattutto a chi – fuori dalla socialdemocrazia – criticò l’Unione fin dai tempi di Maastricht. Gli animatori di questa scissione sono stati d’altronde tra i principali attori dell’austerità. Basta ricordare gli ultimi giorni del governo Berlusconi, prima della destituzione del governo Monti. Giorni in cui i Bersani e i D’Alema hanno rivendicato il ruolo di migliori attuatori dei piani europei. Chi ha fatto più privatizzazioni del centrosinistra? Chi ha imposto i sacrifici per entrare nell’Unione Europea? Chi ha tenuto meglio al guinzaglio il movimento operaio? Chi è più credibile nei confronti della finanza internazionale?
Non è un caso che gli europarlamentari che fanno riferimento all’ala scissionista restino saldamente ancorati al gruppo socialdemocratico, il gruppo che regge insieme al centrodestra la Grande Coalizione Europea. Insieme al gruppo socialdemocratico gli scissionisti hanno sostenuto l’italiano Pittella – l’uomo dei comizi a sostegno del colpo di stato ucraino – come presidente dell’Europarlamento, evitando accuratamente di confluire sulla candidatura di Eleonora Forenza insieme alla Sinistra Unitaria Europea. Se, come sembra, il logoro Juncker lascerà la presidenza della Commissione Europea, avremo l’occasione per vedere ancora una volta come agiranno i “nuovi DS”: molto probabilmente come il PD e come i “vecchi DS”, appoggiando un candidato di destra per mantenere la stabilità dell’Unione Europea.
L’illusione pronta per l’uso
Eppure ancora qualcuno si illude che il ritorno dei DS possa essere un ritorno alla socialdemocrazia classica. Si tratta di un pezzo di ceto politico, con metà Sinistra Italiana che ha già risposto al richiamo di D’Alema, ma soprattutto del “mondo del centrosinistra”. Un mondo alla ricerca disperata di un compromesso sociale in un momento in cui il capitale non è disposto a fare prigionieri. Un mondo alla disperata ricerca di appigli identitari di sinistra dopo aver bruciato tutto il proprio patrimonio politico (simboli, idee,pratiche) con la parabola PCI-PDS-DS-PD. Come diceva Gramsci: ”L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva”.