Tutti per cuneo, cuneo per tutti!

Il taglio del Cuneo fiscale è di destra perché, in assenza di un fisco più equo, riduce gli spazi della socialità a vantaggio di quelli del mercato e peggiora i conti pubblici. Al di là del riparto teorico dei benefici immediati, ci guadagnerà solo il capitale.


Tutti per cuneo, cuneo per tutti!

Ormai anche i gatti sanno che il Pd è di destra, almeno sul terreno delle politiche economiche e sociali, perché occorre riconoscere che su quello dei diritti civili – salvo qualche strizzata d’occhio alla Chiesa – si distingue dalla destra nostrana. Una delle bandiere sventolate dalla destra non mascherata da sinistra è sempre stata il taglio delle tasse. Quindi Letta non poteva essere da meno, ed ecco che, a un assise dei giovani industriali a Rapallo, ha tirato fuori dal cilindro una nuova proposta di taglio del cuneo fiscale, e non un taglio qualsiasi, come è avvenuto ripetutamente negli ultimi anni, ma un “taglio shock”, composto da un provvedimento immediato e “una tantum” per i bassi salari e da uno “strutturale” per tutti a partire dal prossimo anno.

La proposta, ovviamente, è stata subito accolta con favore dal padronato. Il presidente di Confindustria, ha subito applaudito e invitato a farlo subito, proponendo un taglio da 16 miliardi di euro. Di questi 10,7 miliardi andrebbero ai lavoratori e 5,3 miliardi alle imprese. Ma anche il mondo politico ha risposto entusiasta all’unisono. Per esempio Conte e Salvini si sono subito dichiarati d’accordo e hanno addirittura rilanciato. Il leader dei 5 Stelle ha precisato che il taglio deve essere “incisivo”, perché egli non vede adesso altra “soluzione per contrastare la perdita del reale potere d’acquisto del ceto medio”. Evidentemente sono fuori dal suo campo visivo l’introduzione di efficaci indicizzazioni dei salari e la possibilità di valorizzare i contratti collettivi di lavoro. Salvini, alla ricerca dei consensi perduti, è stato particolarmente incontinente: “allora bisogna rottamare anche le cartelle delle tasse!” e poi trovare i soldi per “confermare il bonus 110%, aumentare le pensioni, bloccare il prezzo della benzina, della luce e del gas”. E via addizionando.

In campo sindacale Cisl e Uil approvano mentre Landini pone solo una condizione: il taglio deve essere tutto a vantaggio dei lavoratori. Quindi non una contrarietà, ma una condizionalità nella sostanza poco rilevante per i motivi che vedremo appresso.

Il cuneo fiscale è la differenza tra il costo totale del lavoro che sostiene l’imprenditore e il netto che riceve il lavoratore in busta paga, un differenziale composto dalle imposte e dai contributi sociali, sia quelli a carico del datore di lavoro, sia quelli a carico del lavoratore. In Italia corrisponde a circa la metà del costo del lavoro. In parole povere, se un lavoratore percepisce 1.500 euro al mese, il datore di lavoro sostiene un costo non troppo distante dai 3.000 euro. Tagliando il cuneo avviene che o il lavoratore, a parità di costo sostenuto dal datore di lavoro, percepisce un netto superiore o il datore, a parità di salario netto in busta paga, sostiene un costo inferiore, oppure una via di mezzo: ci guadagnano un po’ entrambi. Ma c’è chi ci scapita: la finanza pubblica. I 16 miliardi di Bonomi sarebbero 16 miliardi in meno di entrate che si tradurrebbero o in aumento del debito pubblico, già borderline, o in 16 miliardi in meno di spesa pubblica per sanità, scuola, trasporti pubblici, pensioni ecc., visto che le spese militari non potrebbero essere tagliate, anzi andranno aumentate secondo gli accordi sottoscritti in sede Nato. Cosa diversa e positiva sarebbe se queste minori entrate fossero compensate da un’imposta patrimoniale o anche da una maggiore progressività dell’imposizione sul reddito. Ma a dire questo siamo considerati marziani.

Il taglio del cuneo, nel quadro del nostro sistema fiscale, è di destra, come ogni altro taglio di imposte, perché sottrae risorse agli interventi pubblici e alla socialità per devolverle al mercato, in cui notoriamente spadroneggiano gli interessi dei più forti. Disegna quindi un modello di società dove si assottigliano gli spazi della solidarietà e aumentano quelli dell’egoismo.

Inoltre, venendo alla proposta di Bonomi (10,7 miliardi ai lavoratori e 5,3 alle imprese), tale ripartizione è solo teorica perché le somme corrisposte ai lavoratori saranno intese come un ristoro per le perdite salariali provocate dall’inflazione galoppante e quindi si tradurranno in meno rivendicazioni salariali, più alibi per non concedere altri aumenti, meno conflittualità a tutto vantaggio del padronato.

Ma – mi verrà obiettato – la diminuzione del costo del lavoro comporta un miglioramento della competitività del nostro sistema produttivo nei mercati internazionali e quindi meno lavorazioni all’estero e più occupazione. Certo, finché si permette ai capitali di vagare incontrollati per il mondo e non si mette in discussione il sistema Europa disegnato in funzione della deflazione salariale, che peraltro in Italia è superiore alla media europea.

Ma ormai, nel panorama politico italiano chi parla più non tanto di socialismo (ci mancherebbe!) ma solo di conflitto sociale, di rivendicazioni salariali, di tassazione dei grandi redditi e patrimoni, di controllo dei movimenti di capitale, di pianificazione economica?

 

01/07/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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