La fase di transizione della politica italiana, sembra non avere termine. In questo panorama, la crisi della forma partito è un dato che è stato assunto da tutti e che abbiamo provato ad analizzare, anche se un lavoro di riflessione su questo tema non può mai dirsi compiuto, né per la fase in cui siamo, né per la complessità del sistema di cui la forma partito è uno snodo fondamentale. I partiti sono stati snaturati e hanno lasciato un vuoto e su questo bisogna soffermarsi, perché non può essere “riempito” da altro, indistintamente. Se la riflessione sulla forma partito è necessaria e pressante, non bisogna lasciare spazio a chi vuole barare.
Nelle realtà comunali minori, dove la creatività si esprime ancor più liberamente, il fenomeno del trasformismo e del nascondimento sotto mentite spoglie è più facilmente riconoscibile, se si vuole ragionare, le persone si riconoscono più facilmente, se si sta attenti.
Con il governo Monti, nominato nel 2011, è tramontato il bipolarismo, considerato dai più un modello a cui attenersi per la vitalità stessa di un sistema democratico di governo basato sui principi di alternanza e di dialettica politica. Allora, si è cercato di ricostituire un polo “centrista” (forse nel tentativo di riesumare la modalità di accontentare il più possibile vicina alla passata D.C.?) mentre si stava affermando l’Antipolitica del “Vaffa’” che ha preso potere concretamente nei luoghi di governo nel 2013.
L’instabilità partitica è così aumentata, arrivando anche all’interno degli eletti in Parlamento a cambi di casacca che toccano numeri da record. I cittadini che dovrebbero trovare negli eletti in Parlamento un punto di riferimento, se non altro per una formazione politica data, si trovano spesso a seguire questi passaggi e queste trasformazioni, come nuovi allievi del mitico Brachetti, il grande artista del trasformismo.
La gente che lavora, che non può permettersi vacanze meditative su nuovi nomi da dare a nuoveformazioni lanciate davanti agli occhi di tutti attraverso Tv e manifestazioni di vario genere, cosa ne può pensare? Naturalmente, lo si evince dai dati, il maggior numero di salti con e senza asta viene dal PDL-FI e dal M5S, il non-partito della non-politica che, nelle nebbie del grande caos politico-partitico, ha reclutato un grande esercito di sostenitori dell’Uomo qualunque e dell’invettiva contro tutto e tutti.
Anche il PD ha la sua parte, questo grande laboratorio della mutazione genetica della forma partito, che ha sperimentato una forma di evoluzionismo forzato alimentato dai poteri finanziari. Quei poteri che hanno rimpiazzato uomini e donne con le loro idee e i loro programmi che, sembra, si siano dissolti in una pioggerellina caduta su un terreno arido.
Ma ecco un po’ di numeri e dati. Ad oggi, il numero di cambi di casacca dei parlamentari, tra Camera e Senato (XVII legislatura) sono stati 491. Il doppio rispetto alla precedente. I gruppi alla Camera sono 12, in Senato 11. Alla Camera, il gruppo PDL-FI ne ha perduti 52 e ne ha conquistati 4. Il M5S ne ha perduti 21 e conquistati 0. Il PD ne ha perduti 33 e ne ha conquistati 24. Il gruppo misto ne ha perduti 64 e conquistati 85. E così via…
Al Senato, il gruppo PDL-FI ne ha perduti 53 e ne ha conquistati 4. Il M5S ne ha perduti 19 e conquistati 1. Il PD ne ha perduti 16 e ne ha conquistati 9. Il gruppo misto ne ha perduti 39 e conquistati 46. Etc. Questi dati possono essere consultati sui siti ufficiali.
Questo breve articolo, è solo l’avvio di una riflessione che possiamo continuare a fare insieme, seguendo cosa accade in Parlamento, consultando dati e pretendendo che la volontà popolare venga prima di tutto rispettata e poi rappresentata davvero in sede parlamentare. Questo è dovuto; la democrazia parlamentare repubblicana è democrazia se è rappresentativa.