Fino a qui tutto bene

E’ tempo di dichiarazioni dei redditi e molte associazioni del terzo settore propagandano l’idea di riformare le storture create dal capitalismo. Ambiente, sanità e questioni sociali, fioccano in questi campi promesse utili a risolvere le problematiche del nostro mondo, ma è davvero questo un compito del terzo settore? E poi è realmente possibile riformare il capitalismo? La nostra risposta è negativa. Meglio abbatterlo per questo dona il tuo contributo a La Città Futura.


Fino a qui tutto bene

“Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: "Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio”. 

In molti si ricorderanno questa battuta tratta da un noto film di Kassovitz, La Haine. Inserisco questa citazione all’inizio di questo pezzo perché, nonostante nelle prossime righe mi voglia concentrare su un argomento piuttosto prosaico - come in effetti è la dichiarazione dei redditi - anche questa è la storia di una umanità che cade da un palazzo di cinquanta piani. Procediamo.

E’ periodo di compilazione delle dichiarazioni dei redditi, come dicevo, e da ogni parte ci si sente tirare per la giacchetta da enti di vario genere, ognuno col suo “dammi il tuo cinque per mille perché…”. Apparentemente in molti hanno ottimi motivi per essere scelti: tuttavia anche dietro a questa decisione, che potrebbe sembrare banale, si annidano una serie di problematiche che vale la pena provare ad osservare. Per esempio, mi sono imbattuta nella campagna promossa da Greenpeace (che invita a sostenere l’associazione col cinque per mille col motto “perché l’ambiente sei anche tu”) per il salvataggio delle api, che rappresenta una sacrosanta battaglia, assieme alle altre per il salvataggio dell’ambiente, degli oceani ecc. storicamente portata avanti dall’associazione. “Fino a qui tutto bene”. Senza dubbio l’utilizzo dei pesticidi rappresenta una piaga per la salute umana e per le famigerate api che, a causa dell’utilizzo indiscriminato dei veleni, rischiano di sparire e con loro il prezioso lavoro di impollinazione. “Fino a qui tutto bene”. Senza le api, l’impollinazione artificiale sarebbe qualcosa di estremamente impegnativo e soprattutto costoso: è nell’interesse economico di tutti, quindi, che le api continuino a fare gratuitamente il loro mestiere, pertanto imploriamo in ginocchio i lor signori di smettere di utilizzare pesticidi dannosi per l’ambiente nelle coltivazioni. Certo, anche fino a qui “tutto bene”. Il momento dello schianto però arriva irrimediabilmente nel momento in cui, nonostante l’impegno delle associazioni ambientaliste e nonostante sia del tutto chiaro e perfettamente logico che è cosa buona e giusta salvare le api anche da un punto di vista economico, l’uso dei pesticidi non diminuisce e la produzione massiva di cibi avviene ancora in larga misura attraverso l’impiego massiccio di veleni, il non rispetto delle coltivazioni stagionali, l’uso delle devastanti monocolture eccetera eccetera.  Il momento dello schianto, in altri termini, avviene nel momento in cui a valle di una battaglia per il salvataggio delle api, dell’ambiente e via discorrendo mi viene detto che devo perseverare e sostenere economicamente questa o quella associazione perché sebbene “la strada sia ancora lunga, un’agricoltura senza pesticidi è possibile”. Certo che è possibile, ma in che mondo? In quello attuale in cui domina la logica predatoria del capitalismo che per salvaguardare i propri profitti qui e ora se ne infischia altamente di utilizzare sostanze e metodi produttivi che stanno portando letteralmente il pianeta allo sfacelo? Come si può condurre una battaglia senza puntare il dito sui responsabili che hanno nomi, cognomi, partite IVA, conti in banca, tutto perfettamente individuabile? Perché vi fermate, perché avete paura di denunciare lo schifo che viviamo senza andare fino in fondo? E’ il capitalismo che va combattuto, prima di tutto, senza levare quello di mezzo possiamo dire addio tanto alle api, quanto al clima e al genere umano. Allora, visto che gli ambientalisti non sono veramente tali se non hanno il coraggio di denunciare il capitalismo, intanto che questa benedetta dichiarazione dei redditi la dobbiamo compilare lo stesso, a chi diamo questo cinque per mille? Idea! Alla ricerca! Ancora: “Fino a qui tutto bene”. Ma gli enti e le fondazioni private, che collaborano con numerose aziende donatrici di fondi, in che modo svolgono le loro ricerche? In un sistema produttivo che, come abbiamo visto, si disinteressa totalmente finanche di preservare l’ambiente in cui viviamo tutti – e sto volutamente tralasciando gli aspetti bellici della tragedia cui assistiamo quotidianamente- , come posso essere sicura che questo parolone altisonante e così abusato - “la ricerca” – sia finanziata e condotta obiettivamente a fini realmente utili alla collettività? Come posso escludere con certezza che, al contrario, in taluni casi essa non sia messa al servizio del profitto privato, di una di quelle numerose aziende che, magari (siamo nel campo delle ipotesi, sia chiaro), ha donato dei fondi all’ente di ricerca allo scopo di ottenere un risultato utile a vendere meglio un proprio prodotto? E’ proprio così inimmaginabile che, che so io, un’azienda di prodotti cosmetici investa dei soldi in una fondazione di ricerca “chiedendo” che il risultato sia utile a classificare le sostanze utilizzate nei propri prodotti di make-up come non cancerogene? Ed è davvero così irreale che una fondazione, pur di ricevere quei fondi, fornisca le evidenze scientifiche che soddisfano il donatore, trascurando però un altro filone di ricerca che, se approfondito disinteressatamente, avrebbe potuto recare qualche danno economico alle vendite di determinati tipi di prodotti?  Non so voi, ma io onestamente, non ho ormai più alcun elemento che mi spinga a fidarmi di aziende e fondazioni private perché, ricordiamolo ancora una volta, il sistema in cui le aziende operano è la principale causa dei mali del mondo. La dico così, brevemente, perché tanti meglio di me vi sanno argomentare per filo e per segno perché le cose stanno effettivamente così, perché il capitalismo va distrutto e superato il prima possibile, e lo sappiamo tutti benissimo. In primis lo sanno i suoi fautori in tutto il mondo che annaspano alla ricerca del modo migliore per occultare le proprie malefatte, manipolare l’informazione e la realtà per fare apparire il mondo decomposto in cui viviamo come il più desiderabile dei mondi possibili. Intanto noi cadiamo e mentre loro ridono noi ci diciamo “fino a qui tutto bene”. Mentre noi cadiamo, loro ci dicono “autonomia differenziata, per rilanciare anche il Sud!” e noi sappiamo che autonomia differenziata significa solamente privatizzazione selvaggia ma d’altra parte sono anni che ci hanno abituati a pensare che privatizzare significa efficientare, e il giochino è stato semplice: tu hai pagato le tasse lo stesso, e pure care, loro le hanno prese per darle alle banche da salvare, all’acquisto delle armi per fare la guerra e altre amenità simili, e ti hanno detto che nella mobilità, nelle scuole, nella salute (nella ricerca…) non c’era rimasto niente da investire e che i settori pubblici sono inservibili, dannosi, perché ci lavorano i “fannulloni”. E tutti sì con la testa, mentre cadevano. Dicono “diamo i servizi in gestione alle aziende private”, quelle sì che sono il motore, l’apoteosi! Poi le aziende private però devono fare i profitti, e tu lo sai, mica investire in sicurezza sul lavoro, stipendi dignitosi, assunzioni… Chiediamolo ai lavoratori delle cooperative, come se la passano!, diamo un’occhiata a come funziona il nuovo sistema di appalti (e subappalti) tanto caro a Salvini!, stupiamoci ancora quando poi vediamo, ad esempio, gli imprenditori smaltire illecitamente i rifiuti speciali (prodotti dalle aziende, tra l’altro) nei sistemi di smaltimento dei rifiuti urbani pagati coi soldi pubblici! L’elenco si prolunga mentre intanto la caduta prosegue sempre più inesorabile.

Ora, io lo so che sono passata attraverso argomenti apparentemente sconnessi e che tutto possa apparire un po' confuso, ma non è così. C’è, eccome se c’è, un filo che collega tutti gli aspetti materiali e ideologici della realtà in cui viviamo e anche le nostre più banali azioni contribuiscono, alla fine, a dare alle cose una direzione anziché un’altra. Quindi io il cinque per mille, ad esempio, lo do volentieri a questo giornale, e non è perché ci scribacchio sopra – anche perché tutto il lavoro che sta dietro alla redazione è lavoro militante e assolutamente volontario. Ma perché questo progetto, che esiste da dieci anni ormai, contribuisce a fare la cosa che oggi come oggi è, a mio modesto avviso, la più importante ossia evitare di schiantarci al termine di questa caduta infernale, prendendo coscienza di quello che accade, ed elaborando una visione alternativa e divergente del mondo, in un orizzonte che contempli ancora un futuro che non sia un semplice e mero susseguirsi di giorni carichi di sciagure, com’è oggi, ma che ambisca a donare a tutte e tutti quello che ci meritiamo: una società giusta, equa, che metta al centro e sviluppi l’essere umano con tutto il suo patrimonio raggiunto e l’armonia della natura che ci ospita. 

31/05/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Leila Cienfuegos

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: