Beni comuni, liste di cittadinanza, neomunicipalismo

La crisi della sinistra e le spinte verso un nuovo populismo di sinistra conferma la necessità della presenza organizzata e visibile dei comunisti


Beni comuni, liste di cittadinanza, neomunicipalismo

La recente assemblea svoltasi a Roma ha evidenziato contraddizioni e problemi della rappresentanza politica articolata tra battaglie per i beni comuni, liste di cittadinanza e “neo-municipalismo”. Tra crisi della sinistra e spinte verso un nuovo populismo di sinistra, si conferma la necessità della presenza organizzata e visibile dei comunisti.


di Giovanni Bruno

Sabato 9 luglio si è svolta a Roma l’assemblea delle liste territoriali ascrivibili al variegato arcipelago della cosiddetta “sinistra diffusa” che va dall’associazionismo al volontariato, dai settori di movimento antiliberisti agli orfani delle organizzazioni tradizionali di sinistra: una miscela che ha prodotto un’esperienza interessante con la stagione delle liste di cittadinanza di sinistra, spesso in concorrenza e contrapposizione con il “civismo” qualunquistico e securitario con riferimenti culturali prevalentemente collegabili alla destra popolar-populista, quando non espressamente “sociale” neofascista.

L’esperienza delle liste di cittadinanza attraversa gli appuntamenti delle amministrative da alcuni anni, e ha prodotto risultati notevoli con l’elezione di consiglieri in molti comuni anche importanti come Pisa, Firenze, Roma, Ancona, L’Aquila, Siena, e arrivando addirittura ad esprimere il sindaco a Messina, Renato Accorinti.

Spesso in competizione o talvolta convergendo con le coalizioni della sinistra extra-PD, le liste di cittadinanza hanno intercettato il voto di gran parte del variegato mondo delle associazioni di volontariato e di scopo (ARCI, Legambiente, Emergency per ricordare solo alcune tra le più conosciute e diffuse) proponendo una rappresentanza negli enti locali (comunali e regionali) che si opponesse alle politiche neoliberiste (privatizzazione dei servizi sociali, tra cui la sanità, e [s]vendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni) attivamente promosse dal Partito Democratico: sono liste che hanno portato nei consigli locali e regionali persone impegnate in attività sociali e schierate chiaramente contro il liberismo incombente, in opposizione al meccanismo della globalizzazione neoliberista che ha provocato, dopo anni di apparente espansione economica, la crisi più devastante che il sistema capitalistico abbia mai attraversato.

Quali sono le caratteristiche di queste liste? Quella principale è di mettere in primo piano una forma di “anti-politica” soft, che si delinea più come “antipartitismo”: a differenza del M5S, che si presenta come un movimento finalizzato a far riappropriare le istituzioni dai cittadini, escludendo le pastoie politiche delle strutture organizzate in vista della conquista del potere (ovviamente dovremmo aprire un discorso sul modello autoritario e proprietario del M5S da parte di Casaleggio/Grillo, che non possiamo affrontare ora), le liste di cittadinanza considerano la politica una pratica necessaria per costruire percorsi democratici con il valore aggiunto della partecipazione, che non si esauriscono (e spesso non possono ricondursi) nelle istituzioni, ma che si sviluppano costruendo altri modelli partecipativi e decisionali permanenti oltre alle procedure formali delle elezioni e della delega della rappresentanza.

Tale visione, ben lontana dallo “spontaneismo” qualunquista dei cinquestelle, coltiva comunque l’idea che i partiti siano diventati una sovrastruttura che opprime l’espressione autentica della democrazia popolare e disincentiva dalla partecipazione i cittadini, e che le organizzazioni partitiche e sindacali della sinistra (compreso il PRC) non siano in grado di rappresentare più le reali istanze dei cittadini e dei settori popolari, né i bisogni delle nuove generazioni e delle nuove figure del precariato.

Da questa analisi e impostazione nasce la proposta di costruire le liste di cittadinanza che da una parte si sono poste come contenimento del populismo qualunquistico del M5S, dall’altra come risposta alternativa e credibile al crollo di credibilità dei partiti di sinistra e alla crisi di una opposizione sociale e politica efficace alle politiche liberiste bipartisan del Partito Democratico e delle destre.

I cantieri che si vanno costruendo sono però molteplici: alla proposta di costruzione di una rete delle Città in Comune, si sovrappone un altro progetto politico promosso dall’appena rieletto sindaco di Napoli Luigi De Magistris, le “Città ribelli”, che guarda ai risultati nelle città spagnole conseguiti da Podemos e al movimento creato da Varoufakis.

I progetti delle liste di cittadinanza Città In Comune e del neomunicipalismo di De Magistris vanno collocati nel contesto internazionale: dopo la “infatuazione” per la Syriza e Tsipras, il nuovo riferimento è Podemos guidato da Pablo Iglesias, una sorta di M5S un po’ meno qualunquista, movimento sorto dal Movimiento 15-M, con la mobilitazione degli Indignatos: il modello teorico che si richiama è quello del “populismo di sinistra” di matrice latino-americana, con un esplicito superamento della categoria di classe e l’assunzione di una società a-classista (piuttosto che interclassista), composta da ricchi (definita in modo propagandistico l’1% della popolazione mondiale) e poveri (il restante 99%), divisione generata dal neoliberismo. La semplificazione nell’analisi dell’origine della crisi economica inizia con il movimento Occupy Wall Street, che ha individuato nel debito generato dalle politiche neoliberiste la miccia che ha innescato la crisi del 2007/2008: tutti i movimenti di questi anni hanno dunque assunto l’antiliberismo come connotazione principale, mentre eludono (quando non rifiutano apertamente) la questione dell’anticapitalismo.

Podemos si muove in questo solco: la conquista di alcune città spagnole (tra cui Madrid e Barcellona) sembrava spingere verso un populismo di sinistra che viene abbracciato sia da larga parte dei partecipanti al processo di costruzione delle Città In Comune sia da Luigi De Magistris, che ha subito cavalcato l’onda per lanciare il suo progetto neomunicipalista.

Il tentativo di costruzione di una sorta di network nazionale, la Rete delle città solidali, è stato ricordato da Ciccio Auletta e Marco Ricci (su il manifesto di sabato 9 luglio), che ritengono necessario “creare nuove forme di cooperazione” contro le politiche neoliberiste vincolate ai patti di stabilità attuate dalle amministrazioni sia di (centro-)destra che di centro(-“sinistra”) ripartendo “dalla crescita di progetti municipali alternativi e connetterli l’uno con l’altro” con “programmi «in comune»”, evitando “alleanze di centro-sinistra” e “«accrocchi» elettorali privi di anima e immaginazione”. Tuttavia, questo tentativo non ha avuto molto successo: Auletta e Ricci imputano il fallimento a “opportunismi e tatticismi” “di coloro che oggi annunciano di voler ripartire dalle città e dalle municipalità”. Il riferimento a SEL e a Sinistra Italiana, è abbastanza chiaro (anche se tra le righe possiamo leggere anche una, più o meno velata, critica al PRC). Quello che non è chiaro è come si intenda il rapporto con un partito come il PRC che ha deciso di non sciogliersi (anche se resta l’ambiguità della linea dell’attuale Dirigenza che discuteremo successivamente): la chiusura dell’articolo di Auletta e Ricci sulla costruzione di un processo politico nazionale delle Città In Comune mette in guardia dall’usare questo progetto “come vessillo da sbandierare o come tentativo di conciliare ceti politici in disaccordo”, e questo può essere condivisibile, ma non chiarisce se le alleanze politiche con soggetti autonomi e organizzati come Rifondazione Comunista rientrino nell’orizzonte delle Città In Comune o se si chieda per l’ennesima volta l’eutanasia dei comunisti tramite l’annientamento (un tempo si chiamava “liquidazione”) della nostra organizzazione, il partito comunista.

Possiamo portare due esempi, opposti, di come si possa gestire questo rapporto.

Il primo esempio è quello di Pisa: eccezione della “regola” non scritta dell’autosufficienza delle liste di cittadinanza rispetto ai partiti, nelle elezioni comunali del 2013 fu costruita una coalizione tra la lista Una Città In Comune (UCIC) e Rifondazione Comunista, che prevedeva un candidato sindaco (Ciccio Auletta) espresso dalle due liste collegate, ma autonome, mentre SEL sceglieva la continuità del sostegno a Filippeschi e alla giunta guidata dal PD. Da questa scelta ne è derivata l’elezione di due consiglieri per il gruppo Una Città In Comune/Rifondazione Comunista, in cui il PRC ha avuto un ruolo fondamentale per l’elezione del secondo consigliere (Marco Ricci): senza l’apporto esplicito e visibile di Rifondazione Comunista probabilmente non sarebbe stato raggiunto questo risultato. La linea portata avanti dal gruppo consiliare UCIC/PRC si è contraddistinta per l’esplicita denuncia delle politiche del’Amministrazione e della Giunta Filippeschi, a cui si sono aggiunti tardivamente anche i consiglieri di SEL usciti dalla maggioranza qualche mese dopo l’inizio della consiliatura.

Un secondo esempio da analizzare, assai più contraddittorio, è quello della lista Sì-Toscana, a cui Rifondazione Comunista ha partecipato fin dall’inizio partendo dall’esperienza della lista Altra Europa-Per Tsipras: il programma e l’esito elettorale è stato assai più controverso per l’inserimento tardivo (un po’ sospetto) di SEL nella lista unitaria. Il limite, a mio avviso di questa operazione, sta nella perdita di visibilità dei comunisti del PRC, che scompaiono per l’ennesima volta dall’orizzonte politico (pur circoscritto all’ambito elettorale, ma in questo caso, più che in altri, la forma è sostanza).

Dopo il disastro della Sinistra Arcobaleno e di Rivoluzione Civile su scala nazionale, dopo l’esperienza controversa dell’appoggio alla Giunta Regionale Toscana di Ernesto Rossi nella coalizione di Toscana Democratica, dopo i mille esperimenti di liste “di sinistra” – ma non comuniste! – nei vari comuni di tutta Italia, possiamo concludere che le alleanze con le liste di cittadinanza sono perseguibili e interessanti, ma non devono escludere la visibilità dei comunisti e del PRC in particolare: i dati elettorali confermano quello che intuitivamente è chiaro nella testa di molte/i compagne e compagni, cioè che queste liste (da AE agli esperimenti nazionali, dalle liste di cittadinanza comunali a quelle regionali) intercettano un elettorato (importante, intendiamoci) di “sinistra” in quanto a valori etico/ideali e a formazione ideologico/culturale, ma sostanzialmente circoscritto ad un ceto intellettuale urbano e socialmente collocato nella fascia media (per quanto sofferente per la crisi). Risulta eclatante l’assenza dall’elettorato di sinistra dei ceti proletari, i quali si sono rifugiati da tempo nell’astensionismo (anzi, vi sono stati sospinti a forza da leggi elettorali che escludono la rappresentanza esplicita ed organizzata delle classi popolari), oppure si dirottano verso partiti che veicolano messaggi semplificati e disastrosamente divisivi (come la Lega o, peggio, le formazioni neofasciste che stanno crescendo e allignando anche nel panorama elettorale in molti territori) e il Movimento 5 Stelle per il richiamo del capopopolo/showman Grillo (almeno inizialmente).

Non è dunque accettabile che si continui a richiedere lo scioglimento del PRC, o che il Segretario Ferrero continui a perseguire la linea della costruzione di un “soggetto unico” della sinistra, ormai smentita dai fatti (elettorali, politici, sociali).

Un partito comunista è assolutamente necessario, poiché solo la forza organizzata dei comunisti può permettere quella costruzione di un “blocco sociale storico” tra soggetti politici della sinistra e settori popolari del proletariato tale da mettere seriamente in discussione gli attuali assetti economico-sociali e politico-istituzionali dominati dalle classi proprietarie: se il progetto nazionale delle liste di cittadinanza avesse, come condizione per la costruzione di alleanze, lo scioglimento del PRC, o anche solo chiedesse di rinunciare definitivamente a presentare il proprio simbolo alle elezioni politiche e amministrative, sarebbe irricevibile e produrrebbe solamente istanze di testimonianza completamente prive di reale prospettiva politica.

03/09/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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