Riattualizzazione della pace perpetua, unica via per la salvezza dei popoli

Alla luce del recente scoppio della guerra in Ucraina, si riflette su come sia cambiata la guerra nel corso del tempo, quali siano, invece, le sue costanti, quali le sue conseguenze e riguardo quale posizione si debba prendere rispetto ad essa.


Riattualizzazione della pace perpetua, unica via per la salvezza dei popoli

Buonasera compagni/e, sono felice di rivolgermi a voi in questo periodo di grandi difficoltà, in cui siamo stati messi duramente alla prova da conflitti a crisi economiche e pandemiche. Per quanto la mia esperienza di questi ultimi 2 anni non sia stata identica al resto dei miei coetanei, vorrei rivolgermi a voi da esponente delle ansie e paure della mia generazione e di tutte quelle che verranno. Spero che ciò che sto per dirvi possa stimolarvi a costruire un proficuo dibattito e che da un punto di vista dell’esposizione possa essere il più soddisfacente possibile.

Da sempre la guerra è stata un mezzo di prosecuzione delle politiche delle classi dominanti quando il semplice potere diplomatico-economico non bastava al raggiungimento degli scopi di dominio. Nel corso dei secoli il modo di fare la guerra è mutato progressivamente: se una volta erano i nobili a fare la guerra di persona riservandosela come privilegio per guadagnare gloria e ricchezza, negli ultimi secoli l’élite militare ha visto un progressivo allontanamento dai campi di battaglia moderni, riservando il lavoro sporco a masse di coscritti armate e addestrate al fine di acquisire territori strategicamente importanti per le risorse di qualsiasi tipo e ricoprendo i soldati più valorosi di onorificenze simboliche prima di sostituirli con altra carne da cannone. L’unica cosa che non è cambiata è che il frutto dei bottini di guerra (le risorse acquisite) alla fine va sempre a vantaggio delle classi dominanti e di conseguenza anche il potere che queste risorse conferiscono a chi le possiede.

Specialmente le guerre moderne riescono a conciliare alla perfezione la razionalità dei moderni mezzi di produzione di armamenti (produzione in massa di armi, lobby delle armi e conglomerati militari industriali) con l’obiettivo irrazionale delle classi dominanti al potere (il mero interesse e guadagno personale di questi soggetti, anche se esso ha come conseguenza l’erodere la stessa madre terra su cui noi basiamo la nostra esistenza).

Ad aggiungere ulteriore benzina sul fuoco della guerra intervengono i mezzi di propaganda mediatica che sia da una parte che dall’altra tentano di creare schieramenti in modo da alimentare un supporto per uno dei due sfidanti, cercando così una distrazione di massa da ambo le parti e facendo dimenticare i problemi e le contraddizioni del nostro sistema. In particolare mi riferisco al contesto occidentale in cui ci troviamo ad essere immersi (non perché sia meglio quello russo o di altri luoghi, ma perché è quello che conosco ed è quello con cui sono venuto più spesso a contatto), e che nella recente guerra sta dando il peggio di sé, tra il mandare in onda le immagini di un videogioco spacciandole come immagini di Kiev sotto attacco fino al decantare il nobile sacrificio dei 13 soldati ucraini uccisi sull’ isola dei serpenti dai “barbari russi” (poi scoprendo che potrebbero essere ancora vivi, ma pazienza ormai è fatta), non facendo altro che lucrare in maniera spregevole su una tragedia vera e propria che si consuma proprio sotto i nostri occhi, solo per aderenza alla narrazione dominante. Ad accompagnare il tutto ci pensano i parallelismi storici forzati (per non dire strumentalizzazioni storiche) degli opinionisti dei talk show nostrani che si affannano a cercare di montare una narrazione dei “buoni” e dei “cattivi” che funga da giustificazione morale per un possibile intervento dell’occidente: così Putin diventa “letteralmente Hitler” e noi i “benefattori” occidentali che devono in qualche modo salvare i poveri ucraini con il rischio però di aumentare l’escalation del conflitto. 

Ogni tentativo di contestualizzare il conflitto viene osteggiato se non deriso e la retorica sciovinista contagia le menti e deturpa i corpi; il pensiero critico da entrambe le parti viene sacrificato. Più che con la seconda guerra mondiale, io riscontro parallelismi con la prima guerra, dove retorica nazionalista e interventismo anti (inserire popolo da denigrare in funzione propagandistica), e con il contesto post guerra fredda (e purtroppo con armi post guerra fredda), che si fondono nella narrazione mediatica dell’informazione digitale e dei social network, i quali permettono un continuo afflusso d’informazioni tale da rendere difficile capire quali di queste siano vere e quali false. Tutto questo apparato alla fine non fa altro che fortificare le posizioni di chi nella guerra trova il proprio guadagno spregiudicato, mettendo i popoli in trincea e loro stessi, invece, a godersi lo spettacolo.

Ma non tutti si abbandonano a queste narrazioni. Infatti le proteste e gli arresti avvenuti in Russia e le grandi manifestazioni contro la guerra che si sono svolte in occidente e nel mondo evidenziano un unico filo conduttore, un'unica narrazione contro egemonica: il NO totale alla guerra e alle conseguenze che essa porta, come la ristrutturazione dell’economia in economia di guerra (mandando a quel paese discorsi come transizione ecologica, rifinanziamento e riforma di sanità ed istruzione ed altre spese sociali), oltre al classico rincaro delle bollette ed alla crescita vertiginosa del prezzo della benzina, facendo ricadere il maggior peso della crisi sulle spalle dei precari di tutto il globo. Solo un movimento transnazionale composto da molte anime convergenti su un unico obiettivo comune potrà garantire la prevenzione di futuri conflitti e la cessazione di quelli attualmente in corso (quelli di cui ci dimentichiamo e ricordiamo con la stessa facilità con cui lanciamo una moneta), costruendo nuovi organi di espressione popolare dal basso in modo da esercitare influenza a livello sia nazionale che internazionale e potendo sfruttare mezzi innovativi forniti dalla rivoluzione digitale globale (attivismo sui social, raccolte firme digitali per proposte d’iniziativa popolare, divulgazione di temi importanti), o addirittura ricorrendo  all’ hacktivismo per aggirare le censure dei governi e coordinarsi meglio, come ha dimostrato più volte Anonymous, o ancora a mezzi da vecchia scuola ma efficaci (diserzione etica dal servizio militare e dall’arruolamento forzato, sabotaggio delle forze armate in campo), fino ad arrivare a pretendere riforme radicali  delle istituzioni nazionali e internazionali in senso democratico rappresentativo (come nel caso dell’Italia con l’ampliamento del sistema dei referendum e una radicale revisione dell’ ONU). Solo cosi potremmo indirizzare la nostra rabbia e il nostro spirito combattivo verso cause propositive che hanno a cuore la salvaguardia del bene comune e la costruzione di un futuro migliore anziché sprecarlo in un impulso autodistruttivo che vada a vantaggio solo di pochi e faccia annegare molti nella sofferenza. Non arrendiamoci all’opprimente realtà del presente. Organizziamoci, ribelliamoci, inventiamo il futuro…

PRECARI DI TUTTO IL MONDO, INSORGETE!

18/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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