Il 27 settembre si terranno le elezioni per il Parlamento della Comunità Autonoma della Catalogna. Si tratta di un appuntamento elettorale di prima importanza per la Spagna, dopo le elezioni amministrative e prima del voto politico che si terrà entro fine anno. Per le elezioni politiche, invece, la strada dell’unità popolare è tutta in salita.
di Paolo Rizzi
La Catalogna è la prima regione spagnola per ricchezza prodotta e la seconda per numero di abitanti. È una regione che s’identifica fortemente come una nazione a parte, quella catalana, e presenta un panorama politico dominato dalle forze regionaliste.
Il governo regionale uscente è formato dai liberal-conservatori di Convergenza e Unione (Convergència i Unió, CyU) col sostegno dei socialdemocratici della Sinistra Repubblicana Catalana (Esquerra Republicana de Catalunya, ECR). L’alleanza può essere definita come una Grande Coalizione dell’Indipendentismo, dato che ECR ha garantito la nascita dell’amministrazionedi CyU in cambio dell’approvazione della Dichiarazione di Sovranità della Catalogna (votata anche dall’opposizione rosso-verde di Iniciativa per Catalunya Verds - Esquerra Unida i Alternativa ICV-EUiA, referente locale della storica alleanza di sinistra Izquierda Unida IU, imperniata sul Partito Comunista Spagnolo, PCE), poi dichiarata illegale dalla Corte Costituzionale. Il livello di scontro tra il governo catalano e lo stato centrale si è ulteriormente alzato con il referendum consultivo del novembre 2014, dove l’80% dei partecipanti si è espresso a favore dell’indipendenza della Catalogna, dopo che al Parlamento spagnoli i socialdemocratici del PSOEe i conservatori del PP avevano votato contro la possibilità di dare valore legale alla consultazione (favorevoli invece IU e le forze autonomiste o indipendentiste).
Proprio sulla questione dell’indipendenza s’è consumata la rottura all’interno di CyU, con l’ala di Artur Mas, Presidente della Comunità Autonoma di Catalogna, disposta a un conflitto aperto con lo stato spagnolo pur di ottenere l’indipendenza. In seguito a questa divisione è nata la lista Insieme per il Si (Junts pel Sì, JpS) che riunisce la formazione di Mas (Convergenza Democratica di Catalogna), l’ECR e altre formazioni minori tra cui alcuni fuoriusciti da EUiA-ICV. JpS presenta come punti fondamentali del programma la stesura di una nuova Costituzione per la Comunità Autonoma e l’avvio di una trattativa per la formazione di un nuovo stato catalano indipendente e membro dell’Unione Europea. Nel caso il governo centrale si rifiutasse di avviare tale trattativa nel giro di 6-12 mesi, JpS s’impegna a dichiarare l’indipendenza unilateralmente.
L’altra grande novità delle elezioni è la lista Catalogna – Si che si Può (Catalunya Sí que es Pot , CSP), la lista di unità popolare nata sull’esperienza della vittoria alle elezioni di Barcellona. La lista raccoglie EUiA-ICV, Podemos e gli ecologisti di Equo, e candida alla presidenza della Comunità Autonoma Lluíss Rabello, proveniente dal movimento di base dell’Associazione dei Residenti. Il programma di CSP si muove sulla falsariga delle liste di unità popolare che hanno vinto nelle grandi città come Madrid e Barcellona, si oppone alle privatizzazioni e al peso del debito sulle amministrazioni locali, sostiene l’istruzione pubblica di qualità e la partecipazione dei cittadini. Non era scontato che si arrivasse alla presentazione di una lista unitaria, data la diffidenza di Iglesias verso queste esperienze. Inoltre, in una regione come la Catalogna, pesa l’ambiguità di Podemos che, a differenza di IU, non ha mai voluto adottare una posizione precisa sulla questione delle autonomie e delle indipendenze.
A sinistra si muove anche la lista della Candidature di Unità Popolare (Candidatura d'Unitat Popular, CUP), eredi della lunga tradizione catalana di anticapitalismo libertario che hanno già ottenuto risultati degni di nota alle municipali di Valencia e Barcellona. Rispetto all’indipendenza, la posizione della CUP è la formazione di uno stato socialista catalano al di fuori dell’Unione Europea.
L’ultima novità di queste elezioni è l’ascesa di Ciudadanos, il partito “civico” che aveva mosso i primi passi proprio alle precedenti consultazioni catalane. Spesso presentato come il “Podemos di destra”, Ciudadanos si presenta con un programma anti-corruzione e a livello nazionale si sta avvantaggiando della crisi del PP.
I sondaggi sono da prendere con le dovute cautele, specialmente in una situazione in cui le liste più importanti non erano presenti alle ultime elezioni, o avevano comunque un peso politico completamente diverso. In ogni caso, tutti i sondaggi assegnano il primo posto a Junts pel Sí, mentre il secondo posto viene assegnato di volta in volta a Ciudadanos, a CSP o al Partito dei Socialisti di Catalogna (sezione locale del PSOE).
Quello che è interessante notare è che comunque ci sono grandi differenze tra ogni sondaggio, la lista JpS è data da un minimo del 32% a un massimo del 49%, se i voti reali si attestassero nella fascia bassa, significherebbe che la lista autonomista dovrebbe cercare il sostegno di altre forze per governare e che sicuramente vedrebbe la sua posizione contrattuale nei confronti del governo centrale diventare molto più debole.
Podemos e l’Unità Popolare, una relazione complicata
Già alle elezioni amministrative di fine maggio Podemos aveva avuto un rapporto complicato con tutto ciò che si muove a sinistra. Alle elezioni comunali il partito di Pablo Iglesias aveva raggiunto, abbastanza controvoglia, alcune delle liste di unità popolare, come successo a Barcellona, Madrid o Saragozza. Nelle regioni, invece, Podemos ha sempre presentato la lista del partito. Non c’è ovviamente nessuna maniera di ipotizzare cosa sarebbe successo se fosse state scelta una linea diversa. Quello che è sicuro, è che nelle regioni Podemos si è trovata a giocare il ruolo poco entusiasmante di chi ha dovuto dare l’appoggio esterno alle giunte socialdemocratiche pur di non far governare le destre.
La questione delle liste di unità popolare è fondamentale per le elezioni politiche che si dovranno svolgere entro il 20 dicembre. Izquierda Unida, Equo, Ahora Madrid e altre liste locali hanno già deciso di presentare una lista di unità popolare che unisca i partiti della sinistra, i movimenti e le forze regionaliste progressiste. Questa linea non è però condivisa da Podemos. che attualmente è il maggior partito della sinistra per peso elettorale e, soprattutto, esposizione mediatica. Con una consultazione on line svolta dal 17 al 23 luglio, gli iscritti a Podemos hanno nominato, senza alcuna sorpresa, Pablo Iglesias come candidato alla presidenza del governo col 94% dei voti. Insieme a Iglesias ha vinto la sua linea di rifiutare la proposta dell’unità popolare preferendo, invece, puntare all’alleanza con alcune forze regionaliste in Galizia, Navarra e Catalogna.
Per Podemos la strada non è tutta in discesa. Innanzitutto, le primarie hanno posto dei problemi interni. Alla consultazione hanno partecipato “solo” 60mila iscritti sul totale di 380mila registrati. Va detto che l’iscrizione a Podemos non è da intendersi come quella a un partito tradizionale, si tratta di una registrazione sul sito internet nazionale e anche durante il periodo di massima partecipazione, a ottobre del 2014, parteciparono “solo” un terzo degli iscritti, cioè 112mila persone. Il sistema stesso delle primarie è stato contestato all’interno del partito, portando alle dimissioni di vari dirigenti regionali che hanno denunciato la deriva leaderistica e predeterminata.
Le polemiche interne coinvolgono però solo una sparuta minoranza dell’organizzazione. Il vero problema per Podemos è che la spinta propulsiva che nella seconda metà del 2014 sembrava portare diritta al governo, si è interrotta. Mentre la gran parte dei media italiani ripete la litania “Podemos, il partito dato vincente nei sondaggi”, la realtà è che i sondaggi hanno smesso da mesi di dare la formazione di Iglesias come prima forza politica. Dalle punte del 30% registrate tra il dicembre 2014 e il gennaio 2015, le rivelazioni di luglio e agosto danno Podemos tra il 15 e il 20%. Percentuali che ne farebbero un attore politico di primo piano, ma comunque più basse di quelle del PSOE e del PP, i due partiti classici del bipartitismo che, con questi numeri, conserverebbero il ruolo di uniche possibili guide per il governo della Spagna.