Le prospettive dei Brics

Un excursus nell’economia e nella società dei cinque paesi in via di sviluppo per ragionare sulle loro prospettive.


Le prospettive dei Brics Credits: by Пресс-служба Президента России su http://kremlin.ru/events/president/news/49899/photos licenza CC http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/

Un excursus nell’economia e nella società dei cinque paesi in via di sviluppo per ragionare sulle loro prospettive. Dopo aver visto le carte di Brasile, Russia e India, veniamo alla più importante e sorprendente potenza dei Brics, la Cina.

di Ascanio Bernardeschi

“Se la Cina è la fabbrica del mondo, l’India è il suo ufficio,
la Russia la stazione di rifornimento e il Brasile la fattoria”
(Paul Krugman, premio Nobel per l’economia)

 

Parte V.1 – I “fondamentali” della Cina

Dopo aver visto le carte di Brasile, Russia e India, veniamo alla più importante e sorprendente potenza dei Brics, la Cina, cui dedichiamo due articolii. In questo primo trattiamo gli elementi generali dell'economia cinese e della sua dinamica. Nel prossimo articolo ci riserviamo di vedere le caratteristiche specifiche del modello cinese, soffermandoci anche sul ruolo della finanza, sulla prevedibile portata dei recenti “crolli” della borsa di Shanghai e delle ripetute svalutazioni dello yen.

Pochi sanno che questo immenso paese, ai tempi della dinastia dei Ming (1500) era straordinariamente prospero. Mentre vantava il 20 per cento della popolazione mondiale, produceva circa la metà della ricchezza della terra. È normale quindi che, a differenza dell'India, tutta proiettata verso la modernizzazione all'occidentale, guardi anche indietro alla sua egemonia di mezzo millennio fa, venuta meno con la scoperta dei nuovi mondi da parte degli imperi occidentali. Questi ultimi accrebbero la loro ricchezza e potenza con lo sfruttamento e lo sterminio dei popoli nativi, oscurando lo splendore cinese. Non di meno, ancora nel 1800, la Cina produceva un quarto della ricchezza mondiale. La guerra dell'oppio e la successiva colonizzazione innestarono una decadenza che si è protratta fino al recente passato.

Riconquistata l'indipendenza con la rivoluzione del 1949 guidata da Mao Zedong, il paese era precipitato nella miseria più nera. Anche gli errori e gli insuccessi della politica del “grande balzo” e della rivoluzione culturale accentuarono le difficoltà, tanto che nel 1975, alla morte di Mao, il Pil cinese non superava il 4% di quello mondiale, mentre la popolazione si attestava intorno al miliardo di persone. Tuttavia, secondo l'economista marxista egiziano Samir Amin, in quel periodo si costruirono le premesse per il successivo, effettivo balzo, che si manifestò in maniera eclatante a partire dal 1978, dopo le riforme di Deng Xiaoping, ed è proseguito fino a oggi, facendo guadagnare a questo paese la posizione di seconda potenza economica mondiale in termini di Pil e la prima in termini di produzione manifatturiera e di scambi con l’estero. Non è quindi errata la definizione di Krugman che rappresenta questo immenso paese come la più grande fabbrica del mondo.

Negli ultimi 30 anni l’economia è cresciuta alla media del 10% annuo, moltiplicando per 15-20 volte il livello assoluto del reddito. In tal modo, un paese tra i più poveri del pianeta è tornato a essere una potenza economica mondiale.

Durante la recente crisi ha registrato solo un rallentamento della crescita, dal 14% del 2007 al 9% del 2009. Secondo il Fmi continuerà a crescere nei prossimi anni, sia pure a ritmi più contenuti, ma sempre molto superiori a quelli delle maggiori economie occidentali. Quest'anno il tasso di crescita è stimato al 7% circa. In termini di PIL pro capite, invece, ancora nel 2012, la Cina si classificava al novantesimo posto al mondo. L’industrializzazione è stata inizialmente avviata anche attraverso l’apertura di zone economiche speciali in cui erano consentiti investimenti stranieri [1].

La Cina ha recentemente guadagnato il primo posto tra i paesi in via di sviluppo per il flusso di investimenti diretti esteri (IDE) in entrata. Nel 2000 essi ammontavano a 40,7 miliardi di dollari e nel 2013 a 125mila. Essi non sono serviti solo a creare posti di lavoro, ma anche a immettere tecnologie.

Tuttavia, se nel 1994 gli IDE incidevano per il 17 per cento sul totale degli investimenti fissi, nel 2010 tale incidenza è scesa al di sotto del 4%, mentre si assiste a un consistente fenomeno opposto: grazie alle forti eccedenze nei conti con l’estero, gli investimenti diretti di capitali cinesi in altri paesi, che nel secolo scorso erano insignificanti, nel 2005 erano di poco superiori a 10 miliardi e nel 2011 hanno raggiunto la cifra di 72,7 miliardi. Tra essi prevalgono nettamente quelli delle imprese di stato nel terzo mondo, rivolti a procurarsi risorse naturali ed energetiche.

Sarebbe fuorviante rappresentare il dinamismo cinese privo di contraddizioni. Notevoli, per esempio, sono le ripercussioni di carattere ecologico di una industrializzazione così rapida. Ancora più importanti sono quelle di carattere sociale che hanno generato conflitti anche aspri, non sempre tenuti facilmente sotto controllo. Lo stabilimento cinese della taiwaniana Foxcomm, che rifornisce le maggiori società occidentali di prodotti informatici, quali la Apple, è noto per i suicidi provocati dalle pessime condizioni di lavoro dei suoi lavoratori, che sono circa di un milione e mezzo. Alcune rivolte operaie hanno determinato chiusure temporanee della fabbrica ed è stato necessario l'impiego di ingenti forze antisommossa per sedare la rivolta. Numerosi altri esempi potrebbero essere citati. Si tratta per ora di ribellioni scarsamente organizzate e carenti di progettualità politica. Ma forse è proprio questa nuova classe operaia che può riaprire le prospettive di un'alternativa al capitalismo e alle dottrine liberiste che fanno da padrone in Occidente.

Anche grazie a simili importanti conflitti sociali, sono stati considerevoli i miglioramenti dei salari, delle tutele del lavoro e dell’ambiente, per cui vale sempre meno la storia della convenienza a produrre in Cina per via del basso costo della manodopera e degli scarsi vincoli. Invece la competitività si basa in parte sul fatto che, contrariamente al senso comune, la produzione industriale è di alta qualità e rilevanti sono gli sforzi di innovazione, con sostenuti investimenti nei settori dell'energia, delle auto ibride, delle biotecnologie e delle tecnologie informatiche, tanto da consentire a questa nazione di competere anche su questo terreno con le maggiori potenze industriali, pur rimanendo importanti le lavorazioni ad alta componente di manodopera (labour intensive) che permettono di mantenere basso il livello della disoccupazione.

Notevole è stato anche lo sforzo di sfornare tecnici di qualità: nel decennio 2003-2012 sono quadruplicati i laureati, mentre raddoppiava il numero di college e atenei universitari. In crescita sono anche anche gli studenti che vanno all'estero, spesso con borse di studio. Per esempio nelle università americane, in 5 anni è triplicato il numero di studenti cinesi, sfiorando la quota 200mila. Anche il settore dei servizi è in grande sviluppo e il valore del suo prodotto è di poco inferiore a quello industriale.

Nonostante lo spostamento ingente di attività verso industria e servizi, l'esodo dalle campagne è stato governato e diluito nel tempo al fine di prevenire un’eccedenza di manodopera. Lo si è fatto anche attraverso strumenti amministrativi discutibili, quali i permessi per spostarsi dalle aree di origine, che hanno generato un esercito di clandestini esposti a un feroce super sfruttamento. Mentre la popolazione urbana è cresciuta dal 18 per cento al 50 circa, gli addetti in agricoltura sfiorano ancora il 30 per cento del totale, una quota paragonabile a quella dell'industria, nonostante che la produzione agricola sia ridotta a meno di un decimo del Pil complessivo. Il tributo da pagare a una minore produttività nell'agricoltura ha consentito di mantenere invariato il tasso di disoccupazione, che costantemente si aggira intorno al 4%.

Il numero di persone che soffrivano di una carenza di alimentazione, si avvicinava nel 1978 a un terzo della popolazione; quelle che vivevano con meno di un dollaro al giorno oltrepassava i due terzi. Oggi si aggira intorno al 10 per cento (15 per cento secondo l'ONU) il che significa che mezzo miliardo di persone sono uscite dalla povertà, anche se vi rimangono ancora centinaia di milioni. Rispetto all'India il tasso di povertà è circa la metà. A questo risultato ha contribuito non solo la spettacolare crescita del Pil ma anche specifici programmi governativi.

Il prodigioso sviluppo è però avvenuto accentuando la polarizzazione nella distribuzione dei redditi e facendo emergere una significativa presenza di grandi ricchi. Tant'è vero che l'indice Gini è pari a 0,508, di poco superiore alla media dei Brics ma eccedente oltre il 30 per cento la media dei G7.

Sussistono anche notevoli disparità su base territoriale. Le aree speciali e quelle costiere sono le più prospere. Il nord-est presenta invece uno sviluppo molto più lento (il tasso di crescita è tra i più lenti della nazione). L'area dell'ex Manciuria, che fu oggetto di una forte industrializzazione nei primi decenni post rivoluzione, con la sua industria pesante e mineraria, è rimasta invece relativamente arretrata da quando il modello di sviluppo si è orientato verso l'industria leggera, hi-tec e i servizi.

La Cina ha la potenzialità di costituire per i Brics un importante mercato di sbocco. Tuttavia, nel 2008, poco più del 7% delle importazioni cinesi proveniva dagli altri Brics, mentre oltre il 31% proveniva dai G7 e il 61 dal resto del mondo. Dopo 5 anni, nel 2013, è cresciuta di solo un punto percentuale la quota degli altri Brics, mentre è aumentata notevolmente la quota dei G7, a scapito del resto del mondo (si vedano i grafici), il che non testimonierebbe a favore di un'alternativa dei Brics alle grandi potenze economiche. Un discorso non molto diverso potrebbe essere fatto sulle esportazioni e sugli IDE, ma lo rimandiamo ai prossimi articoli.

Da notare che il budget militare è più che triplicato in 10 anni e più che sestuplicato in 20 anni, crescendo addirittura in misura superiore al Pil, pur rimanendo appena il doppio di quello italiano e un sesto di quello statunitense. Questo trend costituisce una evidente risposta alla crescente aggressività della politica USA e si pone l'obiettivo di raggiungere la capacità di effettuare “contro-attacchi di autodifesa” nello scacchiere che vede un'ingente presenza di forze armate americane. Lo sforzo si estende alle tecnologie spaziali, cibernetiche e informatiche.

Sembra che il recente accordo sul nucleare tra i membri permanenti del Consiglio di sicurezza ONU e l'Iran potrà avere ricadute positive in Cina che ha attivato importanti collaborazioni militari con la Repubblica islamica. Anche sul piano strettamente economico, l'accordo ha un grande rilievo per lo sviluppo delle infrastrutture strategiche della Cina – le vie della Seta terrestre e marittima – che vedranno nell'Iran uno snodo fondamentale. La Cina, inoltre, è è uno dei principali importatori del greggio iraniano. Il suo sviluppo industriale infatti l'ha resa fortemente dipendente dalle importazioni di greggio, che superano le quantità estratte nel suo suolo e che sono destinate a crescere. La dipendenza dalle importazioni energetiche è un suo elemento di debolezza in quanto aree a forte instabilità politica, alimentata ad arte dagli USA, la separano dai paesi fornitori, spesso anch'essi teatro di guerre. L'importanza del greggio iraniano non è sfuggita al presidente dello Eurasia Group, Ian Bremmer, secondo cui le riserve petrolifere della Repubblica Islamica “bastano per rifornire la Cina per più di quaranta anni”. (segue)

 

Note

[1] Su questo argomento si rimanda all'articolo di Rita Bedon su questo giornale, La Cina e i Bricis, 13 agosto 2015, http://www.lacittafutura.it/mondo/asia/la-cina-e-i-brics.html

Riferimenti:

Oltre ai riferimenti indicati nei precedenti articoli, segnaliamo: il sito delle statistiche ufficiali del governo cinese http://www.stats.gov.cn/english/Statisticaldata/AnnualData/ a cura dell'ICE di Shanghai, Profilo economico della Cina , maggio 2010.

Per le lotte di classe, segnaliamo http://www.cercareancora.it/?p=976 e http://ilmegafonoquotidiano.it/news/dossier-cina-una-nuova-lotta-di-classe

21/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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