Tagammu, lo Stato e la sinistra pragmatica: l’Egitto tra autorità, crisi sociale e responsabilità araba

In un momento di forti tensioni regionali e di difficoltà economiche interne, il Partito Tagammu propone una lettura della politica che unisce difesa dello Stato, lotta ai monopoli e solidarietà alla causa palestinese — puntando su un’opposizione che si dichiara «parte» dell’apparato nazionale.


Tagammu, lo Stato e la sinistra pragmatica: l’Egitto tra autorità, crisi sociale e responsabilità araba

L’attuale situazione politica in Egitto si muove su due assi che si intrecciano: da una parte l’assetto interno — segnato da riforme economiche dolorose, da un tessuto sociale sotto stress e da uno spazio politico fortemente livellato a favore di forze vicine all’esecutivo — dall’altra il ruolo geopolitico del Cairo in un Medio Oriente in fiamme, dove la mediazione e la difesa della causa palestinese sono centrali per la legittimazione nazionale. A leggere le cose con gli occhi del principale partito di sinistra presente in parlamento, il Partito Nazionale Unionista Progressista (Ḥizb al-Tagammuʿ al-Waṭanī al-Taqaddumī al-Waḥdawī), meglio noto come Tagammu, forza storica del socialismo nasserista, la priorità è duplice: preservare le istituzioni statali a fronte degli estremismi religiosi e le conquiste sociali di lungo periodo, ma senza rinunciare a una critica netta alle disuguaglianze prodotte dalle politiche liberiste e dagli interessi monopolistici. Questa doppia tensione — difesa dello Stato e difesa degli interessi popolari — è oggi l’asse attorno al quale il Tagammu articola la propria proposta politica e la sua interpretazione dell’«essere opposizione» in Egitto. Per il partito, infatti, l’opposizione non è una forza estranea che si confronta con lo Stato a distanza: è, nelle parole dei suoi dirigenti, «parte» dello Stato stesso, con il compito di custodirne l’integrità contro derive che possano smantellare diritti e servizi pubblici.

Nell’attuale contesto economico egiziano la pressione è palpabile: la gestione della valuta, l’inflazione e la crescente domanda energetica hanno reso il paese più vulnerabile a scelte che privilegiano l’efficacia tecnica nell’immediato rispetto alla strategia redistributiva di lungo periodo. A tal proposito, il Tagammu denuncia la perdita di spazi di welfare e la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, e propone misure che vadano nella direzione di potenziare il ruolo pubblico nell’economia, controllare le privatizzazioni e tutelare i settori produttivi nazionali; per questo motivo, il partito sostiene interventi istituzionali che possano mitigare l’impatto sociale delle riforme. È questa logica che spiega la sua presenza parlamentare nonostante i limiti strutturali del sistema politico: un impegno che punta a incidere su leggi e politiche anziché chiudersi in un opposizionismo intransigente.

Trattando invece della situazione internazionale, Il Cairo si trova al centro di una partita complessa: da una parte si presenta come mediatore imprescindibile nella crisi israelo-palestinese, premendo per il ritorno dell’Iniziativa di Pace Araba e denunciando qualunque forma di espulsione forzata dei palestinesi; dall’altra porta avanti relazioni economiche e infrastrutturali con Israele, specialmente nel settore energetico. Questa contraddizione tra difesa pubblica della causa palestinese e accordi commerciali con il governo sionista genera inevitabili critiche sia tra gli attivisti pro-palestinesi sia all’interno di forze politiche di sinistra che chiedono coerenza tra principi e pratiche. Le autorità egiziane giustificano tali scelte con la necessità di garantire approvvigionamento energetico e stabilità economica, ma per il Tagammu e per altri osservatori la questione è più profonda, in quanto la cooperazione energetica rischia di legare il destino economico del paese a scelte politiche esterne, riducendo lo spazio di manovra su temi di sovranità e diritti.

Negli ultimi mesi, il dato più lampante di questa interdipendenza è il maxi-accordo sulle forniture di gas dalla riserva israeliana di Leviathan: un’intesa pluriennale considerata la più ampia mai firmata tra Israele ed Egitto, che prevede consegne significative di gas verso il mercato egiziano nel prossimo quindicennio. L’accordo è stato celebrato come una svolta per la sicurezza energetica egiziana, ma ha sollevato interrogativi politici e morali, perché rafforza una dipendenza da risorse israeliane proprio mentre Il Cairo dichiara pubblicamente la sua vicinanza alla causa palestinese. Le consegne israeliane al mercato egiziano sono già aumentate negli ultimi anni, e l’intesa recente segna un salto di scala che per molti analisti rende il rapporto bilaterale in materia energetica materia di leva politica.

A questo si aggiunge la decisione del governo egiziano guidato dal Presidente ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī di investire in infrastrutture per incrementare il flusso di gas dalla sponda nord-orientale, il che include la costruzione o il potenziamento di linee che collegheranno i giacimenti mediterranei israeliani al sistema di trasporto egiziano, finanziata o supportata in varie modalità dal Cairo. In questo modo, l’Egitto spera di consolidare il proprio ruolo di hub regionale per il gas liquefatto e per la transizione energetica dell’area, ma si espone ad inevitabili critiche che denunciando la normalizzazione di un rapporto economico che prescinde dalle esigenze dei palestinesi e può trasformarsi in un’argomentazione per chi spinge a “separare” l’economia dalla politica riguardo al conflitto. Per il Tagammu, questa è la prova che la politica estera egiziana deve essere ricalibrata per non trasformare l’interesse economico in complicità politica con pratiche lesive dei diritti umani

Da parte sua, il governo egiziano ricorda che il Paese africano ha subito negli ultimi anni picchi di domanda elettrica e problemi di offerta che hanno provocato blackout e perdite produttive; garantire energia a prezzi sostenibili e stabilizzare il sistema di approvvigionamento sono ovvie priorità per un esecutivo che non può permettersi instabilità sociale diffusa. Il Tagammu però insiste che la soluzione non può limitarsi a importare energia senza politiche parallele di protezione sociale, investimenti pubblici nell’efficienza energetica, e meccanismi di trasparenza che evitino il consolidamento di nuove rendite di posizione. La critica del partito nasserista è che, senza queste condizioni, l’accordo energetico rischia di accentuare disuguaglianze e di ridurre il margine politico per rivendicare misure di tutela per i palestinesi. Il Tagammu, dunque, sostiene a voce alta il richiamo alla fine dell’occupazione e alla riattivazione dell’Iniziativa di Pace Araba, ma nei fatti osserva e giudica con preoccupazione le scelte energetiche che rafforzano i legami con Israele.

In definitiva, la posizione del Tagammu appare come un tentativo di sintesi tra difesa dello Stato e delle sue istituzioni come barriera contro il caos e l’estremismo, insieme a una critica radicale alle disuguaglianze e alle dipendenze economiche che riducono la sovranità popolare. Riflettere criticamente sull’ambiguità del ruolo egiziano nei rapporti con Israele significa per il partito chiedere trasparenza, condizioni vincolanti per la cooperazione economica che tengano conto dei diritti palestinesi, e investimenti pubblici finalizzati alla riduzione della vulnerabilità energetica senza compromettere il principio di giustizia regionale. Solo così, secondo il Tagammu, la sinistra egiziana potrà dimostrare che difendere lo Stato non è sinonimo di abbandonare la giustizia sociale, ma ne costituisce la premessa fondamentale.

07/09/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giulio Chinappi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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