Per i militanti comunisti in Italia, l’era di grandi coalizioni governative, nazionali o locali, comprendenti socialdemocrazia ed ecologisti, oltre ad essere definitivamente conclusa, é foriera di ricordi non certo cari. Non é questa la situazione ovunque in Europa e, a quanto pare, men che meno in Germania, la quale, forte del suo dominio sull’Eurozona, ammette ancora soluzioni di governo che ricordano la mai compianta Unione italiana. É il caso scaturito dalle elezioni di Berlino dello scorso Settembre. Berlino é una entitá federale a sé, forte anche dei suoi 4 milioni di abitanti in una regione, il Brandeburgo, altrimenti decisamente depopolata. Queste elezioni hanno fatto scaturire un equilibrio che ricorda in maniera sostanziale l’espressione governativa che regge da quasi due anni la Turingia, ovvero un governo federale a guida SPD-Linke-Verdi. Le differenze sono sostanziali tuttavia, sia circa i ruoli all’interno della coalizione che la rilevanza che un tale esperimento puó giocare a livello nazionale. Innanzitutto non si tratta di un governo a guida Linke come nel caso del gabinetto Ramelow; rimane infatti al comando il Borgomastro Michael Mueller, successore di Klaus Vowereit storico leader cittadino della SPD durante gli anni che hanno visto Berlino trasformarsi a partire dai primi anni del ventunesimo secolo. Tuttavia, questo esperimento di coalizione di centro-sinistra potrebbe rivelarsi piú influente per determinare gli equilibri del parlamento dopo le elezioni del prossimo Settembre.
Sono recenti infatti le dichiarazioni di Sigmar Gabriel, quasi decennale leader dei socialdemocratici, al quotidiano Bild, dove dichiara di voler scendere in campo contro la cancelliera in chiave apertametne anti-austeritá [Mentre veniva ultimato l’articolo, Gabriel ha annunciato la concessione della candidatura dell’SPD a Martin Schulz. Potrebbe essere giá finito il tempo di una leadership SPD critica dell’austerity anche solo a parole]. É legittimo immaginare si tratti di una mera mossa elettorale giocata d’anticipo, visto anche il ruolo determinante dei socialdemocratici di supporto alla linea finanziara targata Merkel-Schauble e il ruolo non ancora definito che avrá l’ormai ex-presidente del parlamento europeo Martin Schulz. Tuttavia é palpabile nell’elettorato di sinistra l’insofferenza verso una politica di subalternitá verso i cristianodemocratici che persevera, con qualche breve interruzione, dall’ascesa di Angela Merkel al governo. Una possibilitá di governo nazionale SPD-Verdi-Linke é stata avversata duramente, specialmente da parte degli elettori socialdemocratici nei Laender occidentali, rimarcando la presunta continuitá della Linke con l’apparato di governo della DDR, e contando sul fatto che i Verdi hanno tenuto atteggiamenti elettorali e governativi spesso ambigui, caratterizzati da collaborazioni con le destre in determinate regioni.
Questa non é nemmeno la prima volta che la Linke si affaccia allo scranno governativo berlinese: il secondo e il terzo Senato Vowereit (2002-2011) vedevano infatti la partecipazione dell’allora PDS (Partito del Socialismo Democratico), nato direttamente sulle ceneri della SED nel 1990, e della Linke successivamente, con anche la presenza di personaggi di spicco della politica nazionale quali Gregor Gysi - da sempre fautore di una collaborazione a livello nazionale con l’SPD – per un certo periodo. Nel 2011 la situazione peró muta, a causa di una flessione elettorale sia dell’SPD che della Linke, di tutto sommato modesta entitá ma capace di far perdere ai due partiti la maggioranza. La crescita dei Verdi, la sparizione dell’FDP, ma soprattutto l’arrivo del Partito dei Pirati che, con un mirabolante 8,9% insidiava la Linke e rendeva impossibile il formarsi di una compagine governativa classica – almeno per Berlino. Il quarto gabinetto Vowereit, e il primo gabinetto Muller a seguito delle dimissioni di Vowereit nel 2014 – a causa delle contestazioni riguardo la gestione dell’areoporto di Berlin-Brandenburg e riguardo politiche volte a favorire il fenomeno di gentrificazione in atto in diversi quartieri orientali – si trovava di fronte alla necessitá di aderire alla formula governativa nazionale. Una grosse Koalition con la CDU, qualcosa di impensabile solo fino a qualche anno prima, data la scarsa affezione della capitale tedesca verso il partito conservatore.
Tuttavia il 2016 non é certo il 2011, e la situazione politica e geopolitica che vede la Germania al suo fulcro si é riflettuta nelle elezioni di Settembre a cui possiamo ora dare uno sguardo per una breve analisi.
Il primo elemento che é da notare immediatamente é il tracollo dei due partiti di governo nazionale. I socialdemocratici passano dal 28,3% al 21,6% (-6,7%), e la CDU si trova ad arretrare di 5,7 punti percentuali, assestandosi come seconda forza al 17,6%.
La Linke incalza a breve distanza al 15,6%, forte di un incremento elettorale del 3,9%. É necessario qui ricordare come la Linke avesse vissuto due tornate elettorali deludenti a Berlino sia nel 2006 che nel 2011. Nel 2006 il tracollo del PDS (-9,2%) rifletteva la subalternitá verso la SPD al governo locale, mentre l’ulteriore flessione nel 2011 si poteva imputare alla crescita dei Piraten, i quali a livello nazionale saccheggiavano a piene mani il bacino elettorale della Linke nel biennio 2011-2012 (i sondaggi nazionali vedevano la Linke fuori dal Bundestag a favore proprio dei Pirati).
Flessione di modesta entitá anche per i Verdi, che perdono il 2,4%, fermandosi al 15,2 di percentuale tornando ad essere quarta forza cittadina dopo un lungo periodo di dominio a sinistra dell’SPD sulla Linke, anche a causa del maggiore accreditamento degli ecologisti nel bacino elettorale dei quartieri occidentali. Sul fronte della destra democristiana vi é da rilevare l’entrata fragorosa dei post-nazisti di AfD [1] al 14,2% e il ritorno sullo scenario cittadino dei liberali dell’FDP, i quali raccolgono voti sia dai socialdemocratici che dalla CDU per tornare ad essere rappresentati al senato di Berlino, intercettando il 6,7% delle preferenze. Scompaiono i Piraten che scendono all’1,7%. Da notare la discreta affermazione del partito farsa DIE PARTEI, al 2%, nato da un comico con il dichiarato intento di ridicolizzare la politica tedesca.
Il voto ripartito nei singoli quartieri disegna sostanzialmente il quadro che regna quasi immutato dalla riunificazione della capitale ad oggi. La cittá é di fatto divisa fortemente in due, con percentuali per i singoli partiti delineati lungo la divisione degli anni della Guerra Fredda. La Linke continua a dominare a Est, fatta eccezione per il quartiere di Mitte, zona governativa storicamente indirizzata verso la SPD, e viene insidiata solo a Marzahn, storico quartiere operaio dell’est con la piú bassa percentuale di immigrazione in tutta la cittá, dall’AfD che la supera dello 0,1% sui voti di lista ma non sui voti di preferenza, e a Pankow dall’SPD dove invece perde sui voti di preferenza (scarto dell’1,7%). La SPD domina a ovest, lasciando alla CDU solo i quartieri residenziali di Zehlendorf e Reinickendorf. Vittoria dei Verdi nel loro feudo di Kreuzberg-Friederichshain, quartiere fusione tra est e ovest, fulcro della contro-cultura giovanile fiorita dopo gli anni 90.
Questi sommovimenti elettorali, il tracollo dei partiti al governo, e l’arrivo in grandi numeri dell’AfD non devono essere considerati risultati inaspettati; il ruolo della Germania all’interno dell’Unione Europea é stato ridimensionato dal 2011 ad oggi, non ancora nei fatti ma nelle considerazioni e nelle opinioni dell’elettorato, non solo tedesco. Inoltre la difficile gestione dell’emergenza migratoria e la completa inefficacia da parte dell’SPD di proporre una qualunque azione o politica di governo veramente alternativa ai conservatori ha creato una situazione dove ben cinque partiti sono al di sopra del 10%, una eventualitá che si potrebbe presto ripercuotere a livello nazionale.
Questo risultato rende dunque la realizzazione di una coalizione a guida SPD ma con dentro i Verdi e la Linke molto piú influente dal punto di vista nazionale che qualunque altro tipo di esperimento giá compiuto nei Laender orientali, come il caso della Turingia insegna, dove dopo due anni l’azione di Ramelow é stata oltremodo contenuta per evitare che la fragile maggioranza finisse causa ritiro supporto dei socialdemocratici. Berlino oltretutto ha cambiato profilo nazionale, passando da una lunga fase post-riunificazione di sviluppo a rilento della cittá, considerata di livello decisamente inferiore rispetto ai centri industriali ed economici della nazione come Francoforte o Monaco, ad una fase dove il suo ruolo come capitale della Repubblica Federale é indiscusso, attraendo investimenti a livello nazionale, anche a scapito della realtá sociale e autoctona della cittá. In questa direzione l’opportunitá politica per la Linke consiste nell’ottenere quel tipo di considerazione e accreditamento nazionale la cui mancanza ha sempre impedito 1) di sfondare a Ovest e 2) di essere considerata come partner governativo concreto.
Questa congiuntura si registra immediatamente nelle parole del Borgomastro Mueller: “tutti e tre i partiti [vincitori, n.d. A.] hanno giustamente voglia di governare”. I partiti hanno regolarmente interpellato i propri iscritti cittadini riguardo l’intenzione di formare un governo rosso-rosso-verde: nella Linke hanno preso parte i due terzi degli iscritti, conseguendo un parere favorevole dall’89,3%. Risultati analoghi per quanto riguarda i Verdi, solo due voti contrari tra gli iscritti del partito in diretta competizione con la Linke nei quartieri a Ovest e nel quartiere “misto” di Kreuzberg-Friederichshain. Sorprendente forse il risultato tra gli iscritti SPD, 90% di voti favorevoli nonostante la politica di delegittimazione della Linke portata avanti nei quartieri occidentali. Appare evidente come la tattica della coalizione coi cristianodemocratici sia sempre meno ben vista anche dagli stessi elettori socialdemocratici.
Il governo dunque vede il Senat Muller II cosí composto: 4 Senatori all’SPD, 3 alla Linke e 3 ai Verdi. Gli assessorati destinati alla Linke sono per Klaus Lederer, capo cittadino della Linke e papabile tra i futuri dirigenti nazionali del partito, Cultura e Europa, per Elke Breitenbach Integrazione, Lavoro e Politiche Sociali, e per Katrin Lompscher, storico riferimento cittadino della Linke, ex-assessore dal 2006 al 2011, le politiche di abitazione e sviluppo urbano.
Tuttavia non é tutto oro ció che luccica; in connessione alle prevedibili opposizioni a un governo della capitale con codesta composizione da parte della stampa tedesca (notoriamente conservatrice a livello nazionale), sono giá iniziati i primi problemi riguardo la composizione degli assessorati targati Die Linke. Nella seconda parte verranno analizzati il programma di governo comune presentato e le prime sfide del nascente governo Berlinese.
Note
[1] La terminologia post-nazista é dovuta al fatto che una parte considerevole di politici nelle fila dell’AfD vanta ascendenza diretta da politici, aristocratici e militari del periodo nazista, con buona condivisione di un certo numero di politiche del regime.