Riflessioni comparative sulla pandemia

Cosa ricaviamo se compariamo la nostra situazione sanitaria a quella degli altri paesi?


Riflessioni comparative sulla pandemia

Due terzi dei morti a causa del Covid-19 nel mondo (ad oggi 19 marzo 2021 2.680.469) sono latinoamericani e si concentrano in Messico e in Brasile, in cui non è stata applicata la quarantena obbligatoria e che per tasso di mortalità si colloca dopo gli Stati Uniti e prima della Colombia. Il Brasile ha registrato sino ad oggi quasi 12 milioni casi e 287.000 decessi, mentre la superpotenza ha avuto quasi trenta milioni di casi e 539.000 morti e avrebbe somministrato la prima dose di vaccino a 121 milioni di persone. L’Europa con circa 42 milioni casi e 920.508 morti mostra che siamo ancora lontani dalla soluzione del problema pandemia. In questa drammatica classifica l’Italia batte gli altri paesi europei con 103.001 morti con solo 2.337.00 di individui completamente vaccinati. Persino la Russia, con 141 milioni di abitanti, si colloca dopo di noi. È bene ricordare, tuttavia, che i dati sono sempre discutibili e che molti specialisti si sono chiesti se i deceduti in questo periodo di pandemia sono morti a causa del Sars Cov 2 o semplicemente erano a esso positivi e sono deceduti per altre ragioni.

Come si vede, cifre spaventose se confrontate con quelle dei paesi asiatici che hanno reagito con maggiore rapidità e competenza alla diffusione della pandemia. Per esempio, la Cina ha registrato fino a oggi 101.505 casi con 4.839 decessi e ha vaccinato circa 65 milioni di persone, essendosi dotata di 4 vaccini, l’ultimo dei quali è stato sviluppato dall'Istituto di microbiologia dell’Accademia cinese delle Scienze. Si chiama Cho Cells ed è basato sulla subunità proteica ricombinante; studi clinici ne hanno dimostrato la sicurezza e l’immunogenicità, inoltre non provocherebbe gravi reazioni avverse. Si prevede che entro luglio vaccinerà il 40% della popolazione.

Analogamente la Corea del Sud, che ha un’organizzazione politica diversa da quella cinese, rispetto all’Italia ha affrontato con successo il propagarsi del Sars Cov 2, basandosi come il suo potente vicino sui tamponi di massa e sul tracciamento dei contatti, cosa che da noi non si è stati in grado di fare, per varie ragioni, tra cui il grande ritardo nell’applicazione delle misure adeguate; ritardo che ha prodotto un grande numero di contagi, che probabilmente per carenze tecnologiche e per la distruzione del sistema sanitario territoriale non si sono potuti tenere sotto controllo. 

Sostanzialmente i paesi occidentali non sono stati pronti a imporre l’isolamento dei casi (come avviene a Singapore), la quarantena separata per i contagiati (come in Vietnam) o l’adozione di misure di tracciamento digitali per identificare le persone (come in Corea del Sud). 

Fatto sta che, se facciamo una comparazione Italia / Corea del Sud (60,4 / 51, 3 milioni di abitanti) risulta che al 12 gennaio 2021 nel nostro paese ci erano già stati circa 80.000 morti, mentre nel paese asiatico solo 1358. Sono questi dati elaborati da docenti dell’Università di Firenze, i quali ritengono che la migliore performance della Corea del Sud sia dovuta a questi fattori: 1) Il paese asiatico aveva già combattuto altre pandemie e quindi è di fatto più preparato; 2) Ha adottato un approccio preventivo e non reattivo come l’Europa e l’Italia; 3) la sua popolazione è più giovane rispetto a quella italiana; 4) È tra le più istruite al mondo e ha maggiore fiducia nelle istituzioni pubbliche; 5) oltre alle misure di distanziamento fisico, ha inoltre prontamente creato modalità innovative per testare i casi sospetti di Covid-19. In particolare sono stati creati (prima che arrivassero in Italia) dei centri di drive-through per effettuare i tamponi per Covid-19 ai soggetti direttamente nelle loro macchine, in modo da testare rapidamente e inviare una risposta via email/sms nelle 24 ore successive. Cosa fattibile in Corea dove è disponibile una linea Internet tra le più veloci al mondo.

Credo, dunque, si possa affermare che, dopo che i paesi “democratici” hanno introdotto misure altamente limitanti dei diritti civili, il successo asiatico nella lotta contro la pandemia non può essere attribuito al loro carattere “autoritario”, ma alla maggiore competenza, rapidità e capacità tecnologica di controllo. Se così stanno le cose la quarantena è stata adottata perché qui si presenta come l’unico strumento disponibile a contenere la diffusione del virus e la sua ricaduta è stato il peggioramento della crisi economica.

D’altra parte questa differenza tra paesi orientali e paesi occidentali è stata messa ben evidenza in varie occasioni dall’esperto in pandemie Ernesto Burgio, di cui cito il seguente articolo, su cui poi tornerò.

In America Latina e negli Stati Uniti sono state prese misure di sostegno al reddito della popolazione (si tenga conto che nella prima ma anche negli Stati Uniti è presente un numero consistente di lavoratori informali che non si possono permettere il lusso di restare a casa quindi di rispettare la quarantena), ma il sussidio elargito è stato in grande misura inconsistente. Per esempio, in Argentina si sono pagati nel 2020 10.000 pesos (Ingreso Familiar de Emergencia) ogni 2 mesi, quando il minimo per vivere ammonta a 40.000 pesos mensili. Aggiungo che l’attuale governo non prevede la sua estensione per il 2021, nonostante l’aumento della povertà (un bambino su due è povero). L’incremento della povertà si osserva in tutta l’America Latina per la non disponibilità di risorse, generalmente richieste sotto forma di prestiti al Fmi, per la dipendenza economica dai grandi centri imperialisti. In definitiva, pertanto, l’impiego delle risorse per affrontare la pandemia è limitato dalla volontà dei governi latinoamericani di continuare a pagare gli interessi dei prestiti ormai inesigibili ottenuti dagli investitori internazionali, in primis il solito Fmi.

Ricordo che l’America Latina è un continente caratterizzato da forti differenze economico-sociali e dalla presenza di milioni di individui poveri e afflitti dalla povertà estrema, molti non hanno nemmeno accesso all’acqua potabile. Il Brasile si colloca tra i paesi con il più alto indice di concentrazione della ricchezza e quindi con le più marcate disuguaglianze. In questi giorni si sta verificando un crollo storico del suo servizio sanitario poiché le unità di terapia intensiva negli ospedali si esauriscono, come risulta da quanto diffuso dal principale istituto sanitario brasiliano, Fiocruz. Per esempio, nello stato del Rio Grande do Sul non ci sono letti disponibili per la terapia intensiva. Questo è il risultato della politica negazionista di Jair Bolsonaro, che recentemente ha invitato i suoi compatrioti a smettere di lamentarsi per il Covid-19. L’atteggiamento del presidente brasiliano, appartenente al settore conservatore evangelico, verso la pandemia, i rischi di questa da lui ignorati, la precedenza data alle ragioni dell’economia rispetto a quelle sanitarie, hanno provocato un vero genocidio degli strati più vulnerabili della popolazione.  Irresponsabilmente si è rifiutato di applicare misure restrittive come la quarantena, di rispettare le linee guida dell’Oms e di importare respiratori e dispositivi di protezione individuale.  La Corte Suprema ha dovuto delegare questa responsabilità a governatori e sindaci, che però si sono trovati in conflitto con il presidente. Anche la vaccinazione sta procedendo in maniera lenta (solo il 4,6% della popolazione ha ricevuto una sola dose). Attualmente il governo sta distribuendo Oxford-AstraZeneca e CoronaVac sviluppati in Cina, e ha ordinato i vaccini Pfizer-BioNTech, Johnson & Johnson e il russo Sputnik V. 

Per completare il quadro bisogna tenere conto del fatto che, in seguito alla pandemia, l’America Latina e il Caribe hanno subito una contrazione economica del 7,4% secondo dati del Fmi. E si prevede che il 2021 non sarà migliore, essendo possibili altre ondate del virus e lo sviluppo di nuove varianti, oltre al fatto che purtroppo i vaccini saranno disponibili in maniera massiccia solo nel secondo semestre del 2021. Inoltre, ci vorranno mesi se non anni per somministrarli a tutta la popolazione della regione. 

Partendo dalle conclusioni dello studio Respuestas al covid-19 en cinco países de Latinoamérica, possiamo affermare che le pandemie debbono essere affrontate con una visione globale, tenendo conto di questi aspetti diversi: strategie sanitarie e di contenimento, comunicazione dei dati sul contagio e sulle misure economiche, rivolte in particolare ai lavoratori informali perché più contagiabili. Inoltre, è fondamentale disporre di una strategia sistematica di tamponi e individuazione dei casi all’inizio della diffusione del virus, per contenerne la propagazione ed evitare di bloccare a lungo le attività economiche. 

Inoltre, affinché le misure di contenimento prese abbiano successo, si devono distribuire sostegni a coloro che non hanno un reddito stabile (gli informali appunto), in modo da far sì che restino in casa e possano vivere dignitosamente, evitando di contagiarsi e di contagiare gli altri.

Da un articolo pubblicato su “Resumen latinoamericano” ricavo che al 15 marzo 2021 il Venezuela contava circa 144.000 contagiati (21 casi ogni mille abitanti), dei quali sono deceduti 1.400 (133 ogni milione di abitanti). Questi dati indicano, dunque, che la situazione nella repubblica bolivariana non è così drammatica come quella dei già menzionati Brasile e Colombia. Il governo ha reagito rapidamente imponendo la quarantena e non si verificato, come molti aspettavano, il collasso del sistema sanitario che, nonostante le carenze dovute anche alle sanzioni imposte, ha potuto curare il 98% degli ammalati

L’Organizzazione Panamericana della Salute ha avvertito che il 2021 potrebbe essere anche peggiore, benché nel secondo semestre di questo anno potrebbero arrivare i due milioni di dosi garantite dalla Covax, un organismo che si fonda sulla collaborazione internazionale per sostenere i paesi più poveri colpiti dalla pandemia. Tuttavia, si capisce bene che due milioni di dosi costituiscono poca cosa di fronte ai milioni in contagiati nel subcontinente latinoamericano e rispetto ai suoi abitanti (circa 600 milioni).

Esaminiamo ora brevemente la situazione europea. La diffusione della pandemia e l’imposizione delle misure per combatterla hanno trasformato completamente la vita dei cittadini europei: in molti casi le scuole e le università sono state chiuse, negando così il diritto all’educazione dei bambini e dei giovani e impedendo loro di intessere con i loro simili relazioni sociali. Sembra che circa l’8% della popolazione mondiale lavori oggi nel cosiddetto smart working che implica una diminuzione del salario, la perdita di benefici (per es. i buoni pasto), il pagamento degli strumenti lavorativi (computer) prima forniti dal datore di lavoro

Quanto all’Europa, l’Unione Europea fornirà ai paesi in difficoltà una serie di fondi in forma di prestiti agevolati e a fondo perduto, che però secondo calcoli di alcuni economisti sono poca cosa rispetto al crollo della produzione e ai costi per affrontare la pandemia.

Inoltre, sembra che nell’Occidente capitalistico ci aspetti un profondo processo di ristrutturazione economica che farà scomparire le piccole e medie industrie e darà il via a una forte concentrazione della ricchezza; almeno queste sono le linee di politica economica indicate per il futuro dal G30, che raccoglie banchieri, economisti, accademici. Anche se non tutti sono consapevoli di quello che ci aspetta nel futuro (incremento delle povertà, disoccupazione, ulteriori privatizzazioni), i cittadini europei sono scoraggiati e comprendono che hanno dinanzi a loro un peggioramento delle loro condizioni di vita. In questa prospettiva, non saranno i paesi poveri a raggiungere i nostri livelli di benessere e di sviluppo – come si è sempre auspicato –, ma saremo noi, perdendo molte delle nostre conquiste, a collocarci al loro livello.

27/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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