La botta
Domenica 4 settembre, ore 18.00. È il momento dei risultati, e tutta la famiglia – riunitasi per l’evento – piena di speranza tace, e trattiene il fiato davanti alla tv. Ma la suspense dura poco. Le illusioni si infrangono quasi subito contro i freddi numeri: dopo appena un’ora appare chiaro che il Rechazo, il No alla Nuova Costituzione, vincerà. E non per uno stretto margine, come i sondaggi annunciavano, bensì per un netto e rotondo 62 a 38.
Si dice che in fin di vita uno veda scorrere davanti a sé tutta la propria esistenza, come se fosse un film. Allo stesso modo, di fronte alla morte di questo sogno politico, in pochi secondi ho rivissuto tutto attraverso i ricordi: le proteste studentesche che hanno acceso la miccia, le manifestazioni giornaliere, le centinaia e centinaia di vittime di violazioni dei diritti umani durante le proteste, le voci di un “colpo di mano” dei militari, l’accordo parlamentare per “istituzionalizzare la rivolta”, la frenata e i morti dovuti alla pandemia, la festa dell’Apruebo, il gran trionfo alle elezioni dell’Assemblea Costituente, la sconfitta alle primarie, la risicata vittoria alle presidenziali, le campagne, i discorsi, i Cabildos, i volantinaggi.
Tutto per arrivare qui, oggi. Tutto inutile.
Mi scuso con il lettore per aver riportato la mia esperienza personale, soggettiva, di quel momento. Se l’ho fatto, è nella assoluta convinzione che sia stata esattamente la stessa per migliaia e migliaia di altre persone, di altre famiglie riunite, di altri cervelli immersi nei ricordi e in lutto per il sogno infranto.
Ma com’è possibile che dopo tante lotte, dopo tante elezioni vinte, quasi due cileni su tre abbiano scelto di bocciare la proposta di Nuova Costituzione, per rimanere con l’attuale carta, iperliberista, quella dei tempi della dittatura di Pinochet?
Le spiegazioni, come succede in genere di fronte a fenomeni misteriosi, si sprecano. Inizierò da quelle che vanno per la maggiore, nonostante molte di esse mi convincano poco, per poi fornirvi quella che io stesso ho elaborato – e a essere sincero già da qualche mese, dato che considero la sconfitta un duro colpo ma niente affatto inaspettata.
La spiegazione piddina
Quella che circola di più, purtroppo anche a sinistra, è una diagnosi tanto intrisa di risentimento quanto controproducente e – lasciatemelo dire – francamente a tratti rivoltante: la colpa è del popolo. Ignorante, individualista, ingrato, stupido, egoista. Che non fa i propri interessi. La capisco, la giustifico, per carità: anche per questo ho esordito in maniera che vi possiate mettere nei nostri panni, quelli di chi subisce un duro colpo, di chi si risveglia, in modo traumatico, da un bel sogno. Non dico neanche che non ci sia del vero: il paese che mi ha adottato gestisce l’istruzione come un business e non come un diritto, vent’anni di dittatura e cinquanta di liberismo sfrenato non possono non aver lasciato il segno. Ma, sfogo a parte, che senso ha? A mio giudizio, nessuno. È anzi profondamente contraddittorio inneggiare alla democrazia per poi vomitare astio sulle masse che “votano male”, ergersi a difensori dei diritti altrui per poi attaccare paternalisticamente proprio quegli strati sociali che si pretende difendere. Personalmente credo che, oltre a essere ingiusto, sia anche la miglior ricetta per una futura, e ancor più sonora, sconfitta. Non si può certo pretendere di far diventare milioni di persone improvvisamente colte, o economisti, o esperti di diritto costituzionale! Molto più utile, invece, fare autocritica per non essere riusciti a convincere, spiegare, entusiasmare. Uno dei ruoli più importanti dei partiti dovrebbe giustamente essere quello di fare da “intermediari” tra la volontà popolare e le difficoltà tecniche di scrittura di una legge, o di un provvedimento.
La spiegazione draghiana
Molti altri hanno criticato la qualità dei membri dell’Assemblea costituente. A essere sinceri non sono mancati personaggi o episodi discutibili. Rojas Vade, per esempio, dimessosi per essere stato scoperto a fingere di essere malato di cancro dopo aver raccolto consenso, empatia, e anche fondi. O ancora la Tía Pikachu, eletta solo perché diventata famosa dopo aver partecipato a molte manifestazioni vestita da Pokemon. Fino ad arrivare a Nicolas Nuñez, celebre per aver votato da sotto la doccia. Ma, in fondo, anche questa diagnosi finisce col colpevolizzare i votanti dato che sono stati pur sempre eletti, per cui valgono le obiezioni di cui sopra. Ci sarebbe, casomai, da riflettere su come i germi dell’antipartitismo, dell’attacco allo Stato, siano riusciti a infiltrare già le prime manifestazioni e successivamente la Convención Constitucional; e su quanto l’antipolitica abbia le gambe corte, per la necessità di trasformarsi, prima o poi, in politica. L’alternativa, però, non può essere una commissione di “esperti” non eletti – ipotesi purtroppo sul tavolo per una futura iniziativa costituente (se mai ci sarà).
La spiegazione berlusconiana
La peggior propaganda della destra ha insinuato insistentemente che il testo fosse troppo “comunista”, che “dividesse il paese”, che si fosse “esagerato”. A furia di sentirsi ripetere una cosa, soprattutto dopo una bella batosta, quasi quasi ci si crede. Su questa ipotesi sarei veramente tentato di stendere un velo pietoso, se non fosse che è stata riportata anche da molti media italiani che hanno “raccontato” del referendum. Vi dirò, allora, che rispetto ai temi veramente rilevanti – cioè quelli economici - si tratta di un testo molto moderato e tutto sommato in linea con i nostri standard liberisti; in esso si garantiscono – tra le altre cose – l’indipendenza della Banca Centrale e la “libertà di scelta” su sanità, istruzione e previdenza. Ma anche se effettivamente fosse così, quale sarebbe stata l’alternativa? “Mitigare”, “reprimere” i rappresentanti scelti dalla volontà popolare passata, per proteggersi dalla volontà popolare futura? Alla fine, si ritorna sempre al punto di partenza: la legittimità del processo (se la si accetta) rende pretestuose le critiche al testo perché elaborato da eletti a loro volta selezionati da votanti coi metodi della “democrazia liberale” i quali – piacciano o meno, e a me no – sono le regole del gioco a cui si è scelto di giocare.
La spiegazione pentastellata
In molti, praticamente tutti noi dell’Apruebo, abbiamo denunciato le mille menzogne della propaganda della destra, la campagna del terrore, la sproporzione nei finanziamenti. Abbiamo passato ore e ore per strada, durante i volantinaggi, a spiegare che non si sarebbero espropriate tutte le case (sic) né i fondi di pensione, che era falso che l’aborto sarebbe stato permesso fino ai 9 mesi (!), che uno stato plurinazionale non significava dividere il paese né avere più presidenti, che non ci saremmo improvvisamente trovati – da un giorno all’altro – in Argentina o in Venezuela (un evergreen, anche qui).
È oggettivo: avevamo tutti contro, la fake new si diffondevano a macchia d’olio, i finanziamenti al nemico erano di dieci volte tanto rispetto ai nostri. In Cile, il complotto è spesso una realtà. Impossibile che tutto ciò non sia stato determinante nel risultato, ma c’è da chiedersi, allora, perché non lo sia stato anche nelle elezioni precedenti dove sono stati usati esattamente gli stessi metodi. È evidente che, questa volta, c’è stata una qualche debolezza nel nostro fronte che ha permesso loro di fare breccia e spaventare la popolazione molto di più che in altre occasioni.
La spiegazione renziana (la mia spiegazione)
Ed eccoci infine alla mia, personale, spiegazione. O quantomeno, quella che mi convince di più tra le tante formulate. Ma prima, una premessa – abusando ancora un po’ della vostra pazienza, di cui vi ringrazio se siete riusciti ad arrivare fin qui. Tutto il processo è influenzato da un evidente vizio di forma, che denunciai fin dai tempi dell’Acuerdo Constitucional: la costituzione attuale, quella di Pinochet, è stata instaurata con la forza mediante un processo di ratificazione illegale, avvenuto in dittatura e sotto enormi pressioni. Per avere una Nuova Costituzione decente, sarebbe stato invece necessario vincere ben tre elezioni: il primo referendum, la scelta dei costituenti con quorum dei due terzi, e poi quest’ultima. Esistono poi le distorsioni tipiche delle democrazie borghesi, o “democrazie liberali” che dir si voglia, che – a differenza di quanto avviene col metodo leninista del centralismo democratico – sono pesantemente influenzate da finanziamenti, mezzi di comunicazione, dal fatto che i votanti hanno scarsissimo controllo sui propri rappresentanti. Ma, come si è detto in precedenza, è un gioco a cui si è scelto di giocare, ben sapendo quanto la strada fosse in salita, e quanto la partita truccata.
Esattamente come in Italia, qui in Cile viviamo in un momento di profonda crisi economica: prezzi del gas alle stelle, enorme perdita di potere d’acquisto dei salari, già di per sé miseri. La Banca Centrale ha alzato i tassi fino ad arrivare al 9.75%; tutto ciò in un paese (l’unico al mondo) in cui i crediti bancari, le assicurazioni sanitarie, e molte altre spese sono espressi in una “moneta parallela” (denominata Unidad de Fomento, o UF) che si aggiusta in base all’inflazione – praticamente una scala mobile al contrario. Tutto ciò ha determinato una corsa agli affitti, i cui prezzi sono saliti alle stelle, una riduzione importante dei consumi di prima necessità, un incremento spropositato della delinquenza – alimentata dalla enorme disuguaglianza, che anche prima non scherzava – ma anche una “austerità energetica” di fatto che spesso costringe molte famiglie a scegliere se cucinare o farsi la doccia.
Ebbene, in un momento del genere il governo – anche a causa di una fin troppo larga maggioranza figlia di elezioni parlamentari non vinte, unita ad una voglia di apparire “moderati” – ha ben pensato di nominare all’economia l’allora presidente della Banca Centrale, il quale ha preferito mantenere i “bilanci in ordine” piuttosto che elargire sostanziali aiuti alle famiglie, ai lavoratori o alle piccole imprese. Si è passati da un aumento del sussidio familiare di 6.410 pesos (circa 6 euro), all’aumento del salario minimo a 400.000 pesos (lordi), al bonus di 120.000 pesos. Aumenti largamente insufficienti e compensati, tra l’altro, da un aumento della pressione fiscale – anche se solo sulle fasce più alte.
Non è molto peregrina, pertanto, l’ipotesi che ci sia stato un importante voto di protesta nei confronti del Presidente (sponsor numero uno dell’Acuerdo prima e dell’Apruebo poi) e, in generale, del governo. Un po’ com’era successo a Renzi nel famoso referendum. Tra l’altro, per una curiosa coincidenza, una delle riforme più discusse del testo bocciato domenica era l’abolizione del Senato, sostituito da una “Camera delle Regioni”. Vi ricorda qualcosa? Considerate, tra l’altro, che per questa elezione – a differenza delle altre – il voto era obbligatorio (pena multa salata) per cui l’affluenza ha sfiorato il 90% (in genere in Cile raggiunge appena il 50-60%). Ciò ha senz’altro influito perché un voto “costretto” tende in genere a sfociare nella protesta o nella paura del cambio (su cui magari non si è sufficientemente informati). Per ironia della sorte, il voto obbligatorio in Cile è sempre stata una delle richieste storiche della sinistra, evidentemente convinta che esso li avrebbe avvantaggiati.
Il futuro
Le prospettive non sono affatto rosee. Il progetto costituzionale, nelle intenzioni del presidente, verrà rilanciato. Ma questa volta avrà bisogno di un accordo di “ampio respiro”, in condizioni negoziali niente affatto semplici: il parlamento è spaccato a metà (e il quorum necessario è di due terzi), il cambio sponsorizzato dal governo ha appena perso clamorosamente, e il testo da cui si parte – la Costituzione attuale – fa comodissimo alla destra, che magari ne cambierebbe solo la data e la copertina per darle una ripulita da precedenti storici che non fanno proprio onore al Cile.
Martedì il governo ha effettuato un rimpasto in senso centrista, riducendo la presenza del Partito Comunista nella squadra dei ministri: un pessimo segnale, perché confondere governo e processo costituzionale è stato uno dei germi della sconfitta; e la mossa non fa altro che approfondire questo errore. Noi comunisti manterremo comunque ferme le nostre posizioni, cercando di influire il più possibile per venire in soccorso alle classi più disagiate, per continuare a proporre un modello alternativo al disastro liberista, senza commettere errori dettati dalla rabbia o dal narcisismo (se no si fa una brutta fine, l’esperienza italiana lo insegna). Consci del fatto che la nostra azione politica non si riduce al parlamento e al governo, anzi: la presenza sul territorio è il nostro punto di forza.
Una timida speranza la danno gli studenti delle superiori: fin da lunedì, hanno iniziato a manifestare in tutta Santiago a favore di una Nuova Costituzione dei diritti. Saltando i tornelli della metro, lo stesso gesto che ispirò la rivolta di ottobre del 2019, in molte stazioni della capitale.
Del resto, gli studenti sono il futuro: se veramente bisogna ricominciare tutto da capo, mi sembra giusto ripartire da loro.