I mass-media sono oggi in grado di far svanire la chiara distinzione fra realtà e finzione, con tutti i rischi di manipolazione dell’opinione pubblica che ciò comporta. La messa in scena degli eventi bellici è filtrata dalla sensibilità del regista: le luci, i costumi, la costruzione, la recitazione, il montaggio e la colonna sonora verranno combinati tra loro per trasferire al pubblico le intenzione del produttore. In altri termini, tutto l’armamentario della messa in scena mediatica, i fatti filtrati e reinterpretati secondo gli interessi del produttore consentono di condizionare pesantemente il giudizio del pubblico sugli eventi bellici. I testi e le immagini relative alla guerra veicolate dai mass-media tendono a consolidarsi in generi, a utilizzare convenzioni narrative specifiche e metafore ricorrenti. Basti considerare la straordinaria quantità di eufemismi coniati per giustificare la guerra imperialista condotta dai paesi occidentali o dai loro alleati. Al contrario “l'operazione speciale” portata avanti dai russi non sarebbe altro che un grossolano tentativo di occultare e mistificare la tragica realtà dei fatti, cioè una inaccettabile aggressione militare la quale, se non contrastata con ogni mezzo, rischierebbe di fare carta straccia del diritto internazionale. Questo costante utilizzo di due pesi e due misure nella “narrazione” di una guerra, dimostra come proprio l’opinione pubblica delle democrazie occidentali – presunte campioni dei mass-media liberi e indipendenti – rischiano continuamente, in realtà, di ritrovarsi in balia di chi intende costantemente manipolarla.
Con tale armamentario di luoghi comuni, di cliché, pregiudizi, frasi fatte e metafore i media sono in grado di controllare le griglie concettuali entro cui l’opinione pubblica colloca le informazioni di cui viene in possesso, prestrutturando il senso comune. Molto spesso quando i fatti non si adattano a queste griglie, a questi schemi, sono questi ultimi a prevalere, mentre i fatti vengono ignorati.
Dal momento che il termine guerra evoca immagini di morte e potrebbe indispettire l’opinione pubblica, quando l’esercito dei paesi imperialisti o dei loro alleati è impegnato in “missioni” armate all’estero i mass-media occidentali preferiscono adoperare dei veri e propri eufemismi, come le operazioni di polizia internazionale, le missioni umanitarie, le azioni di forza necessarie a portare la pace o, al massimo, se si parla di azione militare quest’ultima sarebbe sempre opera legittima di una sedicente comunità internazionale, volta a contrastare il terrorismo, la pulizia etnica, il nuovo Hitler etc. Allo stesso modo, i bombardamenti dei paesi imperialisti occidentali e dei loro alleati diventano chirurgici e le bombe sarebbero naturalmente intelligenti. L’eufemismo si esprimere anche quando si ciancia di regime change al posto di colpo di Stato pilotato e diretto dall’estero o per nascondere e giustificare un'invasione militare, allo stesso modo la presunta difesa o attacco preventivo sostituiscono l’aggressione a un paese che non ha mai invaso o non ha mai minacciato di attaccare realmente il paese imperialista o il suo, generalmente impresentabile, alleato [1]. In tal modo è possibile un capovolgimento della realtà nella percezione dell’opinione pubblica: l’aggressore diviene chi è costretto a difendersi attraverso una “guerra preventiva”, mentre chi pretende di condurre una guerra umanitaria ricorre alla tortura o al bombardamento dei civili [2]. Danni collaterali è l’eufemismo comunemente usato nei paesi della Nato per occultare le vittime civili innocenti prodotte dalle proprie aggressioni militari, per mistificare, attutendolo, l’impatto dell’azione violenta, giustificandola in ogni caso con la presunta mancanza di intenzionalità.
Ricapitolando le guerre imperialiste vengono mistificate dai mass-media dei paesi che si ergono a paladini in tutto il mondo della libertà di stampa con aggettivi atti a edulcorare la tragica realtà della guerra di aggressione, spacciandola come umanitaria, per la pace, etica, preventiva, indispensabile per esportare la democrazia. Persino l’imperialismo, se occidentale naturalmente, si trasmuta in “imperialismo dei diritti umani” (Ignatieff), o – addirittura – in “imperialismo benevolo” (Kaldor). In tal modo quelle che sono a tutti gli effetti aggressioni imperialiste sono propagandate dai principali media occidentali, sempre spacciati come fonti autorevoli, mediante slogan quali enduring freedom, peacekeeping, giustizia infinita, lotta globale al terrorismo, ai regimi totalitari etc. L’aggressione imperialista, se occidentale, viene ammantata dagli organi d’informazione del mondo libero con scopi elevati, attraverso i nomignoli vezzeggiativi che le sono di volta in volta affibbiati, secondo una macabra litania che negli ultimi anni è stata intonata più volte dalle guerre di aggressione contro l’Iraq, contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, ancora l’Iraq, la Libia etc.
Al contrario, nel momento in cui si tratta di contrastare l’intervento militare russo in Ucraina – avvenuto per impedire di avere la Nato e, in un prossimo futuro, armi nucleari ai propri confini – l’operazione speciale di cui parla Putin è denunciata come una menzogna di guerra, dal momento che celerebbe l’aggressione “imperialista” di una potenza totalitaria a uno Stato “democratico”. Anche i bombardamenti – per quanto in tutta la prima fase della guerra decisamente più “chirurgici” rispetto agli standard dell’Alleanza atlantica – diventano nell’informazione main stream occidentale indiscriminati crimini di guerra, mentre le bombe, lungi dall’essere descritte come “intelligenti”, diverrebbero la prova che sarebbero in atto crimini contro l’umanità.
Dunque, sebbene gli eufemismi risultano la figura retorica maggiormente utilizzata dalle voci ufficiali dei governi e degli eserciti ed è assolutamente notevole la quantità di eufemismi che vengono adoperati riguardo la guerra – spesso inventati o comunque entrati nel lessico corrente non a caso dalla fine della guerra fredda – essi vengono denunciati come tali dai “mezzi di informazione” dei paesi “liberi” e “democratici” solo quando se ne servono i propri avversari. Qualora si denunciassero come eufemistiche le giustificazioni addotte dalla Nato per le sue continue guerre di aggressione e rapina, per quanto si tratti di ossimori sempre più macabri, si viene immediatamente additati e condannati al pubblico ludibrio, come anti americani, o complottisti, quando non come fiancheggiatori dei terroristi o sostenitori del dispotismo. Allo stesso modo il concetto di imperialismo, bollato come ideologico residuo di un tempo passato destinato a non più ritornare, quando si tratta di aggressioni militari perpetrate dalle potenze occidentali o dai loro alleati, torna a essere un concetto legittimo e adeguato per denunciare l’invasione russa dell’Ucraina.
Andando verso le conclusioni, possiamo dire che la mediatizzazione delle guerre imperialiste ne favorisce la decontestualizzazione, separandole dalla catena di cause ed effetti storici che le rende perspicue; l’altra faccia della messa in scena è ciò che è posto fuori scena. Clamoroso il caso della guerra in Ucraina, in cui la certamente condannabile invasione russa viene costantemente isolata e decontestualizzata dalla continua espansione della Nato e delle sue armi di distruzione di massa a est fino ai confini della Russia, dopo aver inglobato tutti i suoi ex alleati europei e diverse ex Repubbliche socialiste sovietiche. Come viene decontestualizzata dalla controrivoluzione colorata, promossa e supervisionata dall’imperialismo occidentale, per rovesciare con la violenza e l’inganno un governo legittimamente eletto che voleva mantenersi equidistante fra le potenze occidentali e la Russia. Allo stesso modo, si occulta la conseguente persecuzione delle popolazioni russofone, come d’altra parte era regolarmente avvenuto negli altri paesi dell’ex Unione sovietica che sono stati inglobati dalla Nato, in totale spregio delle solenni promesse fatte a Gorbaciov, intento ingenuamente a disarmare unilateralmente i paesi del blocco sovietico, per impedire la guerra nucleare costantemente minacciata dagli Stati uniti. Sono tutti eventi storici – per limitarci soltanto a quelli più immediatamente connessi con l’attuale guerra – che debbono necessariamente venire omessi per occultare la provocazione o, meglio, la vera e propria trappola tesagli dall’imperialismo occidentale in cui è stolidamente caduto il regime capitalista e anticomunista russo, assumendo il nefasto ruolo dell’aggressore. Si tratta di presupposti indispensabile a comprendere l’attuale contesto bellico, che sono stati nascosti dai canali d’informazione “libera” e “autorevoli” dei paesi imperialisti per poter anestetizzare l’opinione pubblica con la narrazione della sempiterna barbarie asiatica russa che, da sempre, minaccerebbe la libertà e le democrazie occidentali, che tutto il mondo ci invidierebbe.
Dal momento che comprendere significa prendere assieme, considerare un evento nel suo contesto, nelle odierne guerre esperite e apparentemente “vissute” [3] attraverso i mass-media del “mondo libero e democratico” cresce la convinzione da parte di un'opinione pubblica sempre più manipolata di osservare la “realtà”, ma non la capacità di una reale comprensione del significato necessariamente storico dei tragici eventi che stiamo, nostro malgrado, vivendo o, meglio, patendo. La guerra in diretta trasmessa in esclusiva sui media occidentali, o dai loro alleati sceicchi mediorientali, dà certo l’impressione di presentare oggettivamente la realtà e, in ciò, è prepotente, carismatica e, al tempo stesso, seduce, trasporta con una dolce azione di lifting in un limbo metafisico bellissimo, un filtro narcotizzante che porta l’ignaro spettatore a condividere una rappresentazione sempre più omologata e omologante degli eventi [4].
Note:
[1] Emblematico, a tal proposito, è stato il principale capovolgimento della verità su cui è stata imperniata l’intera aggressione imperialistica all’Iraq: quello secondo il quale l’aggressore si stava difendendo, attraverso una guerra preventiva, dall’aggredito. Su questo vero e proprio scambio delle parti, i veri aggressori hanno puntato gran parte delle loro carte. Tale dinamica viene costantemente sfruttata, con la copertura dei mezzi di comunicazione di massa “liberi” e “indipendenti” occidentali, dagli occupanti sionisti per giustificare le loro ripetute aggressioni contro il popolo occupato e oppresso palestinese, dal momento che quest’ultimo non potrebbe fare altro che aspirare alla propria liberazione. La lotta per quest’ultima, per poter esprimersi, ha bisogno di portare avanti uno scontro asimmetrico, come quello di Davide nei confronti di Golia, che è derubricato a mero terrorismo dai sionisti e dai loro solerti sostenitori occidentali.
[2] Si arriva così al paradosso per cui l’aggredito è accusato, in modo menzognero, di possedere armi di distruzione di massa da chi ne è il principale possessore e “spacciatore” a livello mondiale. D’altra parte, a dispetto di tutte le novità che muterebbero il carattere e le motivazioni della guerra, che noi ci ostineremmo a definire imperialista, resta però invariato il ricorso alla tortura e il bombardamento delle popolazioni civili, che mettono in discussione la retorica della guerra per la libertà e la dignità umana da parte dei mezzi di “informazione” di massa del “mondo libero”.
[3] Esemplare, a tal proposito, resta la famosa sequenza dell’abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad, divenuta una delle icone della guerra in Iraq; le inquadrature mandate in onda sulle tv internazionali e pubblicate sui giornali erano così ravvicinate da non mostrare che la piazza era praticamente deserta e che la “folla festante” si riduceva a poche centinaia di iracheni. Ed ecco il gioco è fatto: mutilazione della verità e propaganda di guerra sono tutt’uno.
[4] Tanto i mezzi di comunicazione di massa ci promettono di “vedere tutto”, quanto in realtà essi non ci mostrano nulla, se non, come esemplarmente nella prima Guerra del Golfo, uno schermo verde attraversato dalle scie luminose del fuoco contraereo.