Dopo l'esecuzione dell'Imam Nimr al Nimr da parte di Ryad divampa il conflitto tra sciiti e sunniti in tutto il Medio Oriente. Ma dietro i motivi religiosi, politici ed ideologici c'è anche il peso imponente di interessi economici: il ritorno della produzione petrolifera di Teheran sul mercato grazie all'accordo sul nucleare indebolirà la rendita delle monarchie sunnite del Golfo e potrebbe colpire la loro egemonia militare nell'area.
di Stefano Paterna
Sale la tensione tra le due sponde del Golfo Persico. Brucia l'ambasciata saudita a Teheran, masse imponenti di sciiti protestano contro la casa regnante dei Saud. Prosegue insomma la lunga guerra civile nel cuore dell'Islam. Ma una lettura ideologico-religiosa di questo conflitto, o anche solo politica, porta a non percepire gli elementi strutturali, fondanti dell'antagonismo tra Iran e monarchia saudita.
È vero che per certi versi l'Arabia Saudita sta all'Iran un po' come l'Impero degli Asburgo alla Francia della Grande Rivoluzione. Come l'Austria-Ungheria era spaventata dall'irruzione sulla scena della storia europea delle masse popolari di città e campagne che mettevano in discussione privilegi secolari, così la casa regnante dei Saud trema da trentasei anni dinanzi alla rivoluzione iraniana e a una sua possibile esportazione nella penisola arabica.
Così oggi la tensione esplode nel nome dell'imam sciita Nimr al Nimr, 56 anni, ucciso insieme ad altre 46 persone con accusa di “terrorismo”, ormai facilmente attribuibile a tutte le latitudini del pianeta
Ma i depositi nei quali si accumulano le ragioni dei conflitti attuali e purtroppo futuri hanno altri nomi e indirizzi. Risiedono sopratutto nei numeri: l'Arabia Saudita è il primo produttore di petrolio al mondo con più di 4 milioni di barili nel 2011, mentre la Repubblica Islamica dell'Iran era nello stesso anno il quarto con 1577 milioni. Dal 2012, a causa dell'embargo internazionale per la questione del nucleare, la produzione di Teheran si era dimezzata passando da 2,2 milioni di barili al giorno a 1,2. La quota mancante è stata compensata, guarda il caso, da tre monarchie del Golfo: l'Arabia Saudita appunto, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait. Grazie all'accordo internazionale siglato a Vienna e che ha peraltro avvicinato (per ora) Teheran a Washington, tutto questo surplus di produzione è in discussione a partire da quest'anno con la progressiva riduzione (tuttavia reversibile) delle sanzioni alla Repubblica Islamica.
La monarchia dei Saud conta su una popolazione di poco più di 31 milioni di abitanti (nel 2006 questi includevano oltre 6 milioni di immigrati che lavorano in condizioni a dir poco difficili) contro i quasi 80 milioni di cittadini della Repubblica Islamica dell'Iran: inoltre Ryad annovera nella sua parte orientale, sulle coste del Golfo Persico e proprio dinanzi all'Iran (tra le zone più ricche di petrolio del paese) una minoranza sciita di circa 2 milioni e mezzo di persone che lì costituisce una maggioranza ostile alla monarchia saudita, date le condizioni di marcata ineguaglianza che deve subire. Questa popolazione aveva come suo leader appunto l'imam Nimr e vede nell'Iran il proprio punto di riferimento internazionale.
È pertanto evidente che la classe dominante saudita percepisca gli immediati pericoli insiti nei nuovi rapporti di forza economici, demografici e politici tra il suo stato e quello iraniano. La sua capacità di mantenere il controllo politico del paese e la sua egemonia su tutta la penisola arabica, passa da un lato attraverso un costoso sistema di welfare garantito dalla attuale rendita petrolifera e dall'altro dalla propria capacità di riarmo e intervento militare. Nel 2013, ad esempio, per sussidi, posti di lavoro statali e programmi abitativi sono stati spesi ben 130 miliardi di dollari, mentre nello stesso anno l'Arabia Saudita è diventata anche il quarto paese al mondo per spese militari secondo l'IISS, International Institute for Strategic Studies, con ben 60 miliardi di dollari investiti nel settore.
Il confronto è pertanto globale su uno scenario che va dal Libano (dove prosegue nel frattempo il conflitto tra Hezbollah e Israele), passando per la Siria, fino all'Iraq e allo Yemen, probabilmente influenzando anche le vicende afghane e pakistane. Le conseguenze sono immense: per quanto riguarda Siria ed Iraq, ad esempio, è possibile che il nuovo confronto tra Iran e sauditi dia di nuovo fiato all'Isis. La recente riconquista di Ramadi da parte dell'esercito iracheno era stata possibile anche grazie all'impiego di combattenti sunniti, ma la nuova polarizzazione potrebbe di nuovo far scattare la trappola delle appartenenze religiose ed etniche, a cui per ora sembra sfuggire solo la rivoluzione curda del nord della Siria in Rojava.
Nel frattempo è ripartito l'intervento militare saudita nello Yemen contro i ribelli Houti di fede sciita. È quindi naturale che l'amministrazione Obama sia subito intervenuta per mediare e che da questo conflitto possa ricavare per l'ennesima volta la possibilità di giocare un ruolo politico, economico e militare nell'area.
Una grande mobilitazione per la pace e contro un intervento imperialista in quella parte del mondo è urgente: la manifestazione prevista per il 16 gennaio a Roma è quindi più che mai opportuna e vitale.
Note
- Sull'esecuzione dell'Imam Nimr al Nimr: http://www.internazionale.it/notizie/2016/01/03/nimr-al-nimr-arabia-saudita
- Sulle spese militari saudite: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-02-07/spese-militari-arabia-saudita-supera-inghilterra-testa-restano-usa-123456.shtml?uuid=ABpju4u
- Sulle conseguenze dell'accordo sul nucleare iraniano nel settore dell'estrazione petrolifera: http://www.internazionale.it/notizie/2015/07/15/iran-accordo-petrolio
- Sull'economia saudita: http://www.treccani.it/geopolitico/paesi/arabia-saudita.html