Per alcuni anni, il dibattito sulla tecnologia 5G ha tenuto banco da diversi punti di vista, alimentato sia da alcune teorie del complotto che da una chiara volontà politica da parte degli Stati Uniti di ostacolare l’avanzamento cinese in questo settore. Lasciando in disparte le più fantasiose teorie antiscientifiche, come quella che vedeva una connessione tra il 5G e la diffusione del Covid-19, dobbiamo invece sottolineare come la nuova tecnologia sia stata al centro di una vera e propria lotta geopolitca tra Washington e Pechino.
Il rapido avanzamento tecnologico delle aziende cinesi, Huawei in testa, ha messo con le spalle al muro i rivali occidentali, in particolare quelli nordamericani, che hanno capito troppo tardi di essere i perdenti della corsa al 5G. A quel punto, Washington non ha avuto altra scelta se non quella di passare all’arma politica, facendo pressione sui governi europei per escludere Huawei, società cooperativa più o meno direttamente controllata e finanziata dal governo di Pechino, con l’assurda scusa dello spionaggio.
Mentre in Cina, Corea del Sud ed altri Paesi asiatici il 5G è ormai una realtà consolidata, alla quale hanno accesso decine di milioni di utenti, la smania anticinese degli occidentali li ha lasciati decisamente indietro da questo punto di vista. La prima ad obbedire ai diktat statunitensi era stata, sin dal 2020, la Gran Bretagna, che sotto il governo di Boris Johnson ha estromesso Huawei dalla costruzione della rete 5G. Un vero e proprio suicidio economico per Londra, che ora si trova a dover smantellare le numerose infrastrutture già costruite dall’azienda cinese per un costo di oltre due miliardi di sterline, mentre la rete 5G britannica verrà completata con due o tre anni di ritardo rispetto a quanto inizialmente previsto.
Oltre al Regno Unito ed agli Stati Uniti, anche Australia e Nuova Zelanda hanno immediatamente deciso di escludere Huawei dalla corsa al 5G sui propri territori, mentre il Canada ha resistito fino al maggio 2022, quando il governo ha a sua volta emesso un provvedimento contro la società cinese. Ottenuta la fedeltà degli altri principali Paesi anglofoni, Washington ha tentato di convincere anche gli altri Paesi europei a fare altrettanto.
A parte la Polonia e la Repubblica Ceca, pochi Paesi dell’Europa continentale sembravano inizialmente intenzionati a seguire gli ordini della Casa Bianca. In Germania, la questione Huawei ha creato una spaccatura interna all’allora governo di Angela Merkel, con il ministro degli Esteri Heiko Maas che sembrava voler appoggiare la richiesta di Washington, mentre il ministro dell’Economia Peter Altmeier, conscio dei danni che tale scelta provocherebbe, si era immediatamente espresso contro l’esclusione dell’azienda cinese. La Deutsche Telekom aveva poco prima annunciato che la rete 5G tedesca è pronta ad essere ultimata con la collaborazione di Huawei ed Ericsson, affermando di conseguenza che un’improvvisa estromissione dei cinesi avrebbe rappresentato un danno ingente per Berlino, quantificabile in tre miliardi di euro e ben cinque anni di ritardi. La situazione era stata affrontata in un dossier interno alla Deutsche Telekom, nel quale eventualità veniva vista come un “armageddon”.
Questo fino a pochi giorni fa, quando sui media tedeschi è tornata di moda la questione del 5G Huawei, in seguito ad alcune indiscrezioni secondo le quali il governo socialdemocratico sarebbe pronto a bandire l’azienda cinese. Secondo quanto riferito, il governo tedesco sta pianificando di vietare agli operatori di telecomunicazioni di utilizzare alcuni componenti delle aziende cinesi Huawei e ZTE nelle sue reti 5G, si legge sulla testata Zeit. Se questo dovesse verificarsi, si tramuterebbe in una situazione drammatica per la Germania, ancor più di quella che veniva prospettata nel rapporto del 2020. Berlino, infatti, dovrebbe ricostruire la sua rete mobile, che potrebbe costare diversi miliardi di euro, in un momento non certo facile per l’economia tedesca.
A quanto pare, l’offensiva statunitense contro il 5G cinese non si è affatto fermata, in quanto l’eventuale cambio di rotta del governo tedesco non potrebbe che essere attribuito alle pressioni provenienti da Washington. Ancora una volta, però, i nordamericani sembrano arrivare in netto ritardo rispetto ai rivali asiatici: mentre gli USA pensano ancora ad ostacolare il 5G cinese, a Pechino si discute infatti di 6G.
Jin Zhuanglong, ministro dell'Industria e della Tecnologia della Repubblica Popolare, ha infatti dichiarato lo scorso 8 marzo che la Cina formulerà un piano di sviluppo del settore per promuovere la ricerca e l'innovazione delle tecnologie mobili 6G. Questo dimostra ancora una volta come la Cina sia all’avanguardia nel campo delle telecomunicazioni, mentre si registra un continuo arretramento degli Stati Uniti e dell’Europa. Ad oggi, del resto, la Cina conta 2.312 milioni di stazioni base 5G, pari al 60% dell’intero pianeta.
Secondo le previsioni del governo cinese, entro il 2040 il mercato globale del 6G raggiungerà i 340 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuo composto di oltre il 58% tra il 2030 e il 2040. La regione Asia-Pacifico, in particolare la Cina, dove si registra una maggiore attenzione alle comunicazioni satellitari e ai relativi miglioramenti tecnologici, guiderà la tendenza, con quasi la metà delle domande di brevetto 6G del mondo che provengono dalla Cina.