Hamas: tra Fratellanza e Resistenza

I recenti cambiamenti e prese di posizione all’interno del Movimento Islamico Palestinese ne evidenziano da una parte l’unitarietà dall’altra la contraddittorietà.


Hamas: tra Fratellanza e Resistenza Credits: https://en.wikipedia.org/wiki/Hamas

La formazione palestinese Hamas ha recentemente approvato un nuovo statuto, chiamato nuovo documento, in quanto non abroga quello precedente del 1988. Nel documento sono presenti alcune importanti novità, che recepiscono una serie di posizioni interne al movimento assunte da tempo, ma anche una sostanziale continuità di linea ideologica. Rimane il profondo legame con l'Islam, anche se assai meno pronunciato rispetto al precedente statuto, ricco di citazioni coraniche. Tuttavia emerge chiaramente una discontinuità, Hamas si concepisce come una forza nazionale, infatti nell'articolo 1 si definisce “un movimento Palestinese Islamico di resistenza e liberazione nazionale” con lo scopo “di liberare la Palestina e di opporsi al progetto Sionista” [1]. Il documento, secondo alcuni commentatori, è diretto proprio a smentire ogni collusione con forze straniere per ribadire il proprio carattere nazionale. Hamas infatti è stata accusata di aver come unico fine l’islamizzazione della Palestina, e di usare la lotta di liberazione nazionale in modo strumentale. Nel documento è, non a caso, sottolineata la natura di forza di liberazione nazionale del movimento, che è stata paragonato dal marxista etiope Mohamed Hassan, con le dovute diversità, all’Esercito Repubblicano Irlandese. Ciò è una grande discontinuità per un movimento nato sulle ceneri del nazionalismo arabo. Proprio questa formulazione sembra la chiave di volta di un movimento che si candida a diventare la forza egemone, di resistenza e di governo tra i palestinesi. Hamas riscopre la tattica e nel documento enuncia una chiara rivendicazione intermedia dei territori del 1967 e non più esclusivamente di quelli del 1947. Lo stato di Israele non è riconosciuto, ma accettato di fatto in via temporanea. Nell’articolo 20 è infatti scritto: “Hamas rifiuta ogni alternativa alla completa liberazione della Palestina, dal fiume [Giordano] al mare. Tuttavia, senza compromettere il proprio rifiuto dell’entità Sionista e senza rinunciare a nessun diritto dei Palestinesi, Hamas considera la fondazione di un uno Stato Palestinese completamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come sua capitale lungo i confini del 4 Giugno del 1967, con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati nelle proprie case dalle quali sono stati espulsi, una formula per il consenso nazionale”. Una evidente svolta pragmatica, di una forza che è sempre più di governo.

Il partito islamista governa la Striscia di Gaza dal 2007 e ha evidenti problemi amministrativi derivanti dai conflitti, oltre che con l’occupante sionista, con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), controllata dal partito Al-Fatah, e con l’Egitto. L’ANP ha ridotto del 30% gli stipendi ai dipendenti pubblici di Gaza, che lavorano per Hamas, e non ha pagato più i rifornimenti di energia della Striscia, con l’accusa al movimento islamico di usare le tasse riscosse a Gaza per sé stessa invece che per la popolazione. Hamas, dopo aver represso le manifestazioni di protesta per la penuria di elettricità, ha indetto delle mobilitazioni contro l’ANP, apostrofando Abu Mazen come un traditore, collaborazionista con l'occupante. Accusa che è presente anche nel nuovo documento dove si sostiene che “il Movimento rifiuta questi accordi [di Oslo] e tutto ciò che deriva da loro, come gli obblighi che sono dannosi agli interessi del nostro popolo, in particolare la coordinazione di sicurezza (collaborazione)”. Un riferimento evidente all’ANP, forza con cui Hamas è in competizione per il controllo dei territori palestinesi. Tuttavia un’altra competizione si sta sviluppando nella Striscia, quella tra Hamas, forza di governo, e i gruppi salafiti [2], forze di opposizione, che accusano il movimento islamico a sua volta di collaborazionismo con l’occupante e di non applicare la Sharia, sebbene Hamas abbia dato luogo ad una blanda islamizzazione della Striscia. Israele sostiene indirettamente i salafiti, attaccando le strutture di Hamas, che è ritenuta responsabile di ogni lancio di razzi effettuato da Gaza, anche se attuato dai salafiti. Un comportamento simile a quello tenuto durante l'ascesa di Hamas come forza di opposizione all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Infatti Israele vede di buon occhio l'affermarsi di gruppi estremisti con il duplice intento di dividere i palestinesi fra di loro e di giustificare le proprie azioni militari. Hamas ha cercato di recuperare ideologicamente i giovani sedotti dal radicalismo dei salafiti, ma in alcuni casi è dovuta intervenire militarmente per reprimere i gruppi più oltranzisti. Un’evidente contraddizione dell’essere allo stesso tempo forza di governo e di resistenza.

La Striscia di Gaza dipende energeticamente dall'estero, e particolarmente da Israele. Proprio la dipendenza dei palestinesi dall’occupante, da cui importano l’80% dell’energia, è un’altra arma fondamentale per impedire la formazione di uno stato autonomo palestinese mediante lo strangolamento dell'economia. Più cresce l'apparato produttivo e la popolazione palestinese più diventa forte questa dipendenza dall'occupante. I rifornimenti alternativi all'occupante passavano per il valico di Rafah e per i tunnel sotterranei gestiti dal movimento islamico, e in misura minore da altre formazioni, compresi i salafiti. Tuttavia con l’arrivo al potere del generale Al-Sisi nel 2013, il valico è stato più volte bloccato, e i tunnel sono stati distrutti anche mediante l’ausilio di una zona cuscinetto. Gli edifici di Rafah nel versante egiziano all’intero di questa zona sono stati distrutti o ne è stata prevista la distruzione, al fine di smantellare la rete di tunnel clandestini. L’Egitto infatti riconosce formalmente come legittima autorità palestinese solo l’ANP, e non il governo di Hamas su Gaza. Inoltre ritiene che attraverso questi tunnel siano smistate armi tra i gruppi armati operativi nella Striscia e quelli nel Sinai, attivi contro le proprie forze di sicurezza. La politica egiziana ha comportato oltre a una maggiore difficoltà a reperire armi, che passano per la rete di tunnel clandestini, nei periodi di crisi, anche, un forte aumento dei prezzi dei beni di consumo e dei materiali necessari per la ricostruzione di Gaza. Il militare egiziano si è imposto con un colpo di stato contro la Fratellanza Musulmana, con il sostegno dell'Arabia Saudita e dei gruppi salafiti locali. Hamas ha necessità di migliorare i rapporti con l’Egitto per non perdere credibilità a Gaza, e quindi in tutta la Palestina. Per questo il movimento islamico è stato costretto a prendere le distanze dalla Fratellanza Musulmana, nemica giurata del generale egiziano. Nel documento del 1988 infatti nell’articolo 2 era chiaramente scritto che Hamas “è una delle branche dei Fratelli Musulmani in Palestina”. Invece nel nuovo documento è stato tolto ogni esplicito riferimento alla Fratellanza Musulmana, sebbene il movimento rimanga una forza islamica e non abbia reciso del tutto i propri legami con questa organizzazione.

Sebbene il documento sia stato presentato da Khaled Meshaal, il responsabile dimissionario dell’ufficio politico e uomo vicino agli sponsor regionali della Fratellanza, è da notare un ricambio nei vertici politici della formazione islamista. Sono stati nominati, nel febbraio e a maggio, Yahya Sinwar leader di Gaza e Ismail Haniyeh alla giuda dell’ufficio politico del movimento. Il primo, liberato con lo scambio del militare Gilad Shalit, proviene dall’ala militare del movimento, e ha la fama di essere un uomo “tosto”, contrario ai compromessi, tanto che in galera si era espresso contro lo scambio di prigionieri con lo stato sionista mediante il quale è stato liberato. Inoltre è stato il cofondatore alla fine degli anni ’80 del Munazzamat al Jihad w’al-Dawa, il controspionaggio di Hamas che aveva il compito di cercare ed eliminare le spie e i collaborazionisti palestinesi dello stato di Israele. La sua nomina potrebbe essere un tentativo di ridare unità ad Hamas, dove non sono mancati i contrasti tra l’ala militare e quella politica, come nell’estate del 2014 quando Meshaal impedì a Mohammed Deif, il leader dal braccio armato del movimento, le Brigate Qassam, i piani di rappresaglia contro Israele. Sinwar è a tutti gli effetti il capo dell’ala militare, essendo le condizioni di salute di Deif assai precarie, e pertanto la sua elezione potrebbe essere un tentativo di conciliare le due anime del movimento. Quella politica e pragmatica, e quella militare e intransigente. Haniyeh, ex-governatore di Gaza, è un uomo pragmatico che, sebbene provenga dalla fazione politica del movimento, ha il pregio, non indifferente, di essere sempre vissuto con uno stile di vita frugale nei territori occupati e non in lussuosi alberghi all’estero. Per questo è molto popolare tra i Palestinesi. Hamas è infatti un movimento popolare, molto contraddittorio al proprio interno, a partire dalla composizione di classe che spazia dalla borghesia nazionalista al proletariato, ma con una visione economica di tipo capitalistico, anche se mitigata dall’intervento statale.

La dirigenza di Meshaal durante la crisi siriana, forte degli appoggi internazionali della Fratellanza (tra cui il governo Morsi in Egitto), si è caratterizzata per aver preso le distanze da alleati storici come Iran, Siria e Hezbollah, e nell’essersi avvicinata a paesi come Turchia e Qatar. Infatti tra il 2011 e il 2012, dopo un anno di neutralità sul conflitto siriano, con l’annuncio di Haniyeh del sostegno ai ribelli, l’ufficio politico di Hamas ha abbandonato la storica sede di Damasco per Doha, in Qatar. Ciò avveniva come conseguenza dei sempre maggiori finanziamenti qatarioti al movimento islamico e del legame comune alla Fratellanza Musulmana. Proprio in virtù di questo legame, Hamas, con un evidente tradimento dell’alleato siriano, aveva sostenuto i ribelli nonostante la Siria sia stato l’unico paese arabo disposto ad ospitare l’ufficio politico di Hamas, anche nei tempi bui dell’espulsione dalla Giordania nel 1999. Hamas è stata l’unica forza rilevante palestinese [3] ad essersi schierata contro il governo di Assad, e ad aver preso parte negli scontri, sostenendo la fazione siriana della Fratellanza Musulmana, tra le forze egemoni nello schieramento variegato dei ribelli [4]. Nonostante le contraddizioni interne ad Hamas e il rifiuto a partecipare agli scontri delle brigate Qassam, i membri del movimento islamico nel campo profughi di al-Yarmouk hanno combattuto sotto la sigla Aknaf Beit al-Maqdes contro l’esercito siriano a fianco dell’Esercito Siriano Libero, penetrato nel campo nel dicembre del 2012.

Nell’estate del 2014 con l’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza, Hamas pagò la scelta di essersi allontanata dall’Asse della Resistenza [5] e di aver stretto le relazioni con paesi nei fatti alleati di Israele, e quindi non disposti a sostenerla militarmente. Inoltre nel gennaio del 2015 per le pressioni di Arabia Saudita ed Egitto, nemici della Fratellanza Musulmana, è stata annunciata l’espulsione dal Qatar di Meshaal in direzione di Istanbul. Sebbene Hamas abbia sempre negato tali voci, risulta essere poco rilevante se la sede dell’ufficio politico sia rimasta in Qatar o sia stata spostata in Turchia, essendo entrambi i paesi gli sponsor regionali della Fratellanza Musulmana, come evidenziato dalla presenza in entrambi di importanti figure di Hamas e dal sostegno della Turchia al Qatar nell'attuale controversia con l'Arabia Saudita. Hamas non ha reciso del tutto i rapporti con la Fratellanza Musulmana, come sottolineato dalle parole di Meshaal nella conferenza del 1 maggio in Qatar, dove ha presentato il nuovo documento:“Ci richiamiamo all’ideologia della Fratellanza”, aggiungendo “Ma noi siamo un’organizzazione palestinese indipendente” .

La rimozione di Meshaal dalla dirigenza del movimento è una mossa fondamentale per riaprire verso l’Iran, nemico regionale dell’Arabia Saudita, essendo questi il principale esponente del movimento che più si è esposto verso i sauditi appoggiandone il bombardamento dello Yemen. I rapporti con gli stati del golfo sono stati complicati ulteriormente dalla rottura tra il Qatar e l’Arabia Saudita ed alleati. Rottura su cui ha influito il sostegno qatariota ad Hamas, sebbene sia più plausibile ritenere come causa la volontà di Riad di allineare Doha all’asse anti-iraniano. Nelle tensioni tra le due petromonarchie Hamas sembrerebbe avere il ruolo di una pedina, all’interno di una partita più complessa. Infatti è innegabile che Hamas stia cercando un riavvicinamento all’Iran, con cui per altro ha sempre mantenuto i canali aperti, essendo il principale finanziatore e fornitore di armi delle brigate Qassam. Questa relazione è fondamentale anche per ricucire i rapporti con gli altri componenti dell’Asse della Resistenza. Relazioni di cui Hamas ha necessariamente bisogno in vista di possibili nuove offensive israeliane a Gaza. Così come l’emergere tra i palestinesi di formazioni jihadiste, non controllate dal movimento islamico, vicine ideologicamente (e talvolta politicamente) ad Al-Qaeda o a Daesh, favorisce questa naturale alleanza antimperialista. In sostanza Hamas sta mantenendo i piedi in più scarpe, operazione legittima per un movimento che ha come obiettivo la liberazione del popolo palestinese dall’occupazione israeliana, essendo ogni stato arabo e musulmano un potenziale alleato nella propria lotta di liberazione. Tuttavia questo opportunismo alla lunga non pagherà, essendo le contraddizioni nell’area tra i diversi attori in campo sempre più forti, come già avvenuto in Siria. Alla fine quando i fatti evolveranno Hamas sarà messa in forte contraddizione con sé stessa e dovrà fare una chiara scelta di campo: stare con l’imperialismo o contro di esso.


Note:

[1] Le traduzioni dall’inglese all’italiano degli articoli citati del nuovo statuto di Hamas sono a cura dell’autore dell’articolo.

[2] Il salafitismo è una corrente di pensiero dell'islam sunnita che fa riferimento ai modelli religiosi delle prime tre generazioni musulmane. Nata come corrente “riformista”, si è spostata su posizioni “fondamentaliste”. Da una trasformazione del salafitismo egiziano si originò il movimento della Fratellanza Musulmana. Oggi il termine è usato per indicare i gruppi fondamentalisti (spesso anche wahhabiti) che vogliono l’applicazione integrale della Sharia, la legge islamica. Al salafistismo fanno riferimento diversi gruppi armati, alcuni legati ad Al-Qaeda, attivi anche nel Sinai e nella Striscia di Gaza, tra cui quello responsabile dell’omicidio di Vittorio Arrigoni. I gruppi salafiti sono sponsorizzati e finanziati prevalentemente dall'Arabia Saudita.

[3] Al-Fatah ha mantenuto una posizione di sostanziale neutralismo dopo aver inizialmente attaccato politicamente il Governo. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, il Movimento del Jihad Islamico in Palestina hanno invece condannato l’aggressione imperialista alla Siria. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando Generale (FPLP-GC) e altre formazioni minori sono intervenute direttamente negli scontri nei campi palestinesi, combattendo le fazioni schierate con l’opposizione al governo di Assad e i miliziani islamisti penetrati nel campo di al-Yarmouk.

[4] Per un dettagliato approfondimento sulle varie forze presenti nel conflitto siriano si veda questo documento, anche se del 2015, che analizza le diverse posizioni dei gruppi palestinesi.

[5] Con Asse della Resistenza è indicata l’alleanza antimperialista, a prevalenza scita, tra Iran, Siria, Hezbollah e relative formazioni alleate regionali (tra cui Ansarollah in Yemen e le Forze di Mobilitazione Popolare irakene).

17/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://en.wikipedia.org/wiki/Hamas

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L'Autore

Marco Beccari

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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