Conflitti d’interesse: i deputati de La République en marche di fronte a un caso di fiducia

Spesso provenienti dal privato, molti eletti de La République en marche tentano di evitare la mescolanza dei generi tra la loro origine professionale e le loro nuove funzioni. Non è così semplice.


Conflitti d’interesse: i deputati de La République en marche di fronte a un caso di fiducia Credits: https://www.flickr.com/photos/117994717@N06/

Era il grande argomento del partito macronista durante la campagna per le legislative: far nascere una generazione di eletti vergini di ogni mandato, ossigenare il “vecchio mondo” politico aprendo le porte del Palais-Bourbon a dei freschi marcheurs [camminatori, come sono chiamati gli aderenti a LREM]timbrati “società civile”, competenti nel loro campo e connessi al territorio. Con l’elezione di 177 deputati LREM totalmente novizi (su 314) e l’arrivo d’un battaglione d’imprenditori, consulenti, avvocati, produttori, e un’altra medaglia Fields (importante riconoscimento per gli studi matematici), che dovrebbero rinnovare le antiche pratiche e far ripiegare i professionisti della politica, questa scommessa è stata largamente sottolineata.

Ma come mettere a profitto l’esperienza di questi neofiti senza perdere di vista che un deputato non legifera secondo degli interessi privati ma “nell’interesse generale”? Avere degli eletti per i quali i legami con il loro ambiente professionale sono così freschi, non è pure un brodo di coltura di potenziali conflitti d’interesse?

Il rischio non è nuovo: “Prima, il peso della tradizione medica, per esempio, pesava molto nell’Assemblea nazionale, ricorda un socialista, presidente di commissione nella precedente legislatura. “Alla commissione degli affari sociali, i deputati medici captavano i temi di bioetica e, per quello delle leggi gli avvocati monopolizzavano le questioni di giustizia.” Ma con un rinnovamento dell’emiciclo di un’ampiezza inaudita, la questione di perseguire un’attività parallelamente al proprio mandato o di mantenere delle quote nella propria società è stata molto discussa dai deputati LREM tra loro.

Tanto più che il progetto di legge, finalizzato a “ristabilire la fiducia nell’azione pubblica”, è stato appena discusso in commissione all’Assemblea, prima di arrivare nella seduta di lunedì. In seno al gruppo di maggioranza, che non ha dato istruzioni in materia, nessuno ha risolto il problema nella stessa maniera.

E la futura legge non li obbligherà a dismettere ogni attività. Inquadra, giusto appena un po’ più, la creazione di società di consulenza dei parlamentari. Della dozzina di deputati imprenditori o che esercitano attività di consulenza che hanno risposto a Libération, la grande maggioranza sta cercando di disfarsi dei legami con la propria vecchia vita professionale, anche se alcuni non hanno ancora rivenduto le quote nelle loro società. Tra di loro, solo due deputati affermano di voler mantenere le loro azioni.

Una rottura più facile per i salariati, che spesso non hanno dovuto che dimettersi. Deputato della Vienne e avvocato specializzato in BTP (edilizia e lavori pubblici), Sacha Houlié ha chiesta la sua omissione dal foro di Parigi. Durante il suo mandato, non potrà più esercitare la sua professione di consulente. Una decisione che giudica ovvia. Ma che lo è meno per i deputati-capo. “Per alcuni per cui l’azienda rappresenta tutto il loro patrimonio, è un vero dilemma, è lacerante”, ha compassione uno dei colleghi LREM. Florian Bachelier era presidente di gabinetto degli avvocati Avoxa. Anche lui ha richiesto la sua omissione, ha ceduto la presidenza dell’impresa di 75 persone e trasmesso i suoi dossier a un associato. Ma concede che “non è un impegno che siprenda alla leggera. Ho investito undici anni della mia vita nello sviluppo della mia attività e mi metto in pericolo, non so se ne resterà qualcosa tra cinque anni.” Industriale nell’informatica e nella robotica, Bruno Bonnell ha, lui, abbandonato le sue funzioni operative nelle sue tre aziende:«Ho un programma d’uscita di qui a fine 2017»,prevede l’eletto del Rhône, che precisa subito: «Mantengo il mio legame d’azionista e parteciperò, con questo titolo, alle assemblee generali delle mie società.”

Fare la scelta

È soprattutto per potersi consacrare al proprio mandato che i nuovi eletti hanno lasciato il loro lavoro. “ E il carico di lavoro in questo primo mese mi conforta nell’idea che sarebbe stato difficile fare diversamente”, fa presente Adrien Taquet che ha lasciato l’agenzia di comunicazione che aveva co-fondato.

Per molti, essere in parlamento a tempo pieno era d’altronde una promessa di campagna. Al contrario, SylvainMaillard aveva messo le carte in tavola alle legislative: continuerà a lavorare due mezze giornate nell’azienda di componenti elettronici di cui è socio, annunciando che “non vuole dipendere dalla politica”. Tutti sostengono la tesi del mettere avanti il loro saper fare tecnico. E hanno buon gioco a indicare questo paradosso: se En marche ha vinto le legislative propagandando la diversità dei profili, perché questi dovrebbero lasciare la loro esperienza alle porte dell’Assemblea? “Non si può desiderare dei deputati che siano nella vera vita e la fine di carriere di trent’anni, lamentando il fatto che abbiano avuto una carriera precedente”,rilancia Adrien Taquet.

Ma come fare una scelta tra l’esperienza e un potenziale interesse a prendere parte a un dibattito? La questione s’è posta in margine all’affare Ferrand. Nel 2012, il deputato del Finistère, appena eletto sotto i colori del Partito Socialista, è intervenuto su una proposizione di legge mirante a permettere alle mutue di istituire delle reti di cura.

Ora, se lui avesse lasciato la direzione delle Mutue di Bretagna, sarebbe rimasto incaricato nel suo mandato.

Per uscire dalle zone grigie, i marcheurs (LREM) scommettono su due meccanismi che fungono da parapetti. I deputati devono, da qui a un mese, compilare una dichiarazione d’interesse che sarà resa pubblica. Ogni cittadino avrà accesso alla lista delle “attività professionali che danno luogo a remunerazione o gratificazione esercitate alla data dell’elezione o nei cinque ultimi anni” da un deputato, le sue attività di consulente o le sue “partecipazioni finanziarie nel capitale di una società”. Ma gli eletti hanno ancora qualche esitazione. Alcuni ignorano se devono menzionare i loro clienti. “Ho il dovere della riservatezza nei loro confronti”, anticipa Marie Lebec (Yvelines), che ha lasciato il suo posto di consulente presso Euralia, gabinetto di lobbying. Gli eletti possono sottomettere i loro interrogativi a un deontologo, il quale non sarà nominato che il 2 agosto. Aurore Bergé, che si è dimessa da un’agenzia di comunicazione, conta, lei, di precisare la lista dei clienti che ha consigliato, come Microsoft: “E se c’è per esempio un dibattito sul digitale a scuola, io vi parteciperò, perché ho competenza sull’argomento, ma farò sapere che mi estrometterò.”

I deputati possono in effetti ritirarsi da un dibattito nel quale avrebbero un legame d’interesse. Un’ opzione finora raramente messa in atto e alla quale la futura legge non dovrebbe cambiare granché: è prevista la creazione di un registro pubblico che recensisca queste uscite ma non l’obbligo per i parlamentari.

In quale caso fare un passo a lato? Ognuno fa la sua valutazione. Per Amélie de Montchalin, nessuna questione a partecipare per esempio a dei lavori sull’assicurazione sulla vita, che hanno un legame con il suo posto d’incaricata di prospettiva presso Axa da cui si è dimessa: “Io mi domanderò sistematicamente se lavoro bene per l’interesse generale e non per un piccolo numero di attori di cui il mio vecchio datore di lavoro”. Stanislas Guérini, che possiede meno del 10 % della società di energie rinnovabili che ha creato, sta rivendendo le sue quote. Giustamente per non doversi tirar fuori dai dibattiti sugli argomenti sui quali si ritiene competente.

Questo mi darebbe molto fastidio, che si possa pensare che io sia favorevole alle energie rinnovabili perché ho delle quote in una società. Io sono favorevole, qualsiasi cosa accada”, replica il deputato di Parigi.

La regola del caso per caso

Altri vedono male la questione dei temi di cui dovrebbero disfarsi.“C’è un principio molto semplice: da quando non si appartiene più all’impresa, non si è più in conflitto d’interesse per definizione, taglia corto l’ex-quadro nel finanziamento delle imprese, Laurent Saint-Martin.Discutere e votare una legge, non è favorire o penalizzare un’impresa che è stata nostra cliente”. Finalmente, sarà il caso per caso che dominerà, malgrado la vaghezza che questo implica. Bruno Bonnell: “Dov’è il mio valore aggiunto se quando prendo la parola sul digitale, che è il mio campo d’esperienza, io sono sospettato d’un legame d’interesse? Non bisogna fare della conoscenza un crimine. L’etica personale, è lei che ci guiderà.” “L’etica personale”, un’espressione invocata da tutti i deputati, ma con una definizione molto soggettiva. E che non dà alcuna garanzia.


Articolo apparso originariamente su Libération, venerdì 21 Luglio 2017 – traduzione in italiano per La Città Futura di Laura Nanni

05/08/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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