“Il progetto della sinistra mira alla trasformazione della società sotto il prisma di un modello sociale del tutto diverso, quello descritto dal sogno del comunismo. Non ci schieriamo a sinistra per avere la coscienza tranquilla, ma per cambiare il mondo. La questione del governo è uno dei nodi di questo progetto, ma non la sua meta finale. Se la società non partecipa al processo di cambiamento sociale, se rimaniamo semplicemente sulla questione del governo e non vediamo che il nodo centrale è l’organizzazione del potere dal basso in direzione anticapitalista, allora non riusciremo mai a raggiungere il nostro obiettivo strategico. Se governare è un atto fine a se stesso, allora perderemo di vista l’obiettivo. Se non capiamo che dobbiamo coadiuvare il movimento sociale e contribuire alla sua autonomia, allora il progetto di un governo di sinistra non avrà mai successo.”
(Elias Panteleakos, ex Segretario di Νεολαία ΣΥΡΙΖΑ/ Gioventù di SYRIZA)
di Davide Costa
Dalla fine degli anni ’90 alla metà degli anni ’10 la sinistra comunista europea ha attraversato, dopo la caduta del Muro e la dissoluzione dell’URSS (punto stabile di riferimento di quei partiti), una profonda revisione ideologica e strategica: cominciò a farsi strada l’idea di un “eurocomunismo” che coniugasse la nuova frontiera Europea e l’internazionalismo proletario, il governismo con la “lotta di classe”, insomma un far quadrare il cerchio per staccarsi da ciò che fu il “socialismo reale” ma non dall’idea di società socialista. Questa revisione però alla fine non fu un’autocritica costruttiva, ma si torse nell’accettazione dello status quo nelle pratiche e nelle teorie “attendiste” e ci ha portato alla situazione odierna: PRC (Italia), Synaspismos- SYRIZA (Grecia), PCE (Spagna), PCF (Francia), la Die Linke (Germania) ne furono le principali vittime. Queste tendenze contraddittorie e insanabili o hanno logorato lentamente i partiti con continue scissioni (vedi Rifondazione Comunista) o sono letteralmente esplose, causa le contingenze particolari (vedi SYRIZA).
Il limite maggiore di molte di queste formazioni politiche sta nel fatto che la battaglia viene portata avanti esclusivamente su un terreno parlamentare e non più per la trasformazione sociale, facendo della democrazia rappresentativa borghese, non una fase da utilizzare e superare, ma l’obiettivo da conquistare, liquidando di fatto una delle concezioni che stanno alla base del marxismo: le istituzioni non sono corpi neutri, obiettivi verso cui mirare, ma lo strumento attraverso cui la classe dominante esercita il proprio predominio e di cui sono diretta espressione. Ed ecco il mito della “sinistra di governo” che ha prodotto o produce grandi e piccoli fallimenti tra le forze della Sinistra Europea: il sostegno del PRC e del PdCI al Governo Prodi e le amministrazioni locali col PD, le amministrazioni congiunte Izquierda Unida- PSOE, SPD-Die Linke e infine il più manifesto, la capitolazione del primo governo SYRIZA-ANEL.
Dopo la scissione dei “massimalisti” di SYRIZA, questo atteggiamento “socialdemocraticheggiante” è risultato ancora più evidente: con una SYRIZA votata alla “responsabilità verso i creditori”, “mnimoniako” (fautore di politiche di austerità, ndr) ed era pronta a un’intesa con il centrosinistra del PASOK-Dimar/To Potami con cui ha cercato nuove corrispondenze di amorosi sensi, per “gestire il memorandum da sinistra”, i riferimenti alla lotta di classe e per l’egemonia culturale, che tanto piacevano a quella Gioventù, ormai scissionista anch’essa, sono spariti. Tanto che politologi e lo stesso dimissionario segretario della giovanile del Partito hanno cominciato a parlare di una “pasokizzazione” della Coalizione della Sinistra radicale (Syriza).
La campagna elettorale ha scoperto gli altarini: è una lotta per il controllo dell’esecutivo e non per ribaltare i rapporti di forza della Grecia capitalista, lo strappo dall’Europa viene visto come una prospettiva devastante, strappo ovviamente immaginato solo attraverso schemi liberali e in un contesto capitalista e mai come presupposto per la transizione al socialismo, vecchio obiettivo della sinistra comunista.
Lo stesso dibattito fra il leader di Nea Demokratia, Meimarakis e Alexis Tsipras ha delineato il paradigma attraverso cui si muove la “nuova SYRIZA”: no all’“unità nazionale”, sarebbe da irresponsabili lasciare il ruolo di “opposizione ufficiale” ai nazisti di Alba Dorata, ammonisce il leader di SYRIZA.
Meglio i conservatori che i fascisti, tanto poi ci mettiamo d’accordo comunque sulle politiche recessive e ce le votate dall’altra parte della barricata. E’ Bruxelles che detterà legge, non c’è alternativa.
Questo è il messaggio che ha mandato Tsipras ai suoi elettori: governo o muerte! E un significato nullo hanno i simili slogan elettorali delle principali forze politiche: Μονο μπροστα (solo avanti, ma verso dove?) di SYRIZA ed Ελλαδα μπροστα (La Grecia che va avanti) di ND. Il partito di destra alleato di governo, AN.EL., meno “compromesso” come partito che ha amministrato il sistema fino ad ora, rischiava di non entrare nemmeno in Parlamento mettendo in difficoltà Alexis che preferiva ripercorrere quel sentiero già battuto piuttosto che “sporcarsi” ulteriormente l’immagine con un’alleanza col vecchio establishment del Pasok. Significativo l’abbraccio sul palco alla viglia delle elezioni col vecchio alleato per ridargli un po’ di visibilità. Poco importa se le teorie economiche e sociali dovrebbero essere antitetiche, l’obiettivo del governo trapassa tutto e il fine giustifica i mezzi, no?
Poi diciamocelo, se viene malmenato qualche “estremista antimemorandum” da quei settori della polizia antisommossa violenti e con manifeste infiltrazioni naziste che si era promesso di smantellare, in questa fase e soprattutto se il Ministero non lo controlliamo direttamente noi ci fa anche comodo, no?
In Italia questo circo elettorale ha dato linfa ai dirigenti della fallimentare “asinistra” nostrana: Civati, Fassina, Vendola, con alla coda un sempre più subalterno Ferrero, hanno già inondato la rete con i loro slogan fideistici e acritici per dare legittimità al progetto a serio rischio fallimento della “Costituente della Sinistra” sulla base del modello SYRIZA, ora più che mai, sulla base di linee e strategie mirate a far rivivere il vero “centrosinistra” di dalemiana memoria, ormai declinato con la svolta a destra del PD renziano.
Quali prospettive seguirebbe il progetto italico? Ovviamente il parlamento, un programma di fase non è contemplato. Per parafrasare Frank Ferlisi qui siamo davanti ad un moderno “menscevismo”. Non vi è un’analisi seria del tessuto sociale italiano, ma un insensato codismo nei confronti di una tendenza della Sinistra Europea che ormai rappresenta la nuova frontiera della socialdemocrazia in regime di crisi. Il nostro partito è a un bivio: rilanciare l’idea di una rifondazione comunista della società o arrendersi all’inevitabile trasmutazione in senso riformista delle vecchie strategie eurocomuniste?
La sinistra di classe invece fa fatica ad organizzarsi e a fare fronte comune contro il nemico di classe rappresentato in prima istanza dall’Unione Europea che usa il mercato unico come terreno di ricatto per distruggere ogni istanza democratica e sociale. La formazione fuoriuscita da Syriza, LAE- Unità Popolare, ha stilato un programma minimo di fase che mette in discussione la permanenza della Grecia nella Zona Euro parlando dell’“επανάσταση του GREXIT” (la rivoluzione del Grexit) con annesse misure in senso anticapitalistico (nazionalizzazione delle banche, nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia sotto controllo popolare, redazione di una nuova Costituzione votata dal popolo…) ma ciò non sembra bastare ai comunisti del KKE che ritengono che sia la fase del “potere popolare” ora e subito e non accettano alleanze “con chi è stato corresponsabile del disastro ed ora opportunisticamente fa marcia indietro per impedire l’allargamento dell’unica forza antisistema, il KKE”.
Modi diversi di analizzare la fase, di agire nella società e vecchi risentimenti. Ricordiamo che Unità Popolare è formata principalmente da settori dell’ex Synaspismos, nato a sua volta dal KKE-interno, scissione eurocomunista del KKE e da settori di ANTARSYA, nata da collettivi riunitisi attorno a quella KNE (giovanile del KKE) divenuta NAR che lasciò polemicamente il KKE dopo la sua alleanza con la destra di Nea Demokratia in funzione anti- PASOK nel ’89. Questi ostacoli non sembrano scoraggiare la formazione della sinistra anticapitalista euroscettica di Lafazanis che lascia una porta aperta ai compagni del KKE dichiarando che “saranno gli eventi a portare alla convergenza sui temi fondamentali, saranno gli stessi militanti del KKE a invocare l’unità anticapitalista rappresentato in questa particolare fase dal fronte anti-memorandum”e/em>
ANTARSYA si è divisa tra chi ci stava e chi non ci stava a un’alleanza elettorale, ma una cooperazione programmatica sul tessuto sociale d’opposizione dopo le elezioni, sembra non essere esclusa. La Gioventù di SYRIZA è ormai anch’essa uscita dal Partito dopo l’appello della maggioranza del Comitato Centrale contro l’attuale linea Tsipras, e secondo alcune stime dovrebbe raccogliere circa l’80% dell’organizzazione. Per ora la Gioventù si divide fra chi è entrato organicamente in LAE e chi ne diffida per l’assetto troppo simile al “burocratismo syrizeo”, ma comunque ha dato indicazione di voto per le “liste della sinistra anticapitalista” (LAE, ANTARSYA e KKE) e ha rimandato a dopo le elezioni la creazione di un “fronte antimemorandum, anticapitalista e per il socialismo nel XXI secolo” che differisca da SYRIZA sia nei contenuti sia nell’assetto strutturale e che dialoghi con tutte le forze della sinistra di classe.
Insomma, seppur con visioni differenti e senza il tempo necessario per esprimerlo compiutamente in questa campagna elettorale, tutta la sinistra di classe concorda sostanzialmente su due punti: per sconfiggere l’austerità bisogna rompere le catene dell’Unione Europea che la impone e non saranno queste elezioni preparate a tavolino dalle forze pro-memorandum, e applaudite da Bruxelles, a cambiare i rapporti di forza della Grecia capitalista e schiava della Troika; la trasformazione della società dovrà essere un processo costruito fuori dal “palazzo” con il popolo e per il popolo, processo da cui dovrà prendere le mosse l’opposizione sociale al nuovo Governo, qualsiasi esso sia, e che dovrà rovesciare il sistema in senso socialista.
Mentre scrivo si sta formando il governo SYRIZA-ANEL II uscito dalle elezioni di domenica. Alla fine SYRIZA vince con il 35,46 % (145 seggi), ND 28,10% (75) , Alba Dorata 6,99% (18), PASOK-DIMAR 6,28% (17), KKE 5,55% (15), To Potami 4,09% (11), ANEL 3,69% (10), Unione di Centro 3,43% (9). Fuori Unità Popolare con il 2,86% e zero seggi e l’unica reale opposizione di classe a questa maggioranza bulgara, che de facto conta 267 seggi, rimangono i 15 compagni del KKE.
La strategia di Tsipras per eliminare dal parlamento i dissidenti dell’ex ala sinistra di SYRIZA, Piattaforma Sinistra, ha funzionato: se fossero rimasti nel partito, sarebbero stati esclusi dalle liste elettorali mentre se avessero fatto una scissione, com’è accaduto, avrebbero avuto meno di un mese per organizzarsi e radicarsi in una società delusa e disincantata come quella greca post-terzo memorandum.
Ma l’opposizione non si espleta solo attraverso il terreno parlamentare, ma anche e soprattutto nella società civile a cui adesso dev’essere fornita un’avanguardia e un’alternativa credibile. Proprio per questo le due forze principali di questo fronte devono coniugarsi: KKE con il suo radicamento sindacale e LAE con un approccio più movimentista a una società “fluida” soprattutto a livello giovanile, devono riuscire a trovare un terreno minimo su cui confrontarsi, altrimenti ogni forza in campo sarà troppo debole per rompere l’egemonia SYRIZA-ND.
Vero vincitore della tornata elettorale è però l’astensionismo, che ha raggiunto il 43,43% (+ 8% dalle precedenti elezioni, il dato peggiore dal 1946) soprattutto a livello giovanile: quasi un greco su due ha rinunciato al voto, segno di una società disillusa dal suo “estabilshment” che involve verso un modello post-ideologico dove il partito diviene amministratore della cosa pubblica e non portatore di istanze ideologiche appoggiate dalla base popolare, modello che in Italia conosciamo bene e abbiamo sempre criticato.
I disoccupati greci, che in 8 anni di crisi sono triplicati, ci danno un quadro molto diverso: tra questi il 16.6% ha votato i neo-nazisti di Alba Dorata, il 15.8% Unità Popolare, il 14.5% KKE e il 12.9% Syriza segno di una voglia di riscatto ma anche e soprattutto di un’intercettazione della delusione dei fascisti greci dopo l’accettazione del memorandum fatto di lacrime e sangue per i lavoratori greci da parte della “sinistra radicale”.
In Italia tutto ciò dovrebbe farci pensare alle nostre prospettive per il futuro: vogliamo pure noi ridurre il comunismo a un fatto meramente identitario cantando “Bandiera Rossa” oggi (rischiando di farla sembrare rosa) per applicare misure antipopolari e antisociali domani o vogliamo mettere in discussione questo modello di società ed economia di cui garante è l’Unione Europea, non solo facendo opposizione verbale ai “trattati” ma anche e soprattutto opponendoci alla natura stessa dell’UE filo-padronale, per rifondare una nuova relazione solidale internazionale tra i popoli?
Si vuole rifondare il comunismo o si va verso nuova svolta della Bolognina?