Primo Maggio a lutto nel nome della resilienza

In un Primo Maggio a scarsa agibilità, il piano italiano di ripresa e resilienza costituisce un’occasione mancata. Si privilegiano le grandi opere, si devasta il territorio, si intensifica lo sfruttamento e la sanità langue.


Primo Maggio a lutto nel nome della resilienza

Nella repubblica “fondata sul lavoro” il Primo Maggio dovrebbe essere l’occasione di una riflessione sul pluridecennale degrado delle condizioni dei lavoratori. Una riflessione non fine a se stessa, ma tale da poterne trarre indicazioni per invertire questa rotta. Oltretutto questo Primo Maggio, in cui non è possibile nemmeno manifestare, i lavoratori, oltre a dolersi delle consuete angherie, devono subire i contraccolpi di questa pandemia che significano spesso perdita di lavoro e di salario e dilagare di modalità lavorative che, più che essere “smart”, riecheggiano un ritorno all’Ottocento.

Ma la politica guarda altrove perché, in barba alla costituzione formale, ne coltiva una di fatto che subordina i diritti dei lavoratori a quelli dell’impresa e del mercato. Guardiamo per esempio come si accinge a impiegare i soldi del Recovery Fund. Il governo italiano ha presentato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destinando il 51% delle risorse al settore infrastrutturale rispetto al 32% della Spagna, il 22% della Francia, il 20-25% della Germania.

Perché investire metà delle risorse alle infrastrutture? Perché per settimane enti locali e imprese hanno presentato innumerevoli progetti di investimenti costruiti secondo i desiderata delle associazioni datoriali e dei poteri forti dell’economia? Siamo di fronte al rischio che una cospicua parte di tali infrastrutture consistano nelle grandi opere che hanno devastato i nostri territori a discapito delle necessarie bonifiche dei troppi siti inquinati e della riconversione ecologica di produzioni nocive all’ambiente, causa di una lunga scia di morti e devastazioni del territorio.

Il Primo Maggio 2021 è il secondo dell’era pandemica, la crisi non è solo causata dal virus ma le contraddizioni principali del sistema capitalistico stanno provocando un autentico tsunami. Nulla tornerà come prima. Il ritorno alla normalità sarà possibile solo attuando processi di ristrutturazione che cancelleranno migliaia di posti di lavoro, dal trasporto aereo agli appalti.

Le riforme annunciate potrebbero essere gestite in nome dell’abbattimento del costo del lavoro accrescendo le disuguaglianze economiche e sociali. Draghi del resto, prima di divenire capo del governo, ha copresieduto un gruppo di lavoro del G30 nel cui documento conclusivo si caldeggiava la scomparsa di un po’ di imprese “zombie” che tendono a mantenere troppo elevato il costo del lavoro, elevando la domanda di addetti.

Venendo ai diritti, non è secondaria la cancellazione delle casuali nei contratti a tempo determinato, ad oggi sospensione temporanea, che sono state sempre avversate dalle associazioni datoriali e perfino dai sindacati, per i quali ormai la difesa dell’occupazione non significa rivendicare contratti stabili e a tempo indeterminato e che stanno cedendo al ricatto della precarietà.

La crisi dell’Italia ha origini lontane. Lo stesso Pnrr inizia con pagine descrittive della perdita di Pil e di competitività del nostro paese. Le cause di questa situazione sono da ricercare nelle privatizzazioni, nei disinvestimenti in settori come la ricerca, la scuola e la sanità ma anche nella costante riduzione del costo del lavoro attraverso privatizzazioni e delocalizzazioni. La riduzione del costo del lavoro è stato il faro guida dell’azione governativa tanto nel centrosinistra quanto nel centrodestra, entrambi asserviti alle logiche neoliberiste.

Il Pnrr non segna una inversione di tendenza reale, non ci sembra di leggervi che le politiche di contenimento dei costi del lavoro e di riduzione del debito siano la causa della crisi che attanaglia soprattutto i paesi del Sud Europa, nazioni che più di altre hanno dovuto cedere sovranità in materia di economia, riducendo il welfare, disinvestendo nella pubblica amministrazione, impoverendo e mortificando sanità e istruzione pubblica.

Si parla di grandi riforme ma se guardiamo a quanto accade in materia di appalti e di pubblica amministrazione le note sono solo dolenti tra deroghe al sistema di controlli, affidamenti diretti di appalti e processi di riorganizzazione dei settori pubblici che rischiano di piegare gli Enti locali ai voleri delle imprese. Nel nuovo lessico rovesciato “riforma” sta per “controriforma”.

Si parla di rivoluzione digitale in un paese nel quale la banda larga è ancora poco diffusa, con tanti uffici pubblici sprovvisti di banche dati e sistemi di rete, con strumenti informatici obsoleti e tanti programmi innovativi non ancora disponibili. La stessa formazione rischia di essere un cavallo di Troia per il sindacato se a pagarne i costi saranno i lavoratori e le lavoratrici.

Una pubblica amministrazione funzionante ed efficiente necessita di personale, ma i nuovi concorsi riusciranno a malapena a compensare i pensionamenti degli ultimi tempi e non saranno sufficienti a recuperare le migliaia di unità perdute negli enti locali, nella sanità e nel settore della ricerca, per non parlare poi del sistema di controlli, dalle Asl agli ispettorati del lavoro, ormai inadeguati a causa degli organici ridotti.

Parlare di riconversione ecologica in Italia significa mappare i siti inquinati. Al contrario ogni giorno scopriamo che sono stati interrati rifiuti speciali e probabilmente tossici con operazioni condotte dalla malavita organizzata che ha beneficiato della copertura di settori politici tra fenomeni corruttivi diffusi e leggi costruite ad hoc, come nel caso, finalmente all’attenzione dell’autorità giudiziaria, della Toscana, una volta “rossa”, dove alcune leggi vengono ispirate da imprese interessate e colluse con i poteri mafiosi.

Il Pnrr è forse l’occasione mancata dalle forze politiche e sindacali. I piani di investimento riservano ben poche risorse alla sanità, alla prevenzione, all’edilizia popolare, al risanamento ambientale, alla riconversione ecologica di produzioni nocive per l’umanità. Non si investe realmente per restituire forza, dignità e concretezza all’agire pubblico, ormai subalterno ai voleri del privato. Manca un piano di investimento credibile sul lavoro a partire dalla cancellazione di quella precarietà occupazionale e contrattuale che è tra le cause della crisi del nostro paese.

Nonostante le limitazioni in essere, questo Primo Maggio dovrebbe essere più che mai un Primo Maggio di lotta.

30/04/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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