Quella del 5 Aprile scorso è stata indubbiamente una manifestazione molto partecipata, popolare, composta di varie anime anche differenti fra loro, ma con le idee chiare su alcuni punti fondamentali: no al riarmo, gli investimenti vanno dirottati dal settore degli armamenti alle politiche sociali, fine del genocidio in Palestina. Si è trattato, in altri termini, di una piazza che si è radunata – anche al di là dell’intento specifico degli organizzatori - con l’intento di respingere le scelte impopolari, suprematiste e belliciste dell’Unione Europea e di chiedere, su questi temi, un cambiamento radicale.
Se da un lato, però, erano piuttosto esplicite le coordinate fondamentali che hanno orientato quella piazza, dall’altro è innegabile il contenuto ancora “grezzo” – seppur ricco di potenziale – della stessa. Questa manifestazione rappresenta solo un primo, importantissimo passo nella giusta direzione. Per la prima volta, in questi anni, la protesta parcellizzata, istintiva, multiforme, delle varie associazioni e dei cittadini che si confrontavano e provavano a mobilitarsi contro l’economia di guerra ha trovato una connessione con una forza istituzionale, il Movimento Cinque Stelle che, nonostante tutti i suoi limiti, ha pronunciato in maniera chiara il suo contrasto alle politiche di riarmo annunciate e portate avanti dalla stragrande maggioranza delle forze parlamentari italiane, dalla burocrazia di Bruxelles e dalla stragrande maggioranza dei governi europei.
E’ un dato importante e da valorizzare il fatto che una forza parlamentare, il Movimento Cinque Stelle, seguito dalla formazione AVS, si dichiari contro la politica di riarmo. Tutto ciò non è tanto importante per quello che dice Conte e per come lo dice – sul contenuto si potrebbe riflettere criticandone l’impostazione – quanto per il fatto che, avendo una rappresentanza istituzionale, si è riuscito a rendere visibile e praticabile, agli occhi di una fetta più vasta dell’opinione pubblica, la critica che una fascia sempre più larga di associazioni e cittadini stavano sviluppando da tempo in luoghi di dibattito e mobilitazione differenti.
Non possiamo conoscere né l’esito né lo sviluppo di questo movimento, tanto più che non ci troviamo di fronte ad una guerra locale o distante da noi – come poteva essere la guerra in Iraq – ma ad un conflitto che coinvolge direttamente l’imperialismo europeo la cui economia, in virtù del protezionismo, si orienta sempre di più verso una direzione bellicista ed aggressiva. E’ per questo motivo che continua, incessante, sui media e in buona parte delle istituzioni pubbliche, questa minacciosa e martellante censura sulla guerra. Il vastissimo campo delle forze imperialiste ha tutto l’interesse a non mostrare crepe in politica estera in modo da far pagare tutti i costi della guerra solo alle classi popolari. Ma queste classi esistono e, in parte, hanno votato quel partito che ha manifestato Sabato 5 Aprile; inoltre queste stesse classi subiscono non solo la propaganda di guerra ma anche gli effetti materiali, le conseguenze sulla loro vita concreta, delle politiche di guerra. Da qualche parte la loro voce deve poter uscire ed è uscita appena gli è stata data la possibilità, o meglio appena hanno intravisto una mediazione tra i loro bisogni e la possibilità di aprire contraddizioni nel blocco avverso. Aver partecipato alla manifestazione del 5 Aprile non significa affatto identificarsi con le posizioni di questo partito o cercare di modificarlo dall’interno ma sfruttare le occasioni che ci pone la dialettica politico-sociale per far avanzare sia il conflitto sociale che il movimento contro la guerra in Italia.