Tempi difficili. Intervista al prof. Giuseppe Aragno

Viviamo tempi difficili: gli assetti economici mondiali che hanno contraddistinto gli ultimi decenni sembrano entrare in crisi. Alla crisi economica si affianca quella politica, e le attuali classi dirigenti – perlopiù allineate, se non sottomesse, alle logiche imperialiste – non paiono in grado di risolvere positivamente le contraddizioni; piuttosto, è la barbarie della guerra lo scenario che sempre più si afferma a ogni latitudine.


Tempi difficili. Intervista al prof. Giuseppe Aragno Credits: https://giuseppearagno.wordpress.com/2025/04/06/nasce-a-napoli-un-laboratorio-politico-unitario/?fbclid=IwY2xjawJqBlFleHRuA2FlbQIxMQABHnBXgcE9NVH00Ao-r3o38JD2cwWNB8XdEK2aXpGGsvejxCMWTs8zfVW3r3SK_aem_xhF2H4XJEdEJjC7CUo0q_w


In questo interregno tra il vecchio che muore e il nuovo che non riesce a nascere, le forze reazionarie e “mostruose” prendono il sopravvento. I popoli del vecchio mondo occidentale sembrano assuefatti, drogati, incapaci di alzarsi in piedi e marciare in massa compatti contro le aberrazioni del nostro tempo, come il genocidio in Palestina, la guerra in Ucraina e tutte le altre barbariche aberrazioni sparse nei vari continenti, a partire da quello africano.
Nel nostro campo – nel campo di chi, con enorme sforzo, prova a costruire un pensiero e un’azione alternativi – la frammentazione pesa come il piombo: più che la pluralità di idee e l'unità d'azione, prevale la conflittualità tra opposti opportunismi, tanto di destra quanto di sinistra, finendo così per non apparire credibili agli occhi delle masse oppresse.
Dunque, serve spirito unitario, senza perdere la pluralità; prospettiva d’avanguardia, ma con un solido legame di massa. Lei, caro professore Aragno [1], ci può aiutare a dipanare la matassa.

Domanda
Lo scenario internazionale è drammatico: il capo della principale potenza militare ed economica è sostanzialmente un pazzo reazionario. L’Europa non solo non è nelle condizioni di rilanciare un piano di pace mondiale, ma anzi si è posta sulla strada del riarmo. A cosa porterà tutto ciò?

Risposta
Prima di rispondere alla domanda, vorrei fermarmi un attimo su un dato caratterizzante della crisi economica e politica che sta terremotando gli assetti economici mondiali nati dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando sessanta milioni di morti e l’orrore di Hiroshima e Nagasaki fecero balenare lo spettro di un conflitto destinato a segnare la fine della civiltà. Non se ne parla, forse perché davvero la sorte acceca chi vuole distruggere, ma è sotto gli occhi di tutti: per la prima volta nella storia dell’umanità facciamo i conti con una crisi economica gravissima, che scatena una crisi politica di sistema, nel pieno di un disastro ambientale che minaccia seriamente la nostra sopravvivenza. Per essere chiari, anche se quella che molto generosamente chiamiamo «classe dirigente» non sembra averne coscienza, corriamo il rischio che la reazione del pianeta alla ottusa cecità del suo scomodo inquilino ci condanni alla sparizione prima che il vecchio che muore molto lentamente faccia posto al nuovo che stenta a nascere.
Ad affrontare una tragedia di tale portata, negli Usa, la principale potenza militare ed economica del pianeta, c’è un pazzo reazionario, figlio naturale del folle disprezzo per i bisogni della popolazione che affligge da sempre  i sacerdoti del liberismo, estremisti  che, in nome del dio mercato e di una bibbia intitolata profitto, sono la causa della crisi quasi irreversibile nella quale siamo precipitati.

Identici a Trump per la natura violenta della loro fede liberista sono i leader europei che si definiscono per lo più liberali e sono così ignoranti, da non sapere che quando dici liberale, parli di chi storicamente si è sempre fatto bello di valori che ha puntualmente rinnegato appena una crisi economica ha toccato i suoi privilegi. Dove ci porterà questa gente? Ci porterà - anzi ci ha già portati - ad un bivio che non ci lascia scelta; se vogliamo sfuggire alle soluzioni che tentano di imporci - il riarmo, la guerra, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e la schiavizzazione dei più deboli - dobbiamo scegliere tra gli ottusi calcoli sulla “ricchezza prodotta” e le scelte che riguardano la sua equa divisione. E’ questo il compito di una sinistra unita attorno ai valori della Costituzione; di una sinistra che contrapponga a una società decisa a crescere facendo guerra al pianeta una comunità che viva in pace con il mondo che lo ospita. Lo dirò con una parola ormai messa al bando: dobbiamo tornare a batterci per il socialismo, per una divisione equa della ricchezza, fissando una priorità: spendere per le armi quanto spendiamo per la formazione e per la formazione quanto sperperiamo per le armi.


Domanda
In Italia, poi, abbiamo al governo forze postfasciste, tra le più accanite nemiche degli interessi popolari – si pensi alle deportazioni di immigrati, ai decreti sicurezza, al presidenzialismo, agli attacchi al salario. Anche nel nostro campo, tuttavia, appare difficile l’emersione di un’alternativa di massa e progressista. Per questo è apparsa incoraggiante la nascita del “Gruppo19”, che punta a mettere insieme un fronte di forze alternative alla destra.
Ci può spiegare meglio come è nato e quale obiettivo si prefigge questo gruppo? E, curiosità, come mai si chiama proprio “Gruppo19”?

Risposta
Quando si parla di postfascismo mi viene in mente Pietro Grifone, grande storico del capitale finanziario in Italia. Se ne ricordano in pochi, ma oggi è più attuale che mai, perché dimostrò che il fascismo è la forma di governo congeniale al capitale finanziario e che gli spazi di democrazia in una società dominata dal capitalismo finanziario sono direttamente proporzionali all’andamento delle borse. Peggio vanno gli affari, più si restringono i diritti civili, sociali e politici. Il problema, quindi, non è semplicemente la Meloni, ma una sinistra si ha preso posto al tavolo degli affari. Quel tavolo va rovesciato, bisogna tornare alla supremazia della politica. Quanto alla sorte degli immigrati, bisognerebbe ricordare ciò che diceva Marcuse: lo strapotere del capitalismo ci condurrà al punto che la forza dei disperati sarà la sola speranza di rinnovamento. Ormai siamo a quel punto e dobbiamo imparare di nuovo a parlare, ascoltare e farci ascoltare dai disperati.
Di questo discuteva poco più di un anno fa quello che è oggi il «Gruppo19».  Era accaduto che, in occasione della commemorazione delle Quattro Giornate, il governo Meloni aveva mandato a Napoli Isabella Rauti a rendere omaggio ai nostri partigiani. Ci sembrò una provocazione inaccettabile. Chiedemmo all’ANPI di non partecipare agli incontri con la sottosegretaria che non ha mai ripudiato il suo passato neofascista, ma non fummo ascoltati. Dopo aver restituito le tessere, ci rivolgemmo per un incontro agli esponenti locali dei partiti di opposizione e ci rendemmo conto così che, al di là delle divergenze, ci univano un sistema di valori, una visione della società e una comune lettura della Costituzione. Cominciarono così incontri periodici che avevano un obiettivo preciso: individuare argomenti che ci univano, per ricavarne documenti unitari che rafforzassero intese e consentissero azioni comuni. Non è stato un percorso facile, ma oggi esiste e porta la firma dei componenti del «Gruppo19» un documento sulla sicurezza, che contiene una visione alternativa rispetto a quella di Nordio. Ci è piaciuto pensarlo come il documento di un «governo ombra», che non si limita a dire no, ma avanza proposte legislative. L’hanno sottoscritto Giuseppe Aragno in rappresentanza della «Rete per la Costituzione e l’Antifascismo» e dell’»Officina dei Saperi», Giuseppe Annunziata, segretario provinciale del PD, l’on. Gilda Sportiello, coordinatrice del M5S di Napoli, Stefano Ioffredo, segretario di SI, Andrea Balia peer il Partito del Sud, ed Ermete Ferraro, presidente della sezione locale del «Movimento Internazionale Riconciliazione». Il prossimo passo riguarda la tragedia di Gaza. Ci chiamiamo «Gruppo 19» perché nella stanza 19 degli uffici del Consiglio Comunale di Napoli si è svolta la riunione in cui abbiamo firmato il documento.

Domanda
Lei è stato tra i primi firmatari di un appello che abbiamo lanciato insieme al prof. Angelo D’Orsi: un appello che richiamava la necessità di partecipare e allargare la manifestazione del 5 aprile indetta dal M5S. Ci avevamo visto giusto: quella manifestazione è riuscita e ha mostrato il potenziale per la costruzione di un fronte di alternativa popolare contro il liberismo.
Lei come valuta la manifestazione e quali prospettive si aprono?

Risposta
Ho firmato subito.. Ritenevo anzitutto che la manifestazione voluta da Serra e da “Repubblica” meritasse una risposta chiara e immediata. Da giovane i miei maestri mi hanno insegnato che non si possono spiegare le cause di una guerra, partendo dal momento in cui ha inizio; per me il ritornello dell’aggredito e dell’aggressore va bene per la propaganda, ma non ha fondamento storico. Nessuno studioso serio si azzarderebbe a spiegare le cause della seconda guerra mondiale senza partire da Versailles e dai trattati di pace che umiliarono la Germania. Di quei trattati sono figli Hitler, il nazismo e la seconda guerra mondiale. Quando poi si tratta dell’informazione, conta anzitutto la proprietà e il giornale che fu di Scalfari, con tutto il rispetto per chi ci lavora, appartiene alla famiglia che possiede l’Iveco Defence Vehicle, una grande fabbrica di armi. Serra e i suoi amici  possono dire ciò che gli pare, sta di fatto che quando si chiama a far quadrato attorno all’Unione Europea, non si difende la pace; con le parole si può anche giocare ma il riarmo si fa comprando armi. Dirò di più: le armi si comprano quando si pensa alla guerra e nella tragedia Ucraina l’Unione Europea ha cercato e cerca soluzioni militari senza mai esplorare la via della diplomazia.
D’altra parte, non è un caso che l’Europa della pace l’abbia chiamata in piazza il M5S, che oggettivamente non ha alcuna responsabilità storica per lo sfascio del Paese. Il M5S, schierato da tempo sul fronte della pace, mette l’accento sull’intento criminale di armare il Paese utilizzando i fondi destinati allo stato sociale e, come ho potuto verificare nei mesi in cui si è formato il «Gruppo19», è fermamente convinto della necessità di creare un fronte comune delle opposizioni.  Come ha riconosciuto con grande onestà intellettuale Conte, in piazza non c’erano solo militanti e simpatizzanti del Movimento, ma una  folta rappresentanza di quella stragrande maggioranza di italiani che teme il riarmo, rifiuta la guerra e chiede di finanziare le scuole impoverite e gli ospedali stremati. Gente di varia condizione sociale che ha trovato un riferimento nel M5S. Se e in che misura in quella piazza è nato quel fronte di alternativa popolare contro il liberismo per quale lavora il «Gruppo19» è presto per dire. Molto dipende dal PD e dalla sua capacità di liberarsi della zavorra renziana. Con un congresso straordinario, se possibile, con una scissione se necessario. Perderebbe parlamentari, ma riporterebbe alle urne buona parte dell’elettorato che lo ha abbandonato.

 [1]Giuseppe Aragno storico. Già professore a contratto di Storia Contemporanea all’Università “Federico II” di Napoli.

 

14/04/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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