Lo spettro del governo del capitale finanziario

La crisi di governo aperta da Renzi mira a rappresentare pienamente gli interessi dei poteri forti, in altre parole una dittatura ancora più aperta del grande capitale senza nemmeno quelle misere misure di rivoluzione passiva necessarie al governo Conte per mantenere l’egemonia sulle classi dominate.


Lo spettro del governo del capitale finanziario

La crisi di governo aperta da Renzi mira semplicemente a rappresentare pienamente gli interessi dei poteri forti rappresentati al meglio dal neoincaricato presidente del Consiglio Mario Draghi, in altre parole una dittatura ancora più aperta del grande capitale, senza nemmeno quelle misere misure di rivoluzione passiva necessarie al governo Conte per mantenere l’egemonia sulle classi dominate. Non a caso Renzi con il suo governo ha finito di rottamare quanto di socialdemocratico rimaneva nella sinistra, portando avanti politiche ultraliberiste come il Jobs Act e la Buona Scuola, scardinando definitivamente gli aspetti essenziali dello Statuto dei lavoratori. Ha inoltre tentato, invano, di attuare una controriforma in senso bonapartista della stessa Costituzione

Ora mira a divenire il punto di riferimento dell’oligarchia al potere, sul piano nazionale e internazionale con la completa resa attraverso il Mes alle politiche di austerity dell’Unione europea. Intende allargare a destra il governo, rilanciando il berlusconismo e puntare a un nuovo massacro sociale con il consueto espediente del governo tecnico. Vuole rilanciare i più devastanti lavori pubblici e mira a dirottare gli ingenti fondi europei interamente verso la classe dominante, tagliando anche i miseri sussidi previsti dallo stesso neoliberismo, come il reddito di sussistenza, ed eliminando ogni blocco dei licenziamenti.

Al contempo sembra miri a porsi a capo della grande alleanza interimperialista della Nato. Perciò cerca di accrescere la propria credibilità agli occhi dei poteri forti transnazionali, facendo opera di lobbying verso i peggiori tiranni del mondo, su posizioni naturalmente filoimperialiste. Così, dopo aver sdoganato per primo quando era capo del governo il sanguinoso colpo di Stato militare in Egitto, che chiudeva in un bagno di sangue quanto restava delle primavere arabe, ora è in prima fila per rilanciare l’erede al trono della monarchia assoluta saudita, sebbene sia considerato dalla stessa Cia mandante del brutale assassinio, con una motosega, di un giornalista liberale, considerato un pericoloso oppositore.

Così, mentre progetta un nuovo massacro sociale per il suo stesso popolo, va a fare la più sfacciata propaganda al peggior residuo della tirannia asiatica, spacciando la riduzione in uno stato di sostanziale schiavitù della ingente manodopera immigrata, come un modello di riduzione del costo del lavoro. In tal modo il più antidemocratico e persino antiliberale dei regimi – per altro una teocrazia che finanzia da sempre la diffusione a livello internazionale del fondamentalismo islamico, in cui un blogger liberale è condannato a molti anni di carcere e a un migliaio di frustate in pubblico, in cui le donne che si sono battute per poter guidare e uscire senza il controllo di un uomo sono state violentate e ripetutamente torturate nelle prigioni – viene spacciato come un paese in cui sarebbe in atto un vero e proprio rinascimento. Peraltro, l’ultrapapista Renzi non si fa scrupolo di esaltare un regime in cui la sola predicazione del cristianesimo è punibile con la pena di morte

Abbiamo, dunque, un politicante che in patria fa il moralista condannando qualsiasi sussidio sociale per i più deboli, mentre vive nel lusso con i generosissimi finanziamenti che riceve per essersi posto al completo servizio di un sanguinario sceicco, che spaccia come un illuminato principe rinascimentale. D’altra parte tale attitudine zelante nei confronti dei capi dei regimi più sfacciatamente totalitari, questo voler fare sempre il primo della classe fra i politicanti al soldo dei poteri forti, può finire con l’essere controproducente. In effetti, il nostro – volendo essere il più fervente sostenitore dell’imperialismo europeo e distinguersi dai sovranisti, sostenitori di Trump – si schiera decisamente con Biden. Così proprio quando quest’ultimo – per marcare le distanze con Trump e favorire Israele preoccupato per le troppe armi vendute dagli Stati Uniti alle petromonarchie del Golfo – decide di sospendere le forniture militari in primo luogo proprio all’Arabia Saudita, Renzi si trova a tesserne, nel modo più sfacciato, le lodi. Tanto da farsi scavalcare, quale più fedele clientes degli Stati Uniti, dal tanto odiato governo Conte, che improvvisamente si rammenta di una legge che impedisce di vendere armi in paesi in guerra e che violano i diritti umani, per sospendere le forniture militari proprio all’Arabia Saudita, tanto più che tali armi erano state commissionate a un’impresa tedesca delocalizzata in Italia. Un’impresa che – mentre il proprio governo si faceva bello come difensore dei diritti umani, vietando la vendita di armi a chi sta devastando da anni con bombardamenti terroristici lo Yemen, tanto da ridurlo al più povero paese del mondo – continuava tranquillamente a produrre nel nostro paese armi da fornire agli aguzzini. Allo stesso modo, il tentativo di Renzi di imporre un cambiamento del ministro dell’economia, credendo così di farsi ulteriormente bello davanti alla classe dominante, ha costretto lo stesso presidente di Confindustria – un vero e proprio pasdaran del neoliberismo – a difendere a spada tratta Gualtieri, in quanto garante di una politica economica filopadronale

Nonostante i continui disastri provocati dal nostro rottamatore, il capo dello Stato e il presidente della Camera si sono prestati o sono caduti nella manovra di Renzi, d’accordo con Berlusconi e Giorgetti, volta a imporre un nuovo governo tecnico, un governo del presidente trasversale alle forze politiche. Così le sorti “politiche” del paese sono finite nelle mani di un dirigente politico che, se si andasse ora alle elezioni, rischierebbe di essere completamente cancellato dal voto popolare.

Un analogo paradosso sta mettendo in grosse difficoltà gli Emirati Arabi Uniti che, dopo essersi precipitati per essere i primi a firmare gli accordi con i sionisti, per avere in cambio maggiori forniture di armi da parte degli Stati Uniti, si ritrovano ora con il nuovo governo di questi ultimi che – dinanzi alle pressioni del governo israeliano preoccupato di veder messa in discussione la propria prevalenza sul piano militare nell’area – ha bloccato la vendita di armi alle petromonarchie.

La svolta umanitaria del nuovo governo “democratico” di Biden, apparentemente in controtendenza rispetto alla politica del governo di destra radicale di Trump, in realtà mira a realizzare proprio quelle politiche ultrareazionarie che non sono riuscite alla precedente amministrazione. La sospensione delle forniture militari all’Arabia Saudita avrà, in effetti, la funzione di ricattare questo paese poiché non ha ancora firmato gli accordi di pace con i sionisti, in barba all’occupazione della Palestina, per non perdere definitivamente la faccia davanti alle masse arabe.

Peraltro il cambio di amministrazione negli Stati Uniti non ha in alcun modo messo in discussione la costante tendenza dei sionisti ad affermare la propria volontà di potenza in spregio di qualsiasi norma del diritto internazionale, continuando i propri bombardamenti sulla martoriata Siria senza nemmeno una dichiarazione di guerra e violando lo spazio aereo libanese, il giorno successivo all’insediamento di Biden. A proposito di gattopardismo, occorre ricordare come l’ennesima “rivoluzione colorata” in Sudan – al solito acriticamente esaltata dalla sinistra spontaneista – come primo atto, dopo la conquista della “democrazia”, ha firmato gli accordi tanto voluti dall’amministrazione Trump per rafforzare l’occupazione della Palestina e rafforzare la coalizione volta a porre fine alla resistenza antimperialista in Medio Oriente. Peraltro i massimi rappresentanti dell’esportazione della democrazia a livello internazionale proprio questo pretendevano dal Sudan per toglierlo dalla loro arbitraria lista di Stati che appoggerebbero il terrorismo internazionale.

Del resto l’appoggio sostanzialmente incondizionato al sionismo da parte della sedicente “comunità internazionale”, ovvero da parte delle potenze imperialiste occidentali, campioni dell’esportazione della democrazia e delle guerre umanitarie, non arretra nemmeno quando la più credibile Ong israeliana schierata a difesa dei diritti umani B’Tselem sostiene nel suo ultimo rapporto che “non c’è metro quadrato tra il fiume Giordano e il Mediterraneo in cui un palestinese e un ebreo siano uguali”. Siamo, dunque, di fronte a “un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: questo è l’apartheid”. Tanto che “l’intera area è organizzata secondo un principio: avanzare e perpetuare la supremazia di un gruppo, gli ebrei, su un altro, i palestinesi”. Per altro Hagai El-Ad, direttore esecutivo di B’Tselem non ha mancato di denunciare la legge fondamentale che ha proclamato “Israele-Stato della nazione ebraica” – approvata dal “democratico” parlamento israeliano nel 2018 – che “ha preso la discriminazione esistente e la ha trasformata in un principio costituzionale”.

Tornando alla tragica crisi (a)-politica italiana – visti gli assetti mai così unanimemente filoborghesi del parlamento e gli scenari che si prospettano e che preannunciano una virata ancora più a destra del governo tecnico e/o del presidente – l’opposizione comunista dovrebbe essere in prima fila nelle piazze a chiedere lo scioglimento delle camere e la restituzione – sebbene per il breve attimo delle elezioni – della sovranità al popolo. Il punto è che la sinistra di classe appare incapace di contrastare l’egemonia dominante ed è altrettanto incapace di rappresentare una credibile e reale alternativa a causa delle divisioni settarie che la dilaniano.

D’altra parte, se anche la sinistra di classe fosse in grado di imporre ai poteri forti il ritorno alle urne, a uscirne rafforzate sarebbero comunque, con l’attuale sistema elettorale, le forze della destra, il cui principale dirigente mira a riproporre la ricetta ultrafallimentare reaganiana della flat tax, una ricetta così indigesta da dover essere ripudiata dallo stesso presidente statunitense divenuto il simbolo della restaurazione liberista.

Tuttavia, in mancanza di una credibile opposizione di sinistra alle politiche antipopolari del governo tecnico – evocato proprio per gestire nel modo più rigorosamente liberista i fondi europei e far fronte alla fine del blocco dei licenziamenti entro marzo – sarà contrapposta come unica alternativa, dall’ideologia dominante, il populismo nazionalista e xenofobo della destra radicale. In tal modo maggioranza e opposizione continueranno a essere due facce della stessa classe dominante borghese, la prima schiacciata sulle posizioni del grande capitale finanziario nazionale e transnazionale e la seconda sui settori reazionari della piccola e media borghesia. Prospettando ancora una volta ai ceti subalterni l’impossibile scelta fra la peste e il colera.

05/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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