La Francia e l'Europa dopo la vittoria del Front National

Il risultato delle regionali transalpine ci mette dinanzi a un bivio. Bisogna scegliere tra la restaurazione del capitale nazionale o l'affermazione democratica della sovranità popolare?


La Francia e l'Europa dopo la vittoria del Front National

Il risultato delle regionali transalpine ci mette dinanzi a un bivio. Bisogna scegliere tra la restaurazione del capitale nazionale o l'affermazione democratica della sovranità popolare?

di Domenico Moro

C'è un aspetto che va sottolineato nella recente vittoria del Front National alle regionali francesi. Spesso le forze di governo e l’establishment tradizionale in occasione di gravi attentati o di minacce esterne riescono a trovare motivo di stabilizzazione. Così non è avvenuto in Francia. L’accentuazione della tendenza alla guerra non ha avvantaggiato Hollande, né, dopo gli attentati di Parigi, sembra essersi realizzata alcuna union sacré, che giovasse al partito di governo. Si accentua invece, con la vittoria della Le Pen, il fenomeno, centrale in questa fase storica, del declino dei partiti tradizionali di centro-destra e di centro-sinistra e della fine o almeno della forte incrinatura del bipolarismo come sistema di funzionamento delle democrazie europee. Alla radice dell’emersione delle “terze forze” c’è la riorganizzazione complessiva della produzione capitalistica in Europa, di cui l'integrazione economica e soprattutto valutaria europea è la leva principale. Il patto sociale keynesiano tra capitale e lavoro salariato, stabilitosi dopo la Seconda guerra mondiale e messo in discussione a partire dagli anni ’80 con l’offensiva neoliberista, è andato definitivamente in frantumi mediante l’introduzione dell’euro e l’applicazione dei vincoli europei. Centro-destra e centro-sinistra in tutta Europa hanno portato avanti le stesse politiche di indirizzo europeo, fondate sull'austerity e sul controllo del bilancio pubblico e imposte mediante l'architettura dell'euro. I partiti o sono l'espressione di istanze neo-liberiste solo superficialmente diversificate o di posizioni ingenue che pensano che il problema stia nella corruzione o nell'inefficienza della politica invece che nei rapporti di produzione. Oggi il capitalismo non ha più interesse a politiche di sostegno all’economia nazionale e al Pil della Francia o dell’Italia o della Spagna, perché opera su scala mondiale. Quindi, mentre gli investimenti privati e la produzione si delocalizzano, insieme ai posti di lavoro, anche gli investimenti pubblici si contraggono per ridurre il debito pubblico e liberare risorse a beneficio del mercato finanziario internazionale. I vincoli di bilancio e l’integrazione valutaria e finanziaria europea sono del tutto funzionali al nuovo capitalismo globalizzato. Le conseguenze di tali trasformazioni sono devastanti per milioni di europei. In questo contesto, Marine Le Pen non si è limitata al solito armamentario xenofobo anti-immigrati. Negli ultimi anni il Front National si è trasformato da formazione di estrema destra classica in una formazione in cui gli aspetti tradizionali della cultura reazionaria francese si sono integrati con aspetti nuovi. Non si è trattato soltanto di un abile maquillage politico eseguito da Marine Le Pen e fondato sulla condanna dell’antisemitismo, che caratterizzava il vecchio Front National del padre Jean Marie, e sul riconoscimento dei diritti civili ad esempio di quelli degli omosessuali. Il Front National ha soprattutto assunto una precisa connotazione sul piano economico-sociale. Non è più il partito neoliberista e reaganiano di un tempo, ma parla apertamente di intervento statale nell’economia. Soprattutto al centro della critica dei partiti tradizionali e della proposta politica del Front National c’è l’attacco al processo di integrazione europea. La Le Pen non si è fatta alcuno scrupolo di attaccare le delocalizzazioni e l'euro, promettendo di rimettere in discussione il trattato di Maastricht. Oggi, il Front National si erge come alfiere del recupero dell’autonomia nazionale contro i diktat di Bruxelles e le politiche di Berlino.

Viceversa, quanto sta a sinistra del centro-sinistra, inclusi spesso anche i partiti comunisti, continua a farsi scrupoli ad affrontare con decisione il tema dell'euro e della Ue. Temendo di spaventare il proprio elettorato con proposte “forti”, di essere presa per nazionalista e confusa con la destra estrema e i "populismi", la sinistra si condanna all'immobilismo. Nello stesso tempo lascia un argomento forte all'estrema destra, che lo porta avanti in direzione reazionaria e, alla fine, con esiti che saranno del tutto velleitari e controproducenti. Infatti, il recupero della sovranità nazionale può essere inteso in due modi molto diversi. L’estrema destra, come nel caso del Front National, intende questo recupero non come un recupero della sovranità popolare ma come un ritorno a un capitalismo che non esiste più, esprimendo gli interessi di settori borghesi non internazionalizzati e penalizzati dalla globalizzazione e dalla riorganizzazione del capitale europeo. Sono questi settori, un tempo base di massa del neoliberismo, che ora cercano di rifugiarsi, sotto i colpi della crisi, sotto l’ala assistenziale dello Stato. Malgrado la sua precisa natura di classe, in assenza di una chiara proposta a sinistra sui temi in questione, la posizione del Front National riesce ad esercitare una egemonia anche sulla classe operaia e su settori importanti del lavoro salariato, impiegando il collante dell’identità etnico-nazionale e la paura dell’immigrato. Una situazione simile è riscontrabile anche in altri paesi europei ed anche in Italia, dove la Lega è da anni presente non solo tra settori di piccola e media borghesia ma anche all’interno della classe operaia di certe regioni. La differenza è che, mentre la Lega fatica a proporsi come partito nazionale, specie nelle regioni meridionali più povere, ed ha le sue roccaforti nelle regioni più ricche, Lombardia e Veneto, il Front National è più uniformemente diffuso, non solo in regioni più benestanti come la Costa Azzurra ma anche nel Nord impoverito. La regione del Nord Pas de Calais era un tempo non lontano un bastione della sinistra e del partito comunista. Oggi, con le miniere chiuse, le fabbriche delocalizzate e la disoccupazione al 18%, Le Pen è prima con il 40% dei voti. La città di Calais è stata governata dal partito comunista per 37 anni fino al 2008, quando a vincere le comunali fu la destra. Oggi, il Front National è al 49,1% e i comunisti sono al 5,3%.

Ad ogni modo, la guerra e gli attentati non sono riusciti a ricompattare il paese dietro Hollande e i due partiti dell’alternanza bipartitica tradizionale. Alla base del sentimento di insicurezza diffuso in Francia come in Italia c’è molto più del Jihadismo, c’è la disgregazione del tessuto prima produttivo e poi sociale dell’Europa che sospinge nella marginalità economico-sociale milioni di europei, non solo quelli di origine araba e extraeuropea ma anche i “nativi”. L’aspetto che accomuna entrambi i settori del lavoro salariato e della massa dei disoccupati e sottoccupati europei è la tendenza a rivolgersi a ideologie di tipo speculare, che, anziché individuare le vere radici delle proprie difficoltà nei rapporti di produzione e ricondurre il conflitto alla contraddizione fra capitale e lavoro, lo sposta su di un piano etnico e religioso. La fortuna di entrambe queste ideologie ha radici comuni. Trenta anni fa le tensioni sociali si sarebbero espresse in altre forme e sarebbero state egemonizzate dalla sinistra. Nel frattempo, però, ci sono stati in Oriente l’affermazione dell’islamismo radicale come forma vincente della lotta contro l’imperialismo, e in Europa i processi di integrazione europea. Ma soprattutto si è registrato sia in Oriente sia nell’Occidente europeo il ritardo della sinistra e dei partiti comunisti e il loro ripiegamento, prima ancora che sul piano politico, su quello culturale. La sinistra paga la mancata comprensione delle trasformazioni epocali cui è andato incontro il capitalismo e il fatto di non averne tratto le necessarie conclusioni in termini di posizionamento e di profilo politico. Ciò riguarda la questione della internità/alleanza con il centro-sinistra, ma non si esaurisce in questo aspetto. Oggi, si tratta di ridefinire un posizionamento e un profilo ideologico e politico adeguati alla mutata fase storica. La questione dell’euro e dell’integrazione europea è, in questo senso, imprescindibile. Definire le modalità con cui approcciare questo tema, senz’altro complesso e delicato, è il banco di prova dell’immediato futuro. Esistono due diverse strade di fuoriuscita dall’Europa neoliberista. Una è di destra, proposta dalla Lega e dal Front National, un'altra è di sinistra. La differenza sta nel fatto che per la prima il tema è il ritorno alla sovranità nazionale mentre per la seconda il tema è l’affermazione della sovranità popolare. Nel primo caso si tratta della restaurazione del capitale nazionale, nella seconda si tratta in primo luogo del recupero del potere della rappresentanza parlamentare sugli esecutivi, che sempre di più governano mediante decretazione d’urgenza, e in secondo luogo dell’allargamento del controllo democratico su alcuni decisivi processi decisionali a livello economico-sociale, che sono stati delegati dagli Stati-nazione a organismi sovrannazionali al servizio del capitale transnazionale, dalla Commissione europea alla Bce. La deriva xenofoba che sta facendo sprofondare la società europea in una devastante guerra tra poveri non si combatte soltanto sul piano morale e culturale, ma individuando con chiarezza negli assetti attuali dell’Europa l’obiettivo da affrontare e trasformare.

11/12/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Domenico Moro

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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