Il Parti de Gauche (PG), fondato nel 2009 da Melenchon e principale ossatura organizzativa del più ampio assembramento ‘frontista’ della France Insoumise, ha da qualche giorno concluso il suo congresso. Si è in questa occasione certificata l’uscita dello stesso PG dalla Sinistra Europea (SE).
Prendendo atto che all’interno della SE non si vuole raggiungere una chiarificazione rispetto alla politica di austerità dell’Unione Europea e che l’applicazione di quelle stesse politiche di austerità da parte di uno dei membri della SE ha screditato l’azione politica di tutti gli altri, il PG ha dichiarato che “a un anno dalle elezioni europee non è più possibile unire nello stesso partito europeo gli avversari e gli autori dell’austerità. […] Syriza è diventata la rappresentante della linea dell’austerità in Grecia al punto che ha attaccato il diritto allo sciopero, ha abbassato drasticamente le pensioni, privatizzato settori interi dell’economia; tutte misure contro le quali i nostri partiti si battono in ciascun paese”.
Si consuma così una rottura preannunciata e che ha le sue radici nella decisione di Tsipras di firmare il memorandum sul debito, aprendo così una stagione di severa austerità che non si concluderà con la fine del programma di salvataggio (come si ammette addirittura dalle colonne de Il Manifesto). Nel gennaio di quest’anno, e per le stesse motivazioni, il PG aveva avanzato alla SE la richiesta di espulsione di Syriza, provocando una rigida risposta di chiusura da parte dei vertici della formazione europea. Questo traspare dalle stesse parole del suo presidente Gregor Gysi. Per il leader della SE, la posizione al governo di un intero popolo chiamerebbe Tsipras ad atti di responsabilità: da una parte, le misure di austerità vengono giustificate come frutto della costante minaccia da parte della Troika; dall’altra Gysi cerca di mettere in risalto le politiche di lotta alla povertà che il governo ha timidamente e senza adeguate coperture cercato di perseguire. In ogni caso, la SE è difesa come un contenitore in cui si può criticare e discutere, ma non si può in nessun caso espellere.
Lo scontro si era infuocato nuovamente a fine giugno, quando Tsipras aveva dichiarato di non intrattenere più alcun rapporto con il PG e di nutrire seri dubbi sulla volontà di vincere le ultime elezioni presidenziali da parte di Melenchon, viste le proposte a suo avviso non realistiche contenute nel programma della France Insoumise. La risposta non si è fatta attendere e Melenchon dal suo account twitter aveva tuonato che, contrariamente a Tsipras, “noi vogliamo governare e non essere sottomessi. No, noi non vogliamo governare come te contro i pensionati, i funzionari pubblici e l’indipendenza del paese”.
L’operazione di richiesta di espulsione prima e di auto-esclusione poi è da inserire in un quadro di divaricazione delle differenti strategie politiche. In vista delle elezioni europee del 2019, la mossa del PG è un ulteriore passo verso la nascita di una formazione a livello continentale che si possa completamente smarcare dalle ambiguità della SE e che sia libera di portare avanti con nettezza posizioni anti-UE e per la potenziale attuazione del Piano B.
D’altronde, il nucleo di questo nuovo assembramento è già in piedi ed è nato con la dichiarazione di Lisbona, sottoscritta dalla France Insoumise, Podemos e il Bloco de Esquerda. La lista ‘Ora il Popolo’ che si sta sviluppando si vuole caratterizzare come alternativa al riformismo della SE e del movimento di Varoufakis e per una critica più netta ai trattati europei. Il progetto sta iniziando a raccogliere qualche altra timida adesione nel nord Europa: l’Alleanza Verde-Rossa danese, il Partito di Sinistra svedese e l’Alleanza di Sinistra finlandese. L’invito all’adesione è stato espressamente rivolto anche ad una parte della Die Linke ma tutt’ora non ha ricevuto risposta.
Inizia così ad emergere una volontà da parte di alcune formazioni di sinistra in Europa di far finalmente maturare la contraddizione di fondo rispetto al posizionamento sull’Unione Europea, della quale ambivalenza e ambiguità si è nutrita la SE sin dalla sua formazione. Il messaggio che lanciano è che procrastinare ormai voglia dire essere complici del massacro sociale ed economico imposto ai popoli d’Europa.
Non mancano gli attacchi frontali: qualche giorno fa, un articolo apparso su Il Manifesto banalizzava la storica rottura che si sta consumando come lo scontro fra una sinistra ‘sovranista’ e ancora nostalgicamente attaccata all’idea dello stato nazione e una sinistra ‘internazionalista’ che vede il futuro progressista nella lotta per la democratizzazione dell’Unione Europea.
Eric Coquerel, volto noto del PG, risponde così all’accusa di essere portatori di un ‘nazionalismo di sinistra’: “Quello che noi costruiamo con ‘Ora il Popolo’ è la prova che noi abbiamo una visione internazionalista. Per contro, quello che per noi sarà centrale in queste elezioni è la questione della sovranità popolare. È alla base di tutto. Noi dobbiamo rompere con questa Unione Europea antidemocratica. Quella è una macchina per la costruzione di nazionalismi, di xenofobia e di ripiegamento su se stessa. Non ne possiamo più di discorsi social-democratici che lasciano credere che potremo riformare questa UE dentro il quadro dei trattati liberali”.
Ma la rottura con la SE formula un messaggio chiaro anche per gli attori sociali sul palco politica interna francese. Un paese nel quale il sosia vincente di Matteo Renzi, Macron, anche se in netto calo di popolarità, è riuscito per il momento ad imporre la sua agenda di riforme ultraliberiste. La grande prova di coraggio dei lavoratori e degli studenti degli ultimi mesi ha però lasciato intravedere una possibile ricomposizione dell’opposizione di classe e popolare su basi avanzate. In particolare, la tenacia con la quale i lavoratori dei trasporti hanno affrontato il testa a testa ha messo a nudo l’organicità delle riforme e i loro legami con i diktat europei. In una Francia che vede l’azione politica della Le Pen incentrata sul nazionalismo xenofobo e quella del Partito Comunista completamente schiacciato su posizioni europeiste, Mélenchon e il PG segnalano ancora una volta la loro messa a disposizione per questo processo di ricostruzione sociale di classe in contrapposizione ad entrambe le alternative.
Su Initiative Communiste, il Polo di Rinascita Comunista in Francia ha salutato positivamente la notizia come “la logica conseguenza della presa di coscienza che la SE è un cavallo di Troia del grande capitale europeista in seno alla sinistra in Europa. Come la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) a livello sindacale, la SE è l’espressione di parte della collaborazione di classe e del riformismo. Imbrigliando la sinistra dentro la gabbia per natura reazionaria dell’Unione Europea, la SE è diventata una cinghia di trasmissione dentro l’UE che serve a screditare la sinistra e a fare apparire l’estrema destra come la sola forza anti-UE. […] Non dobbiamo legittimare questo mostro istituzionale imperialista, reazionario e bellicista che è l’UE. Né attraverso la SE, né attraverso la CES, né con la futura mascherata elettorale europeista e già delegittimata”.
Questi ultimi sviluppi impongono una presa di posizione netta anche in seno alla sinistra nostrana e fanno emergere chiaramente come la presenza di formazioni politiche o elettorali caratterizzate dal nodo irrisolto rispetto al loro posizionamento nei confronti dell’Unione Europea rappresenti in questo momento storico una grave zavorra alla ricostruzione di una sinistra di classe che possa mirare ad uscire dalla marginalità nella quale si è relegata.