Anche chi sfoglia distrattamente i giornali avrà potuto osservare che c’è un gran parlare di sovranismo e di antisovranismo; il primo visto come un mostro, un pericolo, un disastro dal Sole 24 ore e dal Corriere della sera [1]; il secondo considerato dai vari movimenti di cui abbiamo parlato la volta precedente la causa dei mali prodotti dalla mondializzazione, che ha spezzato le frontiere lasciando via libera ai capitali, alle merci e alle persone.
Per esempio, in un articolo del 25 febbraio scorso di S. Fabbrini (Sole 24 ore), paventando la costituzione dopo il 4 marzo di un governo sovranista, si analizzano le varie sfumature di questa posizione politica, che si nutre a suo parere di una cultura antipluralista e perciò autoritaria. Inoltre, Fabbrini analizza le varie forme di sovranismo, il cui obiettivo è la revisione dei Trattati europei, non sicuramente l’uscita dall’eurozona, attribuendone anche una modalità a LeU, considerata addirittura “sinistra radicale”.
Nel Corriere della sera è, invece, l’eterno Angelo Panebianco a tuonare contro il sovranismo, che con straordinaria miopia politica attribuisce al fatto che le nuove generazioni non hanno vissuto i grandi traumi delle guerre mondiali e, quindi, non si rendono conto che eventuali frammentazioni sovraniste riporterebbero alla ribalta tali tragedie.
È persino noioso ripetere che dal 1945 abbiamo assistito a guerre di varia intensità in tutte le parti del mondo, in cui c’era sempre l’artiglio diretto o indiretto degli Stati Uniti, e che una di queste è proprio scaturita dalla volontà di far saltare la piena sovranità di un paese europeo: la Jugoslavia [2]. Da ciò si evince che, in questo caso, ma anche in tutti gli altri (si pensi alla Corea, al Vietnam, a Cuba) è proprio l’antisovranismo statunitense a fomentare la guerra, tanto che Domenico Losurdo giustamente ricordava che, nella fase imperialistica, ci sono paesi che si rafforzano come Stati e paesi che da questi ultimi vengono disgregati (ovviamente a vantaggio dei primi). Con queste considerazioni si può certo affermare che l’editorialista del Corriere della sera non aiuta i nostri giovani ad imparare la storia, rendendosi responsabile di quella disinformazione di cui si lamenta.
Tale atteggiamento astioso verso il sovranismo e il costituzionalismo è pienamente giustificato, dal punto di vista di chi lo adotta, perché essi implicitamente rimandano a quel patto keynesiano incarnato nella nostra Costituzione e che, nella fase dell’attuale crisi economica, costituisce solo un danno per le élite dominanti. Accordo che si basava, nei paesi sviluppati, su di un compromesso di classe in virtù del quale i profitti e i salari crescevano parallelamente, soprattutto nella cosiddetta fase del keynesismo militare, mentre il Terzo Mondo veniva allegramente saccheggiato e massacrato.
Ci pare, tuttavia, che un sovranismo e un costituzionalismo maggiormente valido sia quello descritto dall’articolo di Francesco Valerio Della Croce, che mette l’accento sulla stretta interconnessione tra lotta nazionale e solidarietà internazionale dei lavoratori (non delle multinazionali o delle banche); anzi, se questa interconnessione cade finiamo nel sovranismo apertamente fascista o in quello demagogico, che si pone come unico obiettivo quello di procurarsi voti, di trovare un capro espiatorio (i migranti) contro cui rivolgere il malcontento popolare, anche perché i suoi fautori sono del tutto incapaci di approfondimenti analitici. Inoltre, il sovranismo senza vincoli internazionali non può certo risolvere la crisi sistemica del capitalismo contemporaneo, interconnessa a tanti fattori quali le innovazioni tecnologiche, l’acuirsi delle contraddizioni intercapitalistiche, il drammatico problema ecologico, lo scarto sempre più forte tra centro e periferia, che provoca il tragico fenomeno migratorio coinvolgente probabilmente circa 700 milioni di persone nel mondo.
Il nostro sovranismo è, invece, tutt’altra cosa. Esso deve certo restituire all’Italia la sua infrastruttura industriale, i pieni diritti sul lavoro, la Costituzione del 1948, la deve liberare dai Trattati internazionali che rischiano di coinvolgerla in “guerre totali”, ma questo processo non sarà realizzabile se non coordinato con le classi popolari degli altri paesi e non solo europei.
Ciò è ben spiegato, del resto, nel recente articolo di Ascanio Bernardeschi, in cui si prefigura l’uscita dall’eurozona in cinque mosse, la prima delle quali, suggerita anche da Emiliano Brancaccio, sarebbe l’applicazione del art. 65 dei Trattati europei, con il quale si può controllare in casi di emergenza la fuga dei capitali e la volatilità dei mercati finanziari. Ovviamente Bernardeschi prevede altre misure, affinché l’uscita dall’euro non danneggi i lavoratori, tra le quali ricordo il ripristino dell’autonomia della Banca d’Italia, la trasformazione in lire del debito pubblico stipulato in euro, la nazionalizzazione dei settori economici strategici, l’incorporazione del nostro paese in blocchi regionali in una prospettiva internazionalista, come sta avvenendo in varie regioni del mondo (BRICS, ALBA). Processo grazie al quale potrebbe consolidarsi un mondo multipolare più equilibrato sul piano dell’influenza e delle forze di quello attuale.
Come si è visto alle elezioni precedenti, il sovranismo demagogico è anche di nicchia, come quello di Giulietto Chiesa (Lista del popolo), che fa analisi condivisibili, fornisce informazioni importanti, ma poi, richiamandosi allo “spirito dei popoli”, finisce in un mazzinianesimo privo di dio.
Più subdolo mi sembra quello del Movimento Roosevelt, su cui vorrei tornare brevemente, dedicando prima qualche parola a Democracy in Europe - Mouvement 2025 (DiEM 25), perché non mancano le convergenze. In particolare, queste si individuano nella possibilità di democratizzare l’Unione Europea [3] e nella volontà di costituire un’entità transnazionale che, nel vuoto ideologico lasciato dalle “sinistre” liberiste, agitano temi che potrebbero mobilitare le classi popolari in una prospettiva certo non classista, ma preoccupata della povertà e della diseguaglianza (parole che non hanno un’immediata connotazione politica tanto che le usa spesso anche il papa). Problemi che il movimento intende risolvere lanciando un New Deal europeo, ripensare i rapporti lavorativi, integrare con rispetto i migranti, affrontare in maniera seria il problema ecologico etc., il tutto attraverso il lavoro di esperti (da chi nominati?) seguito, controllato ed approvato dagli attivisti.
La differenza sta nel fatto che il Movimento Roosevelt, volto a costituire il Partito democratico progressista, con il suo background esoterico e massonico [4] si richiama a Keynes, oltre che a Olof Palme ed Enrico Mattei, e riparte dall’assioma della scomparsa della dicotomia destra/sinistra e quindi si posiziona al di là di quest’ultima, approvando tuttavia la politica antimigranti di Salvini, mentre i seguaci del noto leader greco si collocano più nettamente a sinistra, benché rimarchino la loro trasversalità. Caratteristica questa di molti movimenti, come per esempio, i 5 Stelle.
Le convergenze, invece, con il Movimento Roosevelt sono dimostrate dal fatto che il primo si propone di collaborare con il secondo, e conseguentemente ospita nel suo sito per un’intervista Lorenzo Marsili, uno dei principali esponenti di DiEM 25 in Italia, sorto anche per impedire la disgregazione dell’Europa e per renderla unita e sovrana [5]. Anzi per essere più precisi, in nome di un sovranismo europeo, Marsili dichiara che il suo movimento si propone di salvare l’Europa da se stessa, o meglio “salvare il capitalismo da se stesso”. In definitiva, - come del resto il gruppo di Giulietto Chiesa - entrambi i raggruppamenti fanno riferimento al keynesismo, ossia all’intervento pubblico per rilanciare l’economia e, per dirla con le parole di Varoufakis, avvalendosi di “Keynes con un pizzico di Marx”.
Dunque, l’elemento che caratterizza i DiEM 25 sembra essere l’obiettivo di costituire un movimento dal basso e partecipato (come tutti questi gruppi rivendicano), rendere trasparente il funzionamento delle istituzioni europee e combattere il dominio assoluto del Consiglio che riunisce i capi dei membri dell’Unione, il cui leader è attualmente il conservatore polacco Donald Tusk.
In conclusione, analizzando le caratteristiche sia pure diverse di questi movimenti sorge spontaneo farsi almeno tre domande: dopo la “controrivoluzione liberista” siamo nella congiuntura economica e politica che rende credibile la possibilità di adottare e di mettere in pratica politiche keynesiane? Ammesso che sia possibile, queste ultime sono sufficienti a dare risposte alle gravi contraddizioni del sistema capitalistico, che vede acuirsi sempre più il conflitto tra le classi, nel quale per garantire i profitti in calo i lavoratori sono sempre meno pagati, sempre più precarizzati, subordinati e in misura sempre più crescente disoccupati ed esclusi dall’accesso anche ai beni indispensabili? Infine, non potrebbe questa retorica progressista, con la quale si tenta di dare un nuovo volto al tradizionale riformismo ormai impresentabile, sviarci dall’unica via di uscita realistica e radicale: abbattere il capitalismo, sia pure come obiettivo finale ma raggiungibile e concreto?
Note
[1] Cosa del tutto ovvia se si pensa ai loro riferimenti di classe.
[2] Per non parlare poi di quel focolaio di guerra collocato in Ucraina, che con un colpo di Stato, ossia della violazione della sua sovranità, si vuole inglobare nella NATO in funzione anti-russa.
[3] Da cui DiEM 25 ritiene sia anche possibile uscire senza una decisione concordata per dar vita ad un’altra Europa (il cosiddetto Piano B, cui i diversi segmenti della sinistra radicale stanno ancora lavorando).
[4] Legato al sito e movimento del Grande Oriente d’Italia Democratico, curato e guidato da Gioele Magaldi, il cui acronimo è semplicemente GOD, tanto per dare un’idea di quanto siano smisurate le ambizioni di questi individui e quanto sia grande la loro ansia di diventare dei “sovrani divini”.
[5] Il loro manifesto è stato firmato anche da Noam Chomsky e da Ken Loach.