Qualsiasi cosa e, di conseguenza, qualsiasi governo può essere criticato tanto da destra quanto da sinistra. Ne consegue, ovviamente, che si può fare opposizione a un governo sia da destra che da sinistra. A scanso di equivoci chiariamo che utilizziamo i termini destra e sinistra non in senso empirico o giornalistico, ossia in riferimento a dove siedono i parlamentari rispetto alla presidenza della camera o sulla base di cosa affermano di essere, ma sulla base di ciò che effettivamente dimostrano di essere in relazione al conflitto sociale che, in una società divisa in classi, costituisce il reale motore della storia. Per cui di sinistra sarà chi nella lotta di classe si schiererà dalla parte degli sfruttati, dei lavoratori salariati e, più in generale, delle classi sociali subalterne e di destra sarà chi si schiera dalla parte degli sfruttatori, della classe dominante, ovvero della grande borghesia.
Tale premessa è necessaria per l’indispensabile distinzione nell’opposizione all’attuale governo fra chi lo critica da destra, da posizioni ancora più conservatrici o reazionarie o da sinistra, da posizioni più progressiste o rivoluzionarie. Questa distinzione è essenziale in quanto un’opposizione da destra ha necessariamente come conseguenza, nell’immediato, lo spingere il governo ancora più a destra e nel medio termine la preparazione di una sua sostituzione con un governo ancora più conservatore e/o reazionario. Occorre, inoltre, considerare che al di là delle apparenze al peggio non c’è mai fine, ossia per quanto di destra possa essere un governo è sempre possibile non solo spostarlo ancora più a destra, ma operare per la sua sostituzione con un governo ancora più reazionario. Ciò non avviene solo perché un governo o un futuro governo può soggettivamente spostarsi su posizioni ancora più conservatrici, ma anche in quanto viene progressivamente meno una forte e credibile opposizione di sinistra.
Pensiamo, ad esempio, ai governi democristiani del secondo dopoguerra che spesso apparivano agli oppositori quanto di peggio fosse possibile, tanto che era estremamente diffuso lo slogan: non moriremo democristiani. Si è poi visto che i governi postdemocristiani hanno portato ancora più a destra il paese sia a livello economico-sociale che culturale, talvolta in quanto ci sono stati governi ancora più apertamente di destra, ma più in generale in quanto l’opposizione di sinistra è divenuta sempre più debole e meno credibile. Così, sostanzialmente, tutti i governi della seconda repubblica tanto dal punto di vista strutturale, ovvero economico-sociale, quanto dal punto di vista sovrastrutturale, in senso lato culturale, hanno portato l’Italia ancora più a destra.
Si pensi, in quanto particolarmente esemplare a questo proposito, al primo governo di centro-sinistra che, per la prima volta, vedeva la partecipazione diretta degli ex comunisti del Pci e l’appoggio indiretto della maggioranza di chi si ostinava a definirsi comunista, ovvero il Partito della Rifondazione comunista. A guidare tale governo non solo è stato chiamato un democristiano, ma un economista come Prodi noto per aver svenduto a prezzi stracciati le principali imprese pubbliche del paese. Così, paradossalmente il settore pubblico, che si era accresciuto sia durante il ventennio fascista che durante i governi democristiani del dopoguerra, è stato in gran parte smantellato dal politico che ha più di tutti incarnato i governi di centro-sinistra della seconda repubblica e che si è anche distinto come l’italiano che ha più spinto per imporre le regole ultraliberiste su cui si fonda l’Unione europea. Così, durante il primo governo Prodi, per limitarci a qualche esempio, abbiamo assistito sul piano economico e sociale all’introduzione del lavoro precario, con il pacchetto Treu, all’inizio della dequalificazione della scuola pubblica a favore delle private, con la controriforma Berlinguer, allo sdoganamento a livello ideologico dei nazi-fascisti, ovvero dei cosiddetti ragazzi di Salò, alle prime misure razziste contro i lavoratori non autoctoni con la legge Turco-Napolitano. Mentre il primo governo guidato da un ex esponente del Pci, si è distinto per aver schierato per la prima volta il paese in una aggressione imperialista (alla Jugoslavia) senza nemmeno la copertura della foglia di fico dell’Onu.
Un altro caso esemplare sono stati i governi Berlusconi, talmente pessimi e di destra da dare l’impressione che non potesse esistere nulla di più retrivo, con il brillante risultato di rendere per anni credibile, in quanto più forte opposizione a Berlusconi, il Pds nonostante sia divenuto prima Ds e da ultimo Pd e nonostante che non costituisse una reale opposizione di sinistra. Con il bel risultato che: 1) i governi Berlusconi si sono spostati sempre più a destra; 2) si è fatto credere che il problema non fosse il capitalismo o meglio l’imperialismo, ma il conflitto di interessi; 3) l’opposizione sociale e di classe si è sempre più indebolita tanto che i governi che sono seguiti sono stati ancora più ferocemente antipopolari, si pensi per limitarci a tre esempi al governo Dini, che fece passare la controriforma delle pensioni che aveva portato alla caduta del primo governo Berlusconi e i governi tecnici ultraliberisti guidati da Ciampi e Monti, i più ferocemente classisti e antipopolari.
Anche oggi buona parte delle opposizioni riesce nella non facile impresa di criticare il governo Conte da destra, con il brillante risultato di spingerlo più a destra, di far crescere il consenso popolare verso la sua componente più apertamente reazionaria, di affossare ogni opposizione sociale e di preparare scenari futuri ancora più neri. Forza Italia – che in teoria dovrebbe rappresentare il centrodestra moderato ed europeista, disponibile a formare una grande coalizione con il Pd, in funzione antipopulista – critica ogni presa di posizione del governo che si presenta nella forma della rivoluzione passiva, pretendendo una politica sistematicamente e apertamente reazionaria. Anche le critiche rivolte al governo dal Pd sono decisamente ambigue, per quanto riguarda la politica economica quasi esclusivamente di destra, mentre di sinistra quasi esclusivamente sulla questione dei diritti civili. Sebbene, anche in quest’ultimo caso, l’alleanza con cattolici di ogni risma, porta su questioni decisive, come la legge 194, a posizioni piuttosto ambigue.
Tanto più che dopo le spudorate politiche ultraliberiste e antipopolari portate avanti dagli ultimi governi di “centro-sinistra”, dal decreto Poletti, al Jobs act, alla Buona scuola, le politiche improntate a una rivoluzione passiva portate avanti dal governo, non possono che apparire più avanzate e meno palesemente ingiuste e classiste. Così, dopo le misure apertamente antipopolari assunte dai precedenti governi sedicenti di “centro-sinistra”, diviene praticamente impossibile per loro, ora che sono all’opposizione, contrastare con un minimo di credibilità da sinistra le misure del governo Conte.
Il caso più eclatante si è raggiunto questa estate sulla questione della revoca della concessione ai privati della rete autostradale, dopo il disastroso incidente di Genova. Tali erano state le concessioni fatte ai privati dai governi di centro-sinistra, a tutto svantaggio della cosa pubblica e dei cittadini che dinanzi alla sacrosanta indignazione popolare, il governo ha astutamente attaccato le concessioni ai privati e la loro gestione catastrofica riportando, dopo tanti anni, al centro del dibattito la questione delle nazionalizzazioni. Ora, evidentemente, la campagna del governo era puramente demagogica e populista, nei fatti avrebbe portato nel peggiore dei casi a una socializzazione delle perdite dopo il crollo e a una privatizzazione degli utili una volta riassestato il tratto autostradale, nel migliore a una nazionalizzazione di una tratta estremamente limitata, dando a credere che il problema non fossero le privatizzazioni in sé, ma al solito le isolate mele marce, da eliminare per salvaguardare la sostanziale bontà del sistema. Senza contare che una nazionalizzazione senza controllo da parte dei lavoratori e della classi subalterne, nel sistema capitalistico sarebbe stata condotta comunque con il fine di rafforzare il settore privato, oltre ai boiardi di Stato in quota al nuovo governo, attraverso i quali si sarebbero, come di prassi, stati finanziati in modo più o meno apertamente illecito i partiti di riferimento.
Dinanzi a tutto ciò cosa ha fatto la sedicente sinistra? ha dato degli sciacalli ai membri del governo, che speculerebbero sulle disgrazie, ribadendo l’intangibilità delle concessioni ai privati, sostenendo che metterle in discussione avrebbero comportato delle penali pesantissime ai danni dello Stato. Il tutto senza attaccare il governo per non aver posto da subito il problema delle concessioni senza controllo ai privati della rete autostradale e senza sbugiardare quanto meno la Lega che, nei governi di centro-destra di cui aveva fatto parte, aveva portato avanti le privatizzazioni gravosissime per i cittadini in perfetta continuità con il centro-sinistra.
Altro caso da manuale di suicidio dell’opposizione sedicente di sinistra sono state le critiche alle manovre economiche del governo Conte. Anche in questo caso, invece di incalzare il governo del “cambiamento” sulle blande misure caratteristiche della rivoluzione passiva, come il sedicente reddito di cittadinanza e le minime misure per alleviare i costi sociali della controriforma delle pensioni operata dalla Fornero, la sedicente sinistra non ha fatto altro che schierarsi con la linea ultraliberista dei poteri forti, della Troika, pronta a colpire con pesanti minacce di ritorsione le classi popolari italiane in quanto il loro governo oserebbe mettere in discussione la piena continuità con le misure apertamente antipopolari dei governi precedenti.
Ecco così la sedicente sinistra tutta schierata a far pressione sui tecnocrati europei, sulle agenzie di rating, sui grandi speculatori pronti nuovamente a far schizzare alle stelle lo spread, pur di mettere in difficoltà le blande misure di rivoluzione passiva portate avanti dal governo. Con il brillante risultato di dare credito alle maschere populiste e demagogiche assunte del governo per strappare alle sinistre anche il consenso fra le classi popolari.
In tal modo la politica economica del governo ha potuto fare ancora meno apparenti concessioni alle classi popolari, di quanto si era ripromessa per mantenere su di esse una qualche egemonia, favorendo al contempo l’ulteriore crescita del debito pubblico e l’aumento delle speculazioni volte a scaricare sulla debole Italia i costi negativi della crisi. Con il brillante risultato che per la prima volta un governo, invece di perdere come al solito consensi una volta tradite le promesse elettorali demagogiche e populiste, si è incredibilmente rafforzato. Anzi al suo interno ad apparire inadempienti sono state, anche per l’opposizione da destra della sedicente sinistra, le componenti più di “sinistra”, quelle che si erano maggiormente compromesse con i movimenti popolari, lasciando sempre più spazio e consenso alle forze della destra radicale.
Tanto che oggi i poteri forti spingono a un nuovo governo Pd-Lega, per eliminare con i Cinque stelle anche gli ultimi residui di Rivoluzione passiva. Allo stesso tempo i sondaggi indicano che il consenso di Salvini è salito alle stelle, per altro confermato da tutte le elezioni locali, il M5S in costante calo e Mario Draghi quale unica personalità con una popolarità tale da poter impensierire il ministro degli interni. Ecco, così, il capolavoro della sedicente opposizione di sinistra: l’aver nei fatti favorito come più plausibili sostituti del governo Conte, un governo Salvini con l’appoggio di Forza Italia o del Pd o di entrambi, o un nuovo governo tecnico, espressione diretta del grande capitale finanziario con magari alla testa un Draghi a fare le veci dei precedenti governi Dini, Ciampi e Monti.