Ci dispiace per voi, ma la classe operaia esiste

Per quanti sforzi facciano Repubblica e l’informazione mainstream, non è scomparsa né la classe lavoratrice né l’inevitabile conflitto di classe.


Ci dispiace per voi, ma la classe operaia esiste Credits: https://noisey.vice.com/it/article/colonne-sonore-bellissime-la-classe-operaia-va-in-paradiso

“Ma d’altra parte ogni movimento in cui la classe operaia si oppone come classe alle classi dominanti e cerca di far forza su di essa con pressure from without (pressione dall'esterno) è un political moviment (movimento politico)”. [1]

Forse è il caso di partire da questa lettera di Karl Marx a Bolte del novembre 1871, per commentare il Rapporto annuale 2017 dell’Istat, nel quale si afferma che “all’interno delle stesse classi sociali ciò che sembra essersi profondamente modificato è il senso di appartenenza a una data classe sociale e ciò è particolarmente vero per la classe media e la classe operaia”. La quale classe operaia, evidentemente, esiste ancora anche per l’istituto nazionale di statistica. Eppure, Repubblica e altre testate giornalistiche [2] hanno letto nel rapporto Istat la scomparsa della classe operaia e della piccola borghesia. Ora, sia chiaro, nessuno pretende dall’Istat e tantomeno da Repubblica che si definiscano marxianamente le classi sociali. D’altronde lo stesso Marx non fece in tempo a terminare la sua analisi nel capitolo “Le classi” de Il Capitale, rimasto perciò incompiuto. Ma il barbuto di Treviri fece in tempo a porre la questione in questi termini: “Che cosa costituisce una classe? … A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto all’identità dei loro redditi e delle loro fonti di reddito”.

Appunto, solo a prima vista. Perché al fondo delle cose la linea di demarcazione si trova tra chi è costretto a passare una ampia quota della sua giornata sul posto di lavoro per produrre merci e chi si appropria del profitto che si può ricavare da quelle stesse merci. Questa è la prima suddivisione da tenere in considerazione e dentro questi primi insiemi si determina, quindi, la divisione sociale del lavoro e la distribuzione della ricchezza prodotta, che è conseguenza dei rapporti di produzione e del grado di sfruttamento della forza lavoro. Le classi sociali, cioè, sono determinate dal “rapporto con i mezzi di produzione”, sulla base “del ruolo nell’organizzazione sociale del lavoro, quindi sulla base del modo in cui ottengono la ricchezza sociale e per l’importanza della ricchezza di cui dispongono” [3].

Se la sfera della distribuzione della ricchezza prodotta è conseguenza dei rapporti di produzione, allora l’enorme divario - segnalato dall’Istat - tra i redditi equivalenti della classe dirigente italiana e quelli delle famiglie a basso reddito è un indicatore dell'esistenza di una classe che si oppone a quella dirigente, e questa classe è appunto la classe operaia, ma sarebbe meglio dire la classe lavoratrice, che quindi non è affatto scomparsa. Semmai il segnale che viene dal rapporto Istat è di un aumento della massa della classe lavoratrice, dal momento che viene posta “l’attenzione sulla difficoltà dei lavoratori del ceto medio, osservando come la quota di reddito ad essi distribuita sia diminuita, con un conseguente aumento delle diseguaglianze”. A fare le spese di una distribuzione del reddito sempre più diseguale sono le famiglie a basso reddito, gli anziani soli, i giovani disoccupati, le cui gravi condizioni economiche mette la maggioranza dei membri appartenenti a questi gruppi sociali in condizione di grave deprivazione materiale e di fronte al drammatico rischio povertà. Una condizione dalla quale è difficile uscire, dal momento che la mobilità sociale è di fatto solo una vana speranza.

Un indicatore, in questo senso, è dato dal livello di istruzione, i cui più alti livelli risultano preclusi ai gruppi sociali in condizioni economiche disagiate. E l’Istat sottolinea quanto il livello di istruzione incida sulla mobilità sociale. Ma l’istruzione è sempre meno garantita da un sistema scolastico sempre più classista. Basta notare nel rapporto dell’istituto di statistica come, tra le famiglie italiane a basso reddito, la quota di persone che riesce ad arrivare ad una laurea costituisce solo il 5,5%, contro il 73,6% di chi gode del privilegio di essere parte della classe dirigente di questo Paese. E ciò conta in misura tanto maggiore quanto più si tiene in considerazione che, mentre la classe lavoratrice, che ci dicono sia scomparsa, subisce la crescente precarietà lavorativa significativamente aggravata negli ultimi anni dalla legge Fornero prima e dal Jobs act poi, “nei gruppi a reddito più elevato caratterizzati da maggiori tassi di occupazione, il possesso di elevati titoli di studio favorisce l’accesso a un lavoro più stabile”. Tanto che, mentre spesso e volentieri una donna lavoratrice viene costretta a scegliere tra la maternità e il lavoro, tra la classe dirigente risultano protetti “i livelli di occupazione delle donne anche quando diventano madri”.

Una condizione difficile da modificare anche perché il mantenimento dei rapporti di produzione che garantiscono alle classi dirigenti di questo Paese l’appropriazione delle risorse economiche che permettono le migliori condizioni di vita, permettono anche, allo stesso tempo e a quella stessa classe sociale, la possibilità di partecipazione diretta e indiretta alla vita politica e sociale. Si legge nel rapporto Istat che chi ha il privilegio di partecipare al banchetto della classe dirigente, ha ovviamente maggiori possibilità di quanti sono costretti a condizioni di vita peggiori, non solo di svolgere attività di partito, ma di sostenere economicamente i partiti. Che poi sono, verosimilmente, gli stessi partiti che affermano la necessità di fare sacrifici, che applicano misure di austerità, che accrescono le condizioni di precarietà, che allungano l’età pensionabile, che attentano alla Costituzione per ridurre ulteriormente gli spazi di democrazia e di partecipazione per le classi sociali più deboli. Una classe dirigente, quindi, che favorita dagli attuali rapporti di produzione, può permettersi di imporre, direttamente o indirettamente, misure economiche e politiche che mantengono la loro posizione di privilegio sociale, a scapito della stragrande maggioranza di questo Paese.

Per quanti sforzi facciano Repubblica ed in generale l’informazione mainstream nostrana, la classe lavoratrice non è scomparsa ed è fatta di quelli che lavorano in fabbrica, in cantiere, in un call center; che smistano le merci in un magazzino o le consegnano a casa; che fanno le pulizie in un ospedale, che servono pasti in una mensa, che insegnano in una scuola. Una classe che cresce, si impoverisce, diventa più precaria, muore sul lavoro o per la sua mancanza, ma spesso lotta e che perciò si vorrebbe far scomparire dall’immaginario collettivo perché quando si fa scomparire la classe lavoratrice si fa scomparire il conflitto inevitabile di questa con il capitale. In realtà, la classe lavoratrice non è affatto scomparsa, semmai se ne è ridefinita la composizione. Ma che ciò accada non è affatto una novità. Già Marx notava come “la stratificazione delle classi non appare neppure lì [nell’Inghilterra del suo tempo] nella sua forma pura. Fasi medie e di transizione cancellano anche qui tutte le linee di demarcazione. Ma per la nostra analisi ciò è irrilevante”. Ciò che conta, è “la tendenza costante e la legge di sviluppo del modo di produzione capitalistico di separare in grado sempre maggiore i mezzi di produzione dal lavoro [...] trasformando con ciò il lavoro in lavoro salariato ed i mezzi di produzione in capitale” [4]. Posta in questi termini, la classe lavoratrice, la classe operaia, non è scomparsa, semmai è aumentata la sua massa, dal momento che aumentano le disuguaglianze e, come afferma l’Istat, “anche la borghesia ha al suo interno componenti di livello reddituale e occupazionale meno consolidate di quanto il nome di questa classe evochi”.

Ciò che sta aggravando ulteriormente una situazione già oggettivamente drammatica è che, come sottolinea l’Istat, in particolare per la classe operaia “ciò che sembra essersi profondamente modificato è il senso di appartenenza a una data classe sociale”. E questo pare essere l’intento nel far passare l’idea della fine della classe operaia. Il motivo è che fintanto che i lavoratori non abbiano coscienza dell’appartenza di classe, risulta molto più difficile la loro organizzazione perché si possano modificare le condizioni di disuguaglianza descritte dall’Istat nel suo rapporto. “La classe operaia - sosteneva Marx nella lettera a Bolte già citata - si oppone come classe alle classi dominanti” e solo in questo modo che “dai singoli movimenti economici degli operai sorge e si sviluppa dappertutto il movimento politico” che, come abbiamo visto, le classi dirigenti ostacolano con la loro attività politica e sociale consentita dalla loro condizione di classe privilegiata.

Rimane, però, il potenziale conflittuale. E nonostante la crescente stratificazione di classe, ed anzi proprio perché è così accentuata che - come hanno indicato i compagni del Clash City Workers in Dove sono i nostri, pregevole, recente inchiesta su lavoro, classe e movimenti italiani - è necessario “ricostruire le fila, agendo su ogni punto di essa per creare l’alleanza più vasta possibile fra i lavoratori [...] Attaccando però ogni volta il punto apicale. [...] Organizzare qualsiasi comparto di classe [...] senza mai dimenticare di orientarlo e di connetterlo alla sfera della produzione, che resta il piano strategico” [5].

Note:

[1] K. Marx, Lettera a Bolte, novembre 1871

[2] Repubblica, in un articolo del 17/05/2017 (http://www.repubblica.it/economia/2017/05/17/news/rapporto_istat-165634199/) ha titolato: “Istat: scompaiono la classe operaia e la piccola borghesia, aumentano le disuguaglianze”. Ma non è stata l’unica testata giornalistica a riferire della scomparsa della classe operaia. Si vedano, ad esempio, dello stesso giorno: RaiNews, “Istat: la crisi spazza via la classe operaia e la piccola borghesia (http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/istat-italia-cambia-volto-addio-borghesia-e-classe-operaia-62f14992-01ea-4f2e-93ad-b4dd08100c80.html); Ansa, “Istat: addio classe operaia, più disuguaglianze” (http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2017/05/17/istat-in-paese-piu-disuguaglianze_53609bd1-e0f1-4769-b2a3-63b9630532c1.html); Il Giornale, “Istat, scomparsi borghesia e operai: ecco le nuove classi sociali” (http://www.ilgiornale.it/news/cronache/istat-scomparsi-borghesia-e-operai-ecco-nuove-classi-sociali-1398129.html)

[3] Lenin, La grande iniziativa, 1919

[4] K. Marx, Il Capitale, Libro III Capitolo 52

[5] Clash City Workers, Dove sono i nostri, La casa Usher, 2014

20/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Carmine Tomeo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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