Jobs Act, Articolo 18, privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica, sono i grandi argomenti che animano il dibattito politico nazionale, occupano le prime pagine di giornali e telegiornali che molto spesso però tengono nascosti gli effetti pratici già in corso dell’austerity in chiave renziana.
La metropoli milanese, che un tempo fu delle grandi fabbriche e oggi tempio della finanza e della moda, è un importante laboratorio delle trasformazioni che stanno avvenendo nello scontro endemico tra capitale e lavoro, dove ad abbandonare la “concertazione” sono i padroni trovando spesso le organizzazioni sindacali e la reazione spontanea della classe impreparati e inadeguati. In una fase in cui si perdono circa 1.000 posti di lavoro ogni giorno (400.000 ogni anno), almeno il 20% interessa la Lombardia e in particolar modo la provincia di Milano.
Quasi tutte le vertenze sono frutto della reazione a chiusure di interi stabilimenti o comparti, licenziamenti collettivi, delocalizzazioni. Rara eccezione la fanno le lotte dei lavoratori della logistica, spesso immigrati, che con insolita (per i tempi odierni) combattività stanno ottenendo accordi con sensibili aumenti salariali e riduzioni di orario di lavoro.
La Nokia di Cassina de Pecchi vuole licenziare 150 lavoratori, la OM Carrelli a Lainate vuol chiudere il magazzino, delocalizzarlo e liquidare 25 operai, la e-Care annuncia la chiusura di un call center e mette a rischio più di 500 posti di lavoro, le AFOL si raggruppano in un’unica sede provocando un esubero di personale anche nel pubblico impiego. Questi sono solo alcuni esempi, che producono reazioni e lotte più o meno organizzate, di uno stillicidio quotidiano di posti di lavoro persi. Troppo spesso l’assenza di collegamento e di coordinamento delle lotte in un piano comune di resistenza di tutte queste vertenze le porta alla sconfitta.
30 anni di concertazione sindacale hanno ridotto ai minimi termini, se non spesso cancellato del tutto, la coscienza dei lavoratori e delle lavoratrici, la solidarietà di classe, la consapevolezza dell’efficacia del conflitto. Intanto le politiche e le ristrutturazioni dei padroni e del governo stanno aumentando la frantumazione e divisione di classe. Jobs acts e Austerity, insieme ai grandi licenziamenti collettivi, alle delocalizzazioni e alle privatizzazioni hanno l’obiettivo di schiacciare sempre di più i salari e flessibilizzare il rapporto di lavoro, intensificando lo sfruttamento. Assieme agli investimenti nelle imprese militari, questo sembra l’unico modo conosciuto per cercare di arrestare la contrazione di profitti e la competitività sul mercato internazionali. Con l’effetto esattamente opposto di aumentare la disoccupazione a livello di massa, contrarre ulteriormente i consumi e aumentare il debito.
Dentro questo scontro, e nella complessa composizione di classe attuale, pare tornata in cima alle priorità la risoluzione del problema di “perseguire l’unità sempre più estesa delle lavoratrici e dei lavoratori”, per dirla con Marx ed Engels. Per ritessere i legami di solidarietà minati da anni di arretramenti e sconfitte dovuti agli errori, e a volte anche al tradimento, di interi gruppi dirigenti del movimento sindacale.
Le lotte di in difesa dei posti di lavoro e le occupazioni delle strade e delle fabbriche da parte degli operai sembrano tornare in auge. Quella che va ricostruita con pazienza, dentro questi conflitti, è l’organizzazione e l’autonomia della classe attuale. Dovremmo porci la questione di promuovere e sostenere quei processi aggregativi stabili che si coagulano in comitati di lotta o coordinamenti territoriali, autoconvocati e autorganizzati, ponendo nelle piattaforme al centro l’unità e la lotta.
Nella frammentazione attuale di sigle e opzioni sindacali, questa azioni deve fare i conti con la trasversalità obbligata di un ampio fronte di classe se ci si vuole contrapporre efficacemente alle ricette del capitale che cerca di uscire dalla crisi sulla pelle di milioni di lavoratori.
Segnali importanti di ripresa del conflitto ci sono. E anche i momenti trasversali di lotta che si stanno creando. Nella Metropoli milanese, ad esempio, le piazze cominciano di nuovo a riempirsi più di quanto gli organizzatori stessi immaginino. La manifestazione per lo sciopero generale Alta Italia della FIOM del 14 novembre scorso ha visto la partecipazione di circa 70.000 metalmeccanici, insieme ad altri due cortei, uno dei sindacati di base e uno degli studenti per lo sciopero sociale, ha dimostrato che è possibile fare incontrare nella lotta vecchia e nuova classe operaia, insegnanti, precari, lavoratori pubblici e privati, far dialogare le parole d’ordine e rafforzare le nostre ragioni. La novità della partecipazione nel corteo della FIOM di un migliaio di lavoratori della logistica, principalmente immigrati, organizzati nel SI.Cobas dimostra che i lavoratori possono riconoscersi in quanto classe assieme ad altri organizzati in altri sindacati accomunati dalla lotta.
Per noi comunisti e comuniste è arrivato il momento di riconquistarci dentro questo campo il ruolo di insediamento nel movimento di classe cercando di essere una delle ossature principali della sua riunificazione e rinascita.